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la stanza. Era davvero quello il modo migliore per commemorare la prozia June. La donna aveva lasciato il mondo alle sue condizioni, nella sua casa, e aveva pronunciato un addio degno di uno spettacolo comico.

      Marie non era estranea ai lutti. Suo padre era morto quando lei aveva vent'anni. Prima ancora, quando Marie era appena quattordicenne, sua madre era letteralmente svanita nel nulla. Marie aveva anche partecipato al funerale della nonna della sua migliore amica ai tempi delle superiori. Ma qualcosa del funerale della zia June e della veglia funebre sembrava surreale. Le persone come June sembravano non dover morire mai.

      Il ricevimento fu organizzato nel centro ricreativo della comunità locale, in una piccola sala che affacciava sull'oceano. Si radunarono tutti sul patio posteriore. Ci fu molto vino e moltissimi dolci. L'impianto stereo suonava musica swing degli anni '40 e '50. Marie provò a passare un momento gradevole, ma le improvvise interruzioni da parte di persone di cui si ricordava a malapena o che non conosceva affatto resero il tutto difficile. Non partecipò alle conversazioni, ma sorrideva e annuiva quando le sembrava appropriato.

      “Che pazza, June,” le disse un anziano signore con gli occhi lucidi. “Ma pazza in senso buono, capisci cosa intendo?”

      “Sinceramente, pensavo che non sarebbe mai morta,” aggiunse una robusta signora sulla cinquantina. “Era proprio una donna scoppiettante!”

      “A proposito di far scoppiare cose, sa che ha seriamente accarezzato l'idea di farsi cremare e di far esplodere le proprie ceneri con dei fuochi d'artificio?”

      “Vorrei dire che non ci credo, ma sembra proprio una delle cose che avrebbe fatto!”

      Marie fu felice di sentire le persone condividere storie su sua zia. Era chiaro invece che quasi nessuno sapeva chi fosse lei. Alcune persone, infatti, le si avvicinarono e le chiesero come conoscesse June. A quanto pareva, “era la mia prozia” non era una risposta così interessante, dato che non faceva avanzare granché la conversazione.

      Marie vagò verso l'estremità del patio, dove c'era meno traffico di persone e una vista spettacolare sull'oceano. Continuò ad ascoltare ancora altri racconti e storie su June. Che fossero storie vere o meno non le importava molto. Era comunque bello sapere che la zia June aveva lasciato un retaggio di questo tipo in una piccola città come Port Bliss.

      “Ho sentito dire che una volta ha infilato un biglietto da cinque dollari dentro tutti i libri di Sue Grafton in stock alla libreria Little Things, sia quelli nuovi sia quelli usati.”

      “Lo sa che ogni volta che un venditore porta a porta bussava alla sua porta lei si comportava come se fosse posseduta da un fantasma o un demone?”

      “Ah! Con quella casa, è facile da credere. Sa che si dice in giro che è infestata, vero?”

      “Fantasmi di naufraghi, ho sentito dire.”

      E giù altre risate.

      Marie guardava l'oceano e trovava piacevole sentire quelle risa. La casa si trovava a due chilometri e mezzo di distanza, proprio in fondo alla costa. Pensò che avrebbe dovuto socializzare un po' di più se voleva trovare il modo di entrarci di nuovo. Pensò che sarebbe stato un bel modo di recuperare energie prima di tornare nel mondo reale e affrontare il fatto che era rimasta senza lavoro e senza un ragazzo.

      Ma le era difficile distogliere lo sguardo dall'oceano. Per un momento le sembrò che la stesse chiamando, che le stesse chiedendo di rimanere ancora un po'. Mentre lo fissava si chiese, e non era la prima volta, come sarebbe stato crescere lì. Dopo la morte di suo padre, zia June l'aveva invitata a rimanere con lei fino a che non si fosse rimessa in sesto. Marie non poteva fare a meno di chiedersi come sarebbe cambiata la sua vita se avesse accettato. A quei tempi, aveva pensato che fosse solo una proposta educata e gentile, ma dopo aver ascoltato il videomessaggio che June aveva lasciato si rese conto che aveva ignorato quanto davvero sua zia fosse spontanea e intrepida.

      Sì, avrebbe assolutamente potuto vivere a Port Bliss. Sarebbe stato un po' come chiudere un cerchio.

      Certo, era disoccupata e aveva poco meno di undicimila dollari di risparmi. Non voleva nemmeno provare a indovinare quanto costasse lì l'affitto. Ma la parte più coraggiosa di lei pensava che avrebbe potuto trovare un lavoro e magari ricominciare tutto daccapo qui. L'ombra del maniero di zia June sempre sopra di lei l'avrebbe certamente aiutata a trovare la motivazione.

      Non doveva essere poi così difficile trovare un lavoro decente in un posto come Port Bliss, giusto?

      Era un pensiero allettante, così allettante che la spinse a muoversi, nella speranza che qualcuno le potesse indicare dove trovare il rappresentante legale di June. Guarda caso, non dovette cercare troppo a lungo. Mentre stava tornando all'interno del centro ricreativo, una voce la fermò.

      “Mi scusi, signora?”

      Sulle prime pensò che si trattasse dell'ennesima persona che voleva chiederle come avesse conosciuto June. Si voltò e alle sue spalle vide un uomo che si teneva a rispettosa distanza. Indossava un completo dall'aria costosa, ma niente di troppo appariscente, date le circostanze. I suoi capelli, che iniziavano a ingrigire all'altezza delle tempie, erano pettinati all'indietro. Portava con sé una valigetta.

      “Sì?” chiese Marie.

      “Lei è Marie, giusto? Marie Fortune?”

      “In persona,” confermò lei. Pensò si trattasse di uno degli amici di June che si ricordavano di lei dalle sue visite di quand'era bambina. “E lei è?”

      “Mi chiamo Malcolm Carey. Sono il legale di sua zia June.”

      “Oh. C'è qualcosa che non va?”

      “No, niente affatto. Detesto doverla fermare qui e adesso, data la situazione. Ad alcuni potrebbe sembrare non professionale. Ma non ero sicuro di quanto a lungo si trattenesse a Port Bliss ed è importante che le parli. È un buon momento adesso?”

      “Uno vale l'altro, direi.”

      “Forse è meglio andare nel parcheggio qui fuori,” suggerì Carey. “Preferirei non dover trattare la questione alla presenza di tutti.”

      Uscirono nel parcheggio e si sedettero su una panchina giusto accanto alle scale d'ingresso. Carey aprì la valigetta e ne estrasse diversi moduli e una massiccia pila di documenti.

      “Sono sicuro che lei sappia,” iniziò Carey, “che June non aveva familiari qui nei dintorni. Da quello che capisco, l'unico contatto che la polizia ha potuto trovare sulla scena è stato il suo numero di telefono sul frigorifero.”

      “Beh, sì, il resto della mia famiglia è eccentrico tanto quanto la zia June.”

      “Considerata quest'informazione, suppongo che abbia senso che il suo nome appaia diverse volte nel testamento.”

      “Davvero?” Non ci aveva mai neppure pensato.

      “Sì, proprio così,” disse Carey. Sorrise di proposito e lanciò uno sguardo ai documenti. “Difatti, le ha lasciato qualcosa di molto speciale.”

      CAPITOLO CINQUE

      “Speciale?” ripeté Marie.

      Carey sorrise e annuì, poi le passò un plico di documenti. Lei lo esaminò, ma era tutto scritto in un linguaggio astruso; avrebbe potuto essere scritto in greco antico, ci avrebbe capito uguale.

      “Di cosa si tratta?” chiese.

      “È un capitolo ben preciso del suo testamento.” Scorse rapidamente tre paragrafi poi indicò con un dito una riga in particolare. Lesse ad alta voce, mentre Marie lo ascoltava.

      “E a mia nipote, lascio anche in eredità la mia casa situata al 101 di Crabapple Road. Ciò comprende i quattro ettari di terra circostanti e il tratto di lungomare.”

      Marie si sentì sempre più frastornata. Sicuramente aveva frainteso. O forse era una burla. Forse la zia June voleva farle un ultimo scherzetto, qualcosa però di molto più serio di un gatto potenzialmente radioattivo.

      Eppure, si ritrovò a doversi aggrappare stretta al bordo della panchina per rimanere ancorata alla realtà.

      “È sicuro?” chiese. “L'ultima

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