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in tensione finché gli uomini entrarono in casa.

      «Non possiamo più andare alla taverna, Telma.»

      «Ma dobbiamo chiedere aiuto, non possiamo andare altrove.»

      «Aiuto alla taverna? Hai già sentito che alloggiano lì, che non possiamo avvicinarci, non vogliono testimoni e suppongo inoltre che abbiano ucciso anche l'altro Cartaginese, deve essere il cadavere a cui si riferivano, e che Andreas lo seppellirà qui e poi verrà a cercare noi. Nemmeno Telemaco e suo padre potrebbero aiutarci.»

      «Cosa possiamo fare allora, Almice?» La ragazza aveva la testa confusa, non sapeva cosa fare.

      «Dobbiamo andarcene, Telma» decise Almice, «prendiamo il necessario e andiamo via con le nostre sorelle. La prima cosa che faranno sarà cercarci per toglierci di mezzo.»

      «Dove andremo, Almice? Non abbiamo nessuno a cui rivolgerci, siamo perduti.»

      «Sì, che ce l'abbiamo.» Il volto di Almice si illuminò. «Possiamo andare dallo zio Castore. L'anno scorso sono andato a fargli visita con nostro padre. Ti ricordi?»

      «Non sappiamo dove vive. Non sappiamo nemmeno se ci vorrà con lui. Ricorda che la mamma non voleva nemmeno vederlo.»

      «Vive sull'isola di Kos. So che sarà difficile trovarlo, ma non ci è rimasto nessun altro, penso di ricordare dove si trova la baia dove abita.» Almice abbracciò forte la sorella. Non sapevano da che parte andare; quello che sicuramente non potevano permettersi era perdere altro tempo. «Avanti, Telma, andiamo a casa a prendere un po' di acqua e cibo e andiamo a prendere le bambine, sentiranno già la nostra mancanza.»

      Tornarono in casa. La stanza era ancora illuminata dai lumi che Hermes aveva acceso al tramonto. I riflessi delle fiamme giocose si diffondevano per la stanza, tremolando sui corpi inerti dei suoi occupanti. Temendo che Andreas apparisse improvvisamente, i giovani andarono a raccogliere tutte le provviste che potevano portare con sé, evitando costantemente di guardare i corpi dei loro genitori. Almice aveva detto a Telma che la traversata poteva durare un giorno o due, ma era meglio essere organizzati. Il ragazzo si avvicinò a un piccolo buco nel muro dove sapeva che suo padre conservava delle monete di scarso valore, come se si trattasse di un autentico tesoro. Avrebbero potuto averne bisogno. Guardò di lato il padre, sentendosi in colpa per aver preso i soldi che aveva risparmiato con tanto tempo e fatica. Nel frattempo, Telma aveva preso pesce e frutta essiccati riponendoli in un grande cesto, inoltre aveva preso due otri pieni d'acqua che sua madre aveva portato dal villaggio la mattina presto. Un rumore vicino alla porta li distrasse dalle loro occupazioni.

      «Cos'è stato?» si allarmò Telma. «Andreas?»

      «Un ratto» rispose Almice, disgustato, indicando con l'indice l'animale che fiutava con interesse il sangue del Cartaginese.

      «Dai, andiamo ora, Andreas può arrivare in qualsiasi momento.» Almice annuì. Si avvicinò alla madre e la baciò con affetto per l'ultima volta. Quindi si inginocchiò davanti a suo padre e gli chiese forza per guidare le sue sorelle verso un porto sicuro. Anche Telma si congedò da loro teneramente. Prima di andarsene, prese due monete dalla borsa del fratello e le mise in bocca ai genitori in modo che potessero pagare il barcaiolo Caronte nel loro viaggio verso l'Ade. Si alzarono dispiaciuti e se ne andarono di soppiatto verso il molo guardandosi alle spalle nel caso vedessero avvicinarsi Andreas.

      Sembrava che il vento si fosse calmato un po' e la luna calante spuntava illuminando debolmente la notte. I fratelli si allontanarono rapidamente pensando a tutto ciò che si lasciavano alle spalle. Almice ricordava tristemente come il padre gli aveva permesso di tenere il timone della barca al mattino. Che cambiamento radicale avevano subito le loro vite in poche ore.

      «Abbiamo lasciato là vestiti caldi.» Telma fece il gesto di tornare sui suoi passi.

      «Cosa fai? Non possiamo tornare indietro, Andreas potrebbe già essere lì» la trattenne Almice. «Perché vuoi i vestiti?»

