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a lei. Né per suo marito, né per i cortigiani, né per sua madre.

      Ora, il suo discorso le avrebbe fatto vincere o perdere la sua causa.

      Erin le offrì un sorso del suo drink, ma era troppo nervosa per accettare. Inoltre, doveva mantenere la mente perfettamente lucida. Doveva apparire sicura e decisa. Doveva riflettere l’immagine del governatore in cui il popolo l’avrebbe riconosciuta se tutto ciò avesse funzionato.

      “Puoi farcela,” le sussurrò Erin, quando la locanda divenne quasi piena.

      Lenore annuì, cercando di convincersene. Si alzò e salì sul bancone, in modo che tutti potessero vederla. Era giunto il momento.

      “Grazie per essere venuti,” esordì, alzando la voce. “Mi chiamo Lenore. Sono la figlia di Re Godwin III.”

      Fece una breve pausa perché tutti assimilassero quelle parole, mentre qualche sussulto rimbombava nella stanza. Solo pochi, però, perché pareva che la gente ne avesse già sentito parlare e la notizia fosse già stata diffusa.

      “Mio padre è morto,” proseguì, reprimendo il dolore che provava. “Mia madre è morta, e anche il mio fratello maggiore.”

      “Abbiamo sentito dire che eravate morte anche voi!” gridò qualcuno dal fondo della folla.

      “Sono voci che ha diffuso Re Ravin,” replicò Lenore. “Perché? Perché io e mia sorella Erin siamo le ultime persone attorno a cui i ribelli potrebbero radunarsi. Mia sorella Nerra e mio fratello Greave sono scomparsi. L’altro mio fratello, Vars, è un codardo che ha ucciso il suo stesso padre e che fa da burattino a Ravin.”

      Quell’affermazione suscitò più di una reazione, facendo levare il mormorio tra la folla. L’uomo che era intervenuto prima non aveva finito, però.

      “Come facciamo a sapere che siete chi dite di essere?” domandò.

      “Credete che qualcuno vorrebbe davvero fingersi me?” scattò Lenore, con una risata amara. “Perché non trovate anche un uomo che faccia tornare Rodry dal regno dei morti? Io sono Lenore e chiunque sia venuto a corte mi riconoscerà. Mi riconoscerete tutti, con il tempo.”

      Alzò lo sguardo su di loro. “Per ora, voglio che pensiate alla sofferenza che il dominio di Ravin sta portando.”

      “Non sta cambiando molto qui fuori,” gridò l’uomo tra la folla. Lenore lo individuò a quel punto; era un uomo dal volto subdolo e dall’aspetto da denutrito. “Penso che interessi più a chi vive in città.”

      “E lo dirai anche quando arriveranno qui?” domandò Lenore, alzando la voce. “Lo dirai quando i soldati di Ravin chiederanno il tuo raccolto per sfamare i loro eserciti, mentre tu morirai di fame? Lo dirai quando le sue leggi stabiliranno punizioni severe per chiunque disobbedisca al suo governo? Quando i Taciturni si aggireranno per le strade in cerca di traditori e uccideranno chiunque sussurri anche solo delle parole sbagliate? Quando rapiranno le vostre figlie perché intrattengano Ravin?”

      “Come hanno rapito voi intendete?” gridò l’uomo, e Lenore scorse sua sorella farsi strada nella folla verso di lui. Avvistò il pericolo e voleva urlarle, ma non poteva fermarsi e perdere l’impeto del suo discorso. “Tutta questa guerra è per colpa vostra,” urlò l’uomo.

      “Sì, sono stata rapita,” replicò Lenore. “Ma se pensi che Ravin non avrebbe trovato un altro pretesto, ti sbagli. È un uomo crudele, che non si fermerà finché non avrà in pugno tutte le vostre vite, o finché non lo fermeremo.”

      “Cosa possiamo sperare di fare?” Non fu lo stesso uomo a parlare questa volta, ma intervenne una donna dal centro della folla, che era lì in piedi con il marito e i figli.

      Lenore sorrise a quel quesito. “Pensi di essere troppo debole per opporre resistenza a un esercito, vero? Pensi di non valere niente e che Ravin potrebbe spazzarti via con un colpetto della sua mano? Lo pensavo anch’io quando mi hanno rapita, ma non è vero. Siamo tutti, ognuno di noi, più forti di quanto pensiamo.”

