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mentre alla TV partiva la sigla della sua trasmissione preferita.

      Le luci erano suffuse nella stanza, mentre fuori era buio pesto: l’atmosfera giusta per guardare una sitcom leggera e dimenticarsi del suo fidanzato, Brad, che non le aveva neanche telefonato. All’età di trentaquattro anni, Chastity pensava di avere appena vinto alla lotteria dopo una serie di perdenti, fannulloni, psicopatici e, in un paio di casi, sfortunate vittime di omicidi.

      Però adesso Brad sembrava essersi appena rivelato un altro buco nell’acqua, dato che quella sera le aveva tirato pacco senza neanche chiamarla. Che facesse quello che gli pareva. Chastity aveva passato ben di peggio in vita sua, e poco le importava di un altro fidanzato mancato.

      Stava proprio per immergersi di brutto nel suo show, quando il suo telefono suonò. Era Brad. In parte avrebbe voluto lasciare che la chiamata andasse direttamente alla segreteria, ma decise di concedergli un’altra possibilità.

      “Sarà meglio che tu abbia una buona scusa,” disse senza tanti mezzi termini subito dopo aver risposto. Per diversi secondi non ci fu alcuna reazione, ma solo un rumore che assomigliava a un respiro leggermente ansante.

      “Brad? Sei tu?”

      “Esci,” disse una voce roca.

      “Cosa?” chiese Chastity irritata.

      “Esci di casa.” Era Brad, anche se la sua voce sembrava debole e tentennante. “Lui è là dentro.”

      All’improvviso si sentì un forte colpo dall’altra parte della linea e contemporaneamente anche dall’atrio di casa. Chastity si alzò per andare a vedere.

      “Brad,” disse sottovoce. “Piantala di prendermi in giro. Sai cosa ho passato. Non è per niente divertente.”

      “Sbrigati,” gemette Brad sommessamente. “È vicino.”

      Chastity era in piedi davanti al guardaroba in ingresso. Poteva sentire che la stessa voce al telefono veniva anche da dietro la porta. Senza fermarsi a pensare troppo, tirò l’anta spalancandola, ma si trovò davanti solo cappotti. Stava per richiudere l’armadio, quando notò qualcosa che si muoveva sul pavimento. Due piedi con un paio di mocassini sbucavano da sotto i cappotti e penzolavano flosci. Il rumore che aveva sentito prima doveva essere stato generato dalle suole che avevano sbattuto contro la porta del guardaroba. Chastity spostò di lato gli appendini con le giacche. Sul pavimento davanti a lei, seduto con la schiena appoggiata alla parete dell’armadio, un coltello che gli spuntava dallo stomaco e il sangue che gli scendeva dalla bocca, c’era Brad.

      “Scappa,” le disse per l’ultima volta in un rantolo, poi i suoi occhi divennero vitrei e la testa gli ricadde in avanti sul petto.

      Sta succedendo un’altra volta.

      Chastity represse l’istinto di gridare. Se la persona che aveva fatto questo era in casa, lei doveva uscire velocemente e in silenzio. Si era già trovata in situazioni del genere e sapeva che andare nel panico era la cosa peggiore che potesse fare.

      Prese invece la prima arma che vide – un ombrello dal guardaroba – e percorse l’atrio in direzione dell’uscita. Poi si immobilizzò.

      È quello che si aspetta.

      Rapidamente si voltò e tornò verso il salotto, ignorando la TV mentre si affrettava a raggiungere la porta a vetri scorrevole che dava sul cortile retrostante. Le mancavano pochi passi per arrivare ad aprire la porta, quando sentì di non essere sola nella stanza. Si girò.

      In piedi nell’atrio, intento a fissarla con freddi occhi scuri attraverso i buchi di un passamontagna nero, c’era il Predone. Pensava di essersi finalmente liberata dagli orrori che le aveva inflitto. Ma si sbagliava. Era tornato.

      Chastity si girò di nuovo e si lanciò verso la porta a vetri, sbloccandola e aprendola. Era quasi uscita quando lui le fu addosso, facendola ruotare perché lo guardasse, le mani che le afferravano la gola, stringendo e risucchiandole la vita.

      “Dannazione, Terry,” gridò esasperata. “Quante volte ti devo dire di essere più delicato? Mi vengono subito i lividi. Non riesci proprio a fare finta di strozzarmi? Si chiama recitare, cretino!”