      «C'è vento e le bambine possono stare male. La temperatura scenderà stanotte, basta guardare le nuvole che il vento sta trascinando.» Indicò le nuvole. «Inoltre, non possiamo lasciare i nostri genitori in quel modo.»

      «Tranquilla, ci sono diverse coperte nella barca nel caso ci sia qualche contrattempo, noi quattro possiamo usarle per proteggerci. E per loro non possiamo fare più nulla, è molto pericoloso. Dai, torniamo dalle nostre sorelle.»

      Il molo era già visibile nella penombra. Mentre si avvicinavano, un'ulteriore tensione si rifletteva sui loro volti. Non vedevano le bambine da nessuna parte.

      «Dove si saranno cacciate?» La voce di Telma suonava grave. «Ho detto loro di non muoversi.»

      «Non lo so, potrebbero essere tornate alla grotta.»

      «Chiamiamole.»

      «No!» La voce di Almice fu perentoria. «Pensa ad Andreas, non ci possiamo fare scoprire. Fammi dare un'occhiata alla barca.»

      Avevano raggiunto il molo e non c'era traccia delle loro sorelle. Almice avanzò sulle assi cigolanti finché non raggiunse la barca. Le nuvole avevano coperto di nuovo la scarsa luna ed era difficile distinguere l'interno della barca.

      «Sono lì?» chiese Telma in preda all’angoscia.

      «Non vedo nulla, aspetta che salgo.» Almice saltò dentro. Non ricordava di aver lasciato le cime così mal posizionate. Le spinse via.

      «Siete già arrivati?» Nerisa si stiracchiò tra gli sbadigli. Almice ebbe un sussulto.

      «Che spavento mi hai fatto prendere!» Il giovane fece un passo indietro. «Telma, sono qui.» Sentì la sorella maggiore avanzare lungo il molo.

      «Dov'è Janira?» chiese di nuovo Almice a Nerisa. «Immagino sia con te.»

      «É qui.» Sollevò alcune reti rimaste nella barca, scoprendo la sua sorellina, profondamente addormentata «Avevamo sonno e, per non disturbarvi, ci siamo messe nella barca.» Almice sorrise sollevato mentre Telma saliva a bordo.

      «Ci avete fatto preoccupare. Per fortuna state bene.»

      «E papà?» Nerisa era inquieta, normalmente a quell'ora a casa già dormivano.

      «Tesoro, papà e mamma non sono più qui.» Telma le accarezzò i capelli, cercando di mantenere la calma. «Alcuni uomini sono entrati in casa e li hanno uccisi. Dobbiamo andarcene, non possiamo tornare a casa.» In quel momento, le dispiacque essere così brusca.

      «Non può essere.» Cominciò a piangere senza capire. «Voglio andare dalla mamma.» Provò a saltare fuori dalla barca per correre a casa; Almice la trattenne per un braccio.

      «Vita mia, non possiamo tornare a casa, non possiamo tornare indietro. Andreas vuole uccidere anche noi.» La abbracciò con affetto.

      «Almice, guarda!» esclamò Telma mentre indicava la casa, nell'oscurità si distingueva l'ingresso scarsamente illuminato, Almice osservò il movimento di una sagoma sulla soglia della porta.

      «Andreas ci sta già cercando. Telma, prepara la barca.» Lasciò il braccio Nerisa e saltò sul molo. Per un momento pensò che quella potesse essere l'ultima volta che lo calpestava.

      «Che cosa hai intenzione di fare, Almice? Andreas arriverà presto.» Il giovane non disse nulla, si diresse deciso verso la barca di Andreas con un coltello in mano e iniziò a fare a brandelli le vele del suo vicino.

      «Corri, Almice! Viene da questa parte.» Il ragazzo si girò verso la casa e osservò che la sagoma si ingrandiva sempre di più, il suo vicino li aveva già visti. Le vele erano già strappate, gettò i remi in acqua e saltò di nuovo sul molo.

      «Telma, veloce, molla gli ormeggi!» gridò Almice mentre tagliava gli ormeggi del suo vicino e spingeva la barca verso il mare. Si voltò verso la casa e vide come Andreas fosse molto vicino al molo. Telma aveva già la barca libera dalle funi e il giovane la spinse in mare, saltandoci dentro.

      «Voi, aspettate!» Andreas stava già gridando vicino al molo. Telma e Almice avevano preso i remi e ognuno su

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