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nel corso delle generazioni. Le vite umane apparivano così brevi che poteva essere stato messo in una scatola e dimenticato, sepolto e perduto.

      Se è andato perduto, allora non è una minaccia, sottolineò Shadr. Ma non è così.

      “Molta della conoscenza dei draghi è stata perduta,” replicò Nerra. “La gente sa che esistono, o sono esistiti, ma li tratta come qualcosa di remoto, quasi come un mito.”

      C’è chi conosce molte cose, insistette Shadr. Il guardiano di quest’isola è stato messo qui per un motivo, e c’è chi ha fatto in modo che la conoscenza non andasse perduta. Questa è una magia troppo potente per essere dimenticata.

      “Potrebbero esserci dei collezionisti di cose magiche,” affermò Nerra. “C’è sempre chi si diletta con le arti occulte, spingendosi anche molto oltre di quanto azzardi lo stregone reale. Chiunque di questi potrebbe avere l’amuleto.”

      Forse.

      Non sembrava la risposta giusta, però; e, senza che Shadr glielo suggerisse, Nerra sapeva che così non avrebbe funzionato. Tentò di ragionare come gli umani di tanto tempo prima. Cosa avrebbero pensato? Come avrebbero agito?

      “Quelli che vinsero la guerra saranno diventati i nuovi governanti,” disse Nerra.

      Non riesco a ricordare quello che nessuno di noi era lì a vedere, rispose Shadr.

      “No, è così. Comunque chi governava doveva conoscere l’importanza di un’arma del genere. L’avrà dunque tenuta con sé… ma una cosa magica come quella in genere viene assegnata a chi è in grado di usarla.”

      Improvvisamente, le possibilità si fecero molto più ristrette. Chi avrebbe mantenuto la conoscenza dei draghi? Chi avrebbe mantenuto la conoscenza delle cose magiche, ma sarebbe stato comunque pronto quando il re lo avesse convocato? Nerra poteva pensare solo a due possibilità.

      “O ce l’ha lo stregone del re o lo tengono alla Casa degli Accademici,” concluse. “Se è il mago, lo terrà nella sua torre a Royalsport. Se sono gli studiosi… anche loro hanno una Casa a Royalsport, ma un oggetto del genere… credo che lo nasconderebbero nella loro biblioteca di Astare. Greave ne parlava sempre. Voleva andarci prima o poi.” Era strano pensare a suo fratello in quel modo, ora che era così diversa da qualsiasi cosa umana.

      Dobbiamo scegliere dove cercare, disse Shadr. Non mi piace l’idea di andare prima nella città del mago, o nel luogo dei re. Correremmo un rischio troppo grande.

      “Allora andiamo ad Astare?” chiese Nerra.

      Il drago soffiò un sussurro di ombra nel cielo. Andiamo ad Astare e prendiamo l’unica cosa che potrebbe fermarci.

      CAPITOLO QUINTO

      Greave fissava impaziente la costa del Regno del Nord che diventava man mano più visibile. Sospettava di essere un uomo diverso da quando se n’era andato, e non solo perché i suoi lineamenti delicati erano ora abbrutiti da una barba scura, i suoi capelli bruni erano stati increspati dal vento o la sua corporatura esile si era un poco irrobustita per lo sforzo del viaggio.

      Sospettava che neanche la sua stessa famiglia lo avrebbe riconosciuto, nonostante alla fine il marinaio dietro di lui lo avesse fatto. Non aveva mai pensato che avrebbe provato tanta gioia alla vista di casa sua, né tanta preoccupazione. Molte cose erano cambiate da quando era partito, sempre che quello che sosteneva il marinaio che lo stava guidando verso casa fosse attendibile.

      Aveva visto con i suoi occhi l’inizio dell’invasione ad Astare. Se Royalsport era ridotta così… allora doveva fare qualcosa al riguardo. Era partito per cercare di salvare sua sorella e aveva ancora gli strumenti per farlo, infilati in una fiala nella sua cintura. Ora, però, c’erano altre persone da salvare, e Greave non era sicuro di avere le capacità per riuscirci.

      “Quanto ci vorrà prima di raggiungere la terraferma?” domandò all’uomo, che stava in piedi con una mano determinata sulla barra.

      “Non manca molto. Siete sicuro di non voler tornare sull’isola?”