      Dette loro un momento per assimilare la cosa. “Ci sono più persone in questo regno di quante Ravin possa sperare di contrastare, e la sua presa sul territorio è al massimo tenue. Chi si schiera dalla sua parte lo fa perché pensa di non avere alternative. Ebbene, noi offriremo loro un’opzione migliore. Noi saremo l’opzione migliore. Costruiremo insieme un esercito e ci riprenderemo questo regno da coloro che lo hanno rubato!”

      “Sciocchezze!” gridò l’uomo che l’aveva contraddetta fino a poco prima, rubando lo spazio in cui Lenore aveva sperato che la gente avrebbe applaudito. “Guardatela. È solo una ragazza qualunque. Anche se fosse la principessa, questo cosa fa di lei? È una nobildonna dalla testa vuota che non si è mai preoccupata di nessuno di noi e che si è buttata nel letto dell’uomo che è più vicino a Ravin di…”

      “Non osare parlare così di mia sorella!” urlò Erin mentre lo raggiungeva.

      “Erin, non farlo!” gridò Lenore, ma era troppo tardi. La vide sferrargli un pugno alla mascella e poi una ginocchiata allo stomaco. L’uomo cadde, ed Erin lo prese a calci, ancora e ancora, finché Odd la tirò via da lui.

      La gente stava adesso fissando inorridita quella scena cruenta. Lenore avvertì il favore evaporare intorno a lei e le persone cominciarono ad andarsene, uscendo dalla locanda; alcuni la guardavano con disgusto.

      “Non meglio degli invasori,” disse la donna che era intervenuta, andandosene con la sua famiglia.

      Lenore restò lì in piedi, senza sapere come avrebbe potuto far cambiare loro idea. Poteva solo stare lì inerme, a fissarli.

      Era ancora immobile quando Harris il mugnaio avanzò tra la folla che si disperdeva. Aveva al seguito una donna corpulenta, che Lenore suppose fosse sua moglie. Le porse una mano, per aiutarla a scendere dal suo piedistallo sul bancone.

      “Mi dispiace,” disse. “So che non è andata come volevate. Io e Tess siamo rimasti colpiti. E Nevis a volte fa correre troppo la bocca.”

      “No,” replicò Lenore. “Avrei dovuto prevederlo. Avrei dovuto fermare mia sorella.”

      “La gente era scioccata,” aggiunse la donna con lui. “Quando tutti si fermeranno a pensare alle cose che avete detto, inizieranno a capire che avevate ragione.”

      “Lo spero,” disse Lenore.

      “Devono farlo,” ribatté Tess. “Altrimenti le cose peggioreranno. Oh, certo, la gente si lamentava delle tasse e di questioni simili sotto al vecchio re, vostro padre, ma almeno lui era un uomo giusto. Quei meridionali si prenderanno tutto.”

      Lenore annuì. Le avevano già portato via troppe persone che amava. “Spero che se ne rendano conto presto,” affermò. “Non mi sembra di riuscire a fare molto qui.”

      “Ci avete fatto cambiare idea,” disse Harris. “E non pensavo che ci sareste riuscita dopo l’incontro in piazza, prima. Sentite, io e Tess ne abbiamo discusso e… voi tre avete un posto dove stare?”

      Lenore scosse la testa. Non aveva ancora pensato se fermarsi alla locanda o rimettersi in viaggio.

      “Allora resterete con noi,” affermò Tess. “Tutti voi. E forse quando la gente avrà avuto il tempo di pensare, comincerà a tornare.”

      Lenore lo sperava. Se non fossero tornati, la sua battaglia contro l’esercito di Ravin sarebbe finita prima ancora di cominciare.

      CAPITOLO SETTIMO

      “Come procede con l’acqua, Vars?”

      Vars imprecò e gemette mentre lottava per sollevare il secchio che doveva trasportare dalla pompa dietro casa di Bethe.

      Lei lo stava aspettando all’interno, lavorando in cucina per fare il pane. Vars si rese conto che era un compito al quale non aveva mai assistito. Era una cosa che la servitù faceva in cucina, ben lontano dalla vista degli altri.

      La cucina stessa… beh, non era proprio una cucina, perché la sua abitazione si limitava a sole due stanze in realtà, quella e un’altra sul retro per dormire. Entrambe erano poco

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