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regione in cui si trova attualmente Pechino. Era stato donato come feudo a un caro amico dell’imperatore quando fu fondata la dinastia; era in contatto con i Manciù e le tribù coreane che si stavano ritirandosi nella penisola, nonché con altri popoli nomadi ai quali era vetato l’accesso al cuore dell’impero. Troppo lontano dal centro rituale del potere, durante questi anni si concentrò sul garantire il suo dominio tra le tribù della zona.

      A sud degli Yan, nell’odierna provincia dello Shandong, si trovava lo stato dei Qi. Era stato dato come un feudo per premiare i suoi servizi a un consigliere del primo imperatore degli Zhou originario di quelle terre. Quello che all’inizio della dinastia era una regione remota con una piccola popolazione cinese circondata da popoli barbari, era diventato alla fine il più prospero e avanzato degli stati in lotta per il potere. Nel Qi cresce uno stato che, combinando la cultura cinese con le tradizioni locali, la violenza della conquista con la tentazione del commercio, si stava convertendo in un’unica cultura più o meno omogenea formata da piccoli stati dei quali non abbiamo più notizie. Uno dei più famosi di queste entità è lo stato Yi che aveva un ruolo importante durante le dinastie Xia e Shang.

      Il confine settentrionale dei Qi divenne rapidamente il terzo punto di contenimento per i nomadi esterni, costringendoli a rafforzarsi