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       Francesco Domenico Guerrazzi

      Pasquale Paoli; ossia, la rotta di Ponte Nuovo

      Pubblicato da Good Press, 2020

       [email protected]

      EAN 4064066069834

       CAPITOLO I. Il vetturino livornese

       CAPITOLO II. Il mercante côrso

       CAPITOLO III. La partenza

       CAPITOLO IV. Il Frate

       CAPITOLO V. Lo zio

       CAPITOLO VI. Perchè i Côrsi non amino i forestieri

       CAPITOLO VII. Il cattivo incontro

       CAPITOLO VIII. Gioco del Lotto

       CAPITOLO IX. La battaglia di Pontenuovo

       § 1.

       § 2.

       § 3.

       § 4.

       § 5.

       CAPITOLO X. I Proscritti

       Indice

      Gli dei di Ausonia se ne andarono, ed il suo cielo con essi! — esclamò Giacomo Boswell, fiore di galantuomo inglese, levando la faccia in alto e ricevendovi bravamente in mezzo uno sbuffo di acqua piovana.

      Il vetturino che lo menava, non intendendo bene codesta dotta esclamazione, tacque e, seduto alla peggio su le stanghe del calesse, continuò a toccare il cavallo perchè accelerasse il passo. Il signor Giacomo, tra lamentoso e stizzito, ripigliò a proferire più forte: — Ed è egli questo il tanto vantato cielo d'Italia?

      Allora poi il vetturino non si potè più reggere; e quantunque la domanda non fosse volta a lui, bensì a tutto il genere umano, egli, a ragione reputandosi particola di questo genere, pensò gli spettasse il diritto di rispondere per tutti, ed invero rispose:

      — Sia benedetto! io glielo aveva pure avvisato innanzi di partire da Pisa: l'acqua è in terra, ma vostra signoria che cosa ha saputo replicarmi? «Non importa.» Lo ha ella detto, sì o no? Adesso, se ciò che si prevedeva accadde, non ci rimane a fare altro che quello che mi lasciò detto mio padre.

      — Ed era?

      « — Chi non seppe ben fare, sappia almeno ben tacere.» E poi anco questo altro, il quale però ha da capire come per via di metafora, non perchè si riferisca punto a lei: «Quando il ladro è di casa, non bisogna chiamare il bargello.»

      Il signor Giacomo, chinato il capo, non fiatò più, anzi si pentì di avere aperto bocca, e, riprese il viaggio, accompagnato sempre dalla pioggia, giunse a Livorno e andò a smontare in via Borra al palazzo delle colonne di marmo, abitato dal signor Giovanni Dieck, scudiere e console di Sua Maestà Britannica in cotesta città.

      Gittandosi giù dal calesse, il signor Giacomo con voce burbera interrogò:

      — E devo pagarvi?

      — Ma!.... due scudi fu il patto, e la buona mano, se le piace.

      Queste parole pel modo, col quale vennero pronunziate, avrebbero fornito agli studiosi dell'arte musicale subietto stupendo ad ammirare, perchè dai suoni risentiti scesero giù giù per una scala semitonata ad una specie di bisbiglio; e questo in virtù del diritto che, fatta la prima parte, lasciava luogo alla speranza, la quale pareva persuasa che essendo fuori a quell'ora, non poteva buscare altro che acqua.

      — Bene; ecco i due scudi. Buona mano ch'è?

      — Diavolo! Oh! che? non ha mai viaggiato vostra signoria? oh! che? ci è ella piovuto dalle nuvole in Italia? La buona mano, a ragionarvi su, propriamente vuol dire la mancia che i viaggiatori, quando si trovano serviti bene, donano al vetturino oltre il fissato.

      — Quando si trovano serviti bene: ma io mi trovo servito male, dunque non vi do nulla.

      — Capisco che buon viaggio non fu di certo il suo — e così dicendo gli levava la valigia di cassetta — ma ci ho colpa io? Me ne rimetto alla sua coscienza.

      — E poi la vostra definizione della mancia è mal fatta.

      — Quanto a questo poi, io me ne ho da intendere più di lei.

      — Vi dico che manca; e manca questo: denaro al vetturino oltre al fissato, perchè vada ad ubbriacarsi all'osteria e bastoni poi la moglie e i figliuoli.

      — È vero, — rispose il vetturino abbassando il capo.

      — Bene, dunque portate in pace se non vi do nulla; perchè temo che Dio mi domanderebbe conto di avere dato causa col mio denaro a degradare la creatura: la creatura, capite, dove Dio impresse la sua santa immagine, ch'ella si affatica tutto giorno a cancellare sostituendovi quella della bestia; anzi no, perchè le bestie non si ubbriacano. Dite: avete mai visto per le strade cani, cavalli od asini briachi?

      Il vetturino, finito questo acquazzone di parole acerbe, rispose ingenuo:

      — No, signore, io non ce gli ho visti, ma io aveva creduto in coscienza potere omettere la sua giunta, perchè all'osteria non vado mai.

      — Bene.

      — E nè manco bevo vino.

      — Benissimo.

      — Non tanto come la si figura lei; ma che vuole? Bisogna stenderci quando il lenzuolo è lungo: che ho moglie e figliuoli, e quello che guadagno col padrone basta per pagare il fitto e pel pane; con le buone mani si rimedia al resto.

      — Avete moglie? avete figliuoli? non andate all'osteria? non bevete vino? Oh! allora è diverso. Perchè non me lo avete detto avanti? Potevatelo dirmelo prima, chè mi avreste risparmiato la mala azione d'ingiurarvi a torto. Vi domando perdono: ecco la buona mano, e il Signore vi dia la buona notte.

      E, lasciata la valigia nello androne, schizzò su per le scale presto così, che gli pervenne mezzo all'orecchio il «Dio gliene renda merito» che il povero vetturino gli mandava dietro nella pienezza del cuore.

      Il giorno dopo, verso le nove di mattina un uomo di florida età, bello in sembiante e, più che bello, sereno, stava fermo sopra il secondo gradino del palazzo delle colonne di marmo, guardando trasecolato il cielo ora da una parte, ora dall'altra, e pareva non si potesse saziare di contemplarlo.

      Egli

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