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e lo aveva attraversato. Sulla sua destra si estendeva Port Bliss. Era quasi del tutto fuori dalla sua visuale, ma la configurazione era proprio come se la ricordava. A sinistra, molto in lontananza e perlopiù coperto dagli alberi, c'era il faro Boggie. I fari la avevano affascinata per un bel pezzo quando era piccola e aveva sempre pensato al faro Boggie come a una sorta di pietra miliare, quando veniva in visita con sua madre. La sua apparizione indicava che erano arrivate.

      Marie ingoiò l'emozione quando raggiunse la fine del ponte. Percorse ancora 800 metri poi arrivò a un incrocio a T.

      E lì, ecco finalmente Port Bliss.

      Non ci veniva da almeno vent'anni, ma sembrava così familiare. L'unico grande cambiamento sembrava essere l'abbondanza di caffetterie e di negozi di prodotti alimentari biologici.

      Tuttavia, alcune cose non erano affatto cambiate. La gelateria di Bruce era ancora al suo posto, all'angolo tra Main e Pine street. Le lettere sbiadite sulla vetrina le scaldarono il cuore e, in tutta onestà, le fecero venire voglia di un bel gelato al gusto Cappuccino Crunch. Anche la libreria Little Things era ancora attiva; un volantino affisso sulla vetrina promuoveva un firmacopie con un autore locale. Si chiese se il posto avesse anche lo stesso odore di un tempo, quello di vecchia carta immersa nel caramello.

      Mentre superava queste viste familiari, Marie abbassò i finestrini e respirò profondamente. L'aria salmastra era un po' forte, ma piacevole. Quel sorriso indelebile le si allargò sulle guance, come da molto tempo nessun sorriso riusciva a fare.

      Cercò altri punti di riferimento e luoghi simbolo di Port Bliss trovandoli ovunque: la vecchia ancora, collocata come statua all'ingresso dell'unico parco della cittadina; la concessionaria auto Ottoman, con la sua ridicola automobile mascotte disegnata sull'insegna al neon del parcheggio; il ristorante Lamplighter; e il Coastal Treasures, un pittoresco e un po' pacchiano negozio di souvenir.

      Proprio come sapeva dove trovare queste attrazioni locali, sapeva anche dove fossero situati gli hotel. Ma non voleva ancora metterci piede. Prima di tutto doveva vedere la casa di zia June. Si sentiva attirata dalla villa come da una calamita, sin da quando aveva ricevuto la telefonata del vicesceriffo Miles.

      Fu contenta di constatare che le sue mani e il suo cuore sapevano guidarla perfettamente, conducendo la sua piccola Saab verso il limitare della città. Si ritrovò su Crabapple Road, una strada non contrassegnata che continuava per circa 3 chilometri giù lungo la costa. A circa quattrocento metri, iniziava uno stretto e tortuoso vialetto, in parte asfaltato e in parte sterrato.

      In fondo al vialetto, Marie poteva vedere la vecchia villa. Il graduale dislivello della strada faceva sì che la casa si stagliasse sul fondo, come se la sovrastasse. Aveva una bellezza maestosa e un po' gotica: ora, da adulta, le fu facile capire perché fosse così scontato per i bambini del posto pensare che la villa fosse infestata dai fantasmi.

      L'oceano non era visibile, ma il tenue sbaffo pastello dell'orizzonte e il blu acceso del cielo sembravano prometterne la presenza sul retro della proprietà. Con le braccia leggermente tremanti, Marie svoltò nel vialetto d'accesso.

      Mentre dall'altro lato del parabrezza la casa si faceva sempre più grande, le affiorarono in mente altri ricordi. Si ricordò che dormiva nella stanza per gli ospiti al piano superiore, con la zia June che le rimboccava le coperte dopo averle letto una delle sue strambe favole della buonanotte. Si ricordava persino delle tende della camera, sottili e viola, che proiettavano su ogni oggetto della stanza una strana sfumatura vinaccia, quando filtrava la luce del sole.

      Si ricordò dell'enorme conchiglia nella toilette, collocata proprio sopra il gabinetto, e di come si mettesse ad ascoltare il ruggito del mare quando andava a fare le sue cose. Non riusciva a sentirlo molto bene, ma si ricordava che zia June le aveva detto che quando le conchiglie rimanevano troppo tempo lontane dall'oceano perdevano il loro legame con l'acqua e, per questo, non riuscivano più a ricordarsi il suono. Questa conchiglia in particolare, secondo sua zia, ogni tanto suonava “Blue Suede Shoes” di Elvis Presley, se si ascoltava attentamente.