      Greave non poteva negare di essere tentato da quell’idea. L’isola sulla quale era approdato con la sua zattera di fortuna offriva cibo, acqua e riparo a sufficienza per sopravvivere a tempo indeterminato. Sarebbe stata la cosa più facile, la cosa più sicura; rimanere lì e far cessare la guerra, tornando indietro quando fosse tutto finito.

      Questo avrebbe significato abbandonare tutti quelli che amava, però. Le sue sorelle, Aurelle…

      Il suo nome si insinuò nei suoi pensieri senza che lui lo volesse. Nonostante il modo in cui lo aveva tradito, nonostante fosse stata mandata a ucciderlo, non poteva reprimere l’ondata d’amore che accompagnava il pensiero di lei. No, doveva focalizzarsi sugli altri, sulla sua famiglia.

      Guardò la costa avvicinarsi all’orizzonte. Il marinaio condusse l’imbarcazione in un’insenatura appartata, dove vi era un sentiero scosceso che portava verso l’alto. Greave sentì la barca graffiarsi sulle pietre sottostanti e saltò giù, grato di avere di nuovo il terreno sotto i piedi. Si voltò, mettendo le mani sulla barca, pronto ad aiutare a spingerla via.

      “Grazie per il passaggio,” disse al marinaio. “Grazie per avermi portato a casa.”

      “Non ringraziatemi,” replicò l’uomo. “Probabilmente vi ho riportato alla morte.”

      “Comunque,” aggiunse Greave. “Se riusciremo entrambi a superare tutto questo, cercami, e farò in modo che tu sia ricompensato per l’aiuto che mi hai dato. Io mantengo ogni mia promessa e restituisco sempre un favore.”

      “Non siete troppo lontano da Royalsport adesso,” replicò il marinaio. “Andate verso l’entroterra e presto troverete una strada. Poi dirigetevi a sud e vi arriverete in un giorno o due.”

      Greave annuì e aiutò l’uomo a spingere la barca lontano dalla costa di shale; il marinaio iniziò a remare indietro, abbastanza da poter usare di nuovo la vela. Greave lo guardò allontanarsi e poi si voltò, determinato ad avvicinarsi quanto più possibile a Royalsport prima del tramonto.

      Si arrampicò lungo un viottolo che partiva dalla riva e si ritrovò su un altopiano erboso in cima a una piccola scogliera. C’erano alberi e campi in lontananza, e qualcosa che avrebbe potuto essere un piccolo sentiero un po’ più in là. Greave si avviò in quella direzione, ragionando che probabilmente era la sua occasione migliore per trovare una strada più grande, e poi un percorso per Royalsport e la sua famiglia.

      Non era sicuro di cosa avrebbe fatto una volta arrivato, quindi iniziò a riflettere sulla questione. La sua mente era sempre stata la sua più grande risorsa; era riuscito a ricreare una cura per la malattia a squame su un’isola senza risorse. Se aveva fatto una cosa simile, avrebbe senz’altro risolto anche questo problema.

      Non era un problema, però; era una guerra, un’invasione.

      No, disse fra sé e sé. Non aveva importanza; o meglio, era troppo grande e travolgente per lasciare che ne avesse. Se avesse riflettuto sull’impatto sconcertante di una guerra, sulla morte, sul terrore, non sarebbe più riuscito a pensare in modo lucido e a decidere cosa fare dopo.

      Greave sapeva risolvere i problemi. Il filosofo Araxon diceva che il modo appropriato di affrontare un problema era suddividerlo in una serie di problemi più piccoli, segmentarlo fino a ottenere passi piccoli abbastanza perché un essere umano potesse compierli. Naturalmente, il suo rivale Xero aveva scritto che la vera complessità dei problemi poteva essere compresa solo nella sua interezza, ma Greave non pensava che tutto ciò fosse utile in quel momento.

      Era stato scritto molto anche in materia di guerra, come su quasi qualsiasi altro argomento della storia dell’umanità. Greave aveva letto le opere dei maggiori tattici, aveva compreso i principi di ciò che doveva fare. Aveva letto opere di politica e dell’arte di governare, storie di governanti che erano venuti prima. Sperava che una parte di esse gli fornisse le risposte di cui avrebbe avuto bisogno.

      Per il momento, continuò a camminare, cercando di trovare la strada giusta. Continuò a pensare mentre procedeva, a riflettere sul grande problema

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