      “Stop!” gridò una voce dall’altra parte della stanza.

      Il regista sospirò pesantemente. Anton Zyskowski era un polacco sulla quarantina che stava dirigendo il suo primo film in lingua inglese dopo un discreto successo ottenuto con dei thriller nel suo Paese. Era piccolo di corporatura, con i capelli radi e spettinati e un atteggiamento riservato. Mentre le si avvicinava, Corinne Weatherly gli rivolse un sorriso maligno.

      Dopotutto, parte del motivo per cui Anton era stato selezionato per dirigere quel film era che, in quanto relativo neoarrivato nel sistema hollywoodiano, era in svantaggio quando si presentavano questi momenti di attrito. In quanto star di Il predone: la rinascita, ed essendo quella che aveva dato vita a Chastity Ronin, Corinne poteva rendergli la vita molto difficile se avesse deciso di farlo. Ed era quello che aveva scelto.

      “Anton,” sibilò quando le fu accanto. “Che diavolo? Devo davvero recitare con questo idiota? Questa è la terza ripresa che è riuscito a rovinare malmenandomi. Voglio dire, non possiamo dare il ruolo a un qualche ritardato muscoloso? Tanto mica gli si vede la faccia.”

      “Corinne,” disse Anton con diffidenza e un inglese un po’ incerto. “Sai che Terry è importante per le scene senza maschera prima che Chastity sa che lui è assassino. Ci serve un performer forte e capace. Non sarà credibile se assassino con la maschera è un attore diverso. Il pubblico si accorgerà. Ma adesso gli dico ancora di essere delicato con tuo collo.”

      Corinne reagì con totale indifferenza.

      “Quante volte ha bisogno di sentirselo ricordare, l’idiota?” chiese. “Giuro che sono circondata da deficienti. Pensavo che tu fossi l’Ari Aster polacco.”

      Poteva vedere con la coda dell’occhio i membri dello staff che scuotevano la testa. Dietro di lei qualcuno bofonchiò qualcosa di appena comprensibile.

      “Di questo passo avremo un altro esaurimento nervoso in stile Olivet.”

      Corinne ruotò su se stessa, pronta a dare una bella lavata di capo anche alla malalingua. Ma prima che potesse identificare il colpevole, Anton si fece avanti.

      “Corinne, per favore…” iniziò.

      “Per favore un corno,” lo interruppe lei. “Ecco cosa succederà adesso. Vado nella mia roulotte a sbollire la tensione. Tu trovi qualcun altro che mi strozzi al posto di Terry Slauson, qualcuno che non mi lasci una contusione permanente alla trachea. E se non ci riesci stasera, allora dovremo andare avanti con le riprese domani. E comunque si sta facendo tardi. E mentre ci lavori, magari puoi dire al tuo staff di tenersi per sé le loro risatine e i loro commenti, almeno fino a che non me ne vado dal set. Sarò anche una stronza, Anton, ma sono la stronza protagonista. Non dimenticartelo.”

      Detto questo, se ne andò in fretta e furia dalla sala di registrazione con la sua assistente Monica che le correva dietro per tenere il passo. Corinne si voltò a guardarla con espressione derisoria.

      “Forse dovresti fare un po’ più di ginnastica, Monica,” la canzonò. “Così non avresti tutto questo fiatone. E poi entreresti meglio in quei pantaloni. Sembra che tieni una fetta di pane nascosta sotto alla cintura.”

      Monica non disse nulla e Corinne rimase soddisfatta. La ragazza era grassoccia, ma imparava velocemente e aveva già capito le lezioni più importanti: fai quello che ti viene detto. Tieni la bocca chiusa.

      Raggiunsero la roulotte di lusso di Corinne, subito dietro allo studio 32, accanto al backlot di New York, agli Sovereign Studios. Corinne aprì la porta, entrò e si voltò a guardare Monica, alzando la mano per vietarle di entrare.

      “Vai a dire ad Anton che ha dieci minuti per trovare un nuovo Predone per la scena. Dopodiché io me ne vado a casa.”

      “Ma signorina Weatherly,” la implorò Monica.

      “L’orologio sta andando avanti,” disse Corinne mostrandole lo schermo del telefono. Poi le sbatté semplicemente la porta in faccia.

      Andò

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