      Parcheggiò davanti alla casa e restò a fissarla. Eccola là, l'ispirazione per il suo bed-and-breakfast immaginario, e il fulcro di tutti i suoi più bei ricordi d'infanzia. Fu sul punto di uscire e camminare fino al portico, ma pensò che forse era spingere le cose un po' troppo oltre. Ignorava quali fossero le regole da seguire in questi casi, quando si trattava di proprietà, banche e anziane eccentriche signore da poco defunte.

      Rimase seduta, ancorata in un sentimento tra gioia e tristezza. Tutto era come se lo ricordava. Era come se il tempo si fosse fermato da quando era stata lì l'ultima volta, una ventina d'anni prima. Aveva pensato di venire in visita quando aveva saputo che June era caduta e si era slogata una caviglia ma, giusto il tempo di organizzarsi, e quella era già guarita ed era partita per un viaggio a Stoccolma. Dopo questa visita mancata, l'unica volta che aveva visto la zia era stata due anni prima, quando June era venuta a trovarla a Providence, di passaggio durante un altro dei suoi viaggi. A parte queste occasioni, avevano soltanto parlato per telefono. C'erano state anche due goffe chiamate Skype in cui June aveva passato metà del tempo a frignare su quanto odiasse la tecnologia.

      Tutto era rimasto così uguale che si sorprese a esaminare il cortile alla ricerca di gatti mutanti somiglianti a scoiattoli.

      Non sapeva da quanto tempo fosse seduta lì. Fissò la casa, sentendo la sua influenza avvolgerla come un'ombra. Aveva qualcosa di vittoriano, con minuscole guglie e tetti conici. La facciata esterna era composta perlopiù di mattoni sbiaditi dal tempo, tra i quali crescevano ciuffi di muschio qua e là. Da così vicino, quell'effetto spettrale che impressionava così tanto i bambini del circondario svaniva. Da così vicino, anzi, la casa sembrava calda e invitante.

      Fu solo quando riavviò l'auto e fece retromarcia che si rese conto di quanto quella casa le fosse mancata.

      Avrebbe dato qualsiasi cosa per poterci entrare di nuovo. Ma probabilmente, a meno di un miracolo, non sarebbe mai più successo. L'ultima volta che aveva parlato a June, le aveva accennato a come stesse cercando un'organizzazione di buona reputazione a cui donare la casa: forse un centro di riabilitazione, o magari una specie di pensione per animali dove le persone potevano portare i loro amici a quattro zampe quando avevano bisogno di partire per un lungo periodo.

      Fossero venute da chiunque altro, Marie avrebbe dubitato di quelle idee. Ma, trattandosi di zia June, entrambe le possibilità sembravano essere assolutamente verosimili. Durante quella conversazione, l'ultima approfondita che avevano avuto, June sembrava alquanto ossessionata dall'idea di lasciare la casa in buone mani.

      Quindi, a meno che i futuri proprietari, o, immaginava, il sovrintendente del patrimonio di zia June, le permettessero di entrare e dare una rapida sbirciatina di cinque minuti, era più che probabile che non avrebbe mai più messo piede in quella casa.

      Dopo aver raggiunto Crabapple Road, uscendo dal vialetto d'accesso Marie gettò un ultimo sguardo alla casa dietro di sé. La luce del sole si riflesse su una delle finestre della facciata anteriore del vecchio maniero e, per un attimo, sembrò che la casa le stesse facendo l'occhiolino, come se avesse un segreto che si rifiutava di svelare.

      Si chiedeva se la zia June si fosse lasciata alle spalle qualche segreto. Riservata com'era stata, la prospettiva era scoraggiante. Ma, con il funerale imminente, Marie non poteva fare a meno di pensare che magari avrebbe sentito uno di questi segreti dalle labbra di qualche sconosciuto… e questo avrebbe potuto alterare il suo ricordo di June.

***

      “Che diavolo avete da guardare?”

      Era così che iniziava l'ultimo messaggio di June Fortune al mondo.

      Fulminò con lo sguardo le circa quaranta persone che si erano riunite attorno alla televisione a schermo piatto nell'aula multifunzionale della chiesa della comunità locale. Lentamente, sul viso di June si disegnò un sorriso, che si irradiò verso tutti coloro che erano venuti a rendere omaggio alla sua vita.

      Ci furono diverse risatine soffocate. Poi le risate si fecero più nitide a mano a mano che June, nei venti minuti successivi, si prodigava a spiegare a tutti per quale motivo non dovessero piangere la sua dipartita ma, al contrario, celebrare la sua lunga vita. Disse che stava andando in un posto migliore (scherzando sul fatto che si sarebbe trovata benissimo a Montego Bay per trascorrerci l'eternità),

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