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Ma con Hannah di cui prendersi cura, le spese mediche che si sommavano e le misure di sicurezza di cui aveva bisogno in casa, ormai aveva accettato la cosa.

      Prima che potesse spiegare più a fondo le sue prospettive future, la porta della sua camera si aprì. Ne venne fuori una Hannah dagli occhi assonnati, con indosso slip e canotta e i capelli tutti arruffati.

      “È il tuo ritratto,” disse Kat sarcasticamente.

      Nonostante la battuta, Jessie non poteva negare che fosse vero. Anche senza i due centimetri di altezza che le donavano i capelli scompigliati, Hannah era già quasi alta quanto Jessie. E tutte e due avevano la stessa corporatura slanciata e atletica. E quando finalmente aprì gli occhi del tutto, mostrò loro lo stesso sguardo tinto di verde che anche lei aveva.

      “Come va, bella addormentata?” le chiese Jessie.

      “Programmi interessanti per oggi, principessa?” aggiunse Kat.

      Hannah le guardò tutte e due in cagnesco, poi entrò in bagno e chiuse la porta senza dire una parola.

      “Che cara ragazza,” disse Kat con tono asciutto.

      “Sempre un raggio di sole,” confermò Jessie con ironia. “È di malumore perché la pausa estiva è quasi finita. La prossima settimana deve andare a scuola, e la cosa non la rende per niente contenta.”

      “Solo una settimana ancora per starsene a ciondolare senza fare niente,” sottolineò Kat. “Povera piccola. Mi piacerebbe avere lo stesso programma.”

      “Qual è il tuo programma per oggi?” chiese Jessie.

      “Niente di entusiasmante: questa mattina devo rivedere dei documenti. Poi c’è una coppia di ricconi che vuole che scopra cosa sta combinando loro figlio. Non sono Philip Marlowe.”

      “Ti serve aiuto? Potrei dare un occhio ai documenti e…”

      “No, signora,” la interruppe Kat. “Tu devi concedere una pausa sial al tuo corpo che al tuo cervello. Fai una passeggiata. Vediti un brutto film. Quello che ti pare, ma niente lavoro.”

      Jessie stava per rispondere quando il suo telefono suonò. Ormai conosceva molto bene il numero. Rispose immediatamente.

      “Pronto, sono Jessie Hunt.”

      “Salve, signorina Hunt. Sono l’infermiera Janelle della terapia intensiva al Centro Medico. Il dottor Badalia avrebbe piacere di fare due parole con lei. Quando sarebbe disponibile?”

      “Posso essere lì tra quindici minuti,” disse Jessie, poi riagganciò.

      Guardò Kat, che sembrava aver capito quello che stava succedendo.

      “Vestiti,” le disse l’amica. “Io ti verso una tazza di caffè e ti preparo un toast. In cinque minuti puoi essere fuori di qui.”

      “E Hannah?”

      “Non preoccuparti per lei. Questa mattina la tengo d’occhio io. Quando me ne vado, le può fare da babysitter Instagram.”

      Jessie era già a metà del corridoio, diretta verso camera sua quando gridò all’amica un sonoro “Grazie!”

      CAPITOLO TRE

      La stanza d’ospedale dove si trovava Ryan era mantenuta buia e fresca. Il sibilo del respiratore aveva un ritmo regolare. Sarebbe stato quasi calmante se Jessie avesse potuto dimenticare il motivo per cui si trovava lì. L’infermiera le aveva detto che il dottor Badalia sarebbe arrivato presto. Mentre lo aspettava, osservava Ryan.

      Sembrava stare meglio del solito. Il suo colorito non era pallido come alla sua ultima visita e la pelle sembrava meno cerea. Se socchiudeva gli occhi, poteva immaginare che stesse semplicemente dormendo. Mostrava ancora un bell’aspetto: con il lenzuolo che lo copriva fino al collo, era impossibile immaginare che il corpo che aveva sempre mantenuto in ottima forma avesse già iniziato ad atrofizzarsi.

      Ma era solo un’illusione. Solo due settimane fa, Ryan Hernandez era stato il migliore detective della Sezione Speciale Omicidi (HSS) per il Dipartimento di Polizia di Los Angeles, che indagava casi di alto profilo o con intenso scrutinio da parte dei media, spesso con più vittime e con l’operato di serial killer. Ora si trovava in un letto di ospedale, indifeso, pugnalato al petto dall’ex-marito di Jessie nella loro stessa casa. Era un pensiero troppo grosso da sostenere e Jessie cacciò il ricordo dalla mente.

      Il dottor Badalia apparve sulla porta e Jessie si alzò in piedi per andargli incontro in corridoio. Era un uomo alto e magro che andava verso i quarant’anni, con un’espressione costantemente severa, per cui ogni volta era difficile capire se fosse in procinto di dare buone o cattive notizie.

      “Grazie per essere venuta, signorina Hunt,” le disse con gentilezza.

      “Ci mancherebbe. Ci sono aggiornamenti?”

      “Sì. Come ricorda, abbiamo sollevato Ryan dal coma indotto la scorsa settimana. Ieri notte per la prima volta ha mostrato una leggera reattività agli stimoli. Quindi abbiamo ridotto leggermente la sedazione per vedere se fosse sostituibile. È riuscito ad aprire gli occhi e a rispondere a qualche domanda ‘sì’ o ‘no’ sbattendo le palpebre. Siamo stati in grado di spiegargli brevemente la sua situazione, perché si trovi attaccato a un respiratore e così via.”

      Jessie non riuscì a parlare subito. L’emozione del momento la colpì in maniera inaspettata e le si formò un nodo in gola. Solo allora si rese conto di quanto in quelle settimane avesse trattenuto l’ansia e il timore. Quello che era appena trapelato nel suo stato cosciente quando si era trovata stanca o frustrata, ora esplose.

      “Dice sul serio?” disse. “È fantastico. Perché non mi avete chiamata?”

      “Era piuttosto tardi, dopo la mezzanotte. E a essere onesto, lo sforzo sembra averlo distrutto. Dopo circa sei minuti è crollato.”

      “Oh. E questa mattina? Si è svegliato oggi?”

      “Abbiamo effettivamente diminuito il livello del sedativo circa un’ora fa, nella speranza di provare di nuovo. Per questo motivo l’ho fatta chiamare. Spero che se riprenderà conoscenza e lei è qui, magari potrebbe comunicare un po’ di più.”

      “Certo,” disse Jessie. “Quanto ci vorrà?”

      Il dottor Badalia guardò nella stanza.

      “Che ne dice di adesso?” le propose. “Pare che stia tentando di svegliarsi mentre parliamo.”

      Jessie si voltò e vide che effettivamente Ryan stava cercando di aprire gli occhi. Sembrava una lotta, come se le palpebre fossero incollate e lui stesse tentando di aprirle con tutta la sua forza di volontà. E sembrava pian piano funzionare. Tornarono nella stanza.

      “Ryan,” disse il dottor Badalia. “C’è una persona che è venuta a trovarti.”

      Con gli occhi socchiusi, Ryan guardò Jessie che attraversava la stanza e andava verso di lui per poi prendergli la mano destra.

      “Ehi, tesoro,” sussurrò. “È bello vederti sveglio. Puoi sentirmi?”

      Sembrava stesse tentando di annuire. Ma che fosse per l’enorme tubo che aveva in bocca o per mancanza di forza, non ci riusciva.

      “Un colpo di ciglia per sì e due per no,” gli ricordò il dottor Badalia.

      Ryan batté le palpebre una volta. Jessie diede un colpo di tosse per mascherare il singhiozzo di gioia che le era salito alla gola.

      “So che la situazione è pesante,” gli disse. “Ma ti tireremo fuori di qui. Ci vorrà solo un po’ di pazienza, ok?”

      Ryan batté ancora le palpebre. Il dottor Badalia si avvicinò.

      “Ryan, avresti voglia di provare un piccolo esercizio?”

      Annuì con un battito.

      Jessie si sentì leggermente irritata. Aveva sperato di avere un po’ di tempo per parlare privatamente con Ryan. Ma mise da parte il disappunto. L’esercizio era di certo più importante. Il dottor Badalia continuò.

      “Chiederò a Jessie di posare il suo palmo sotto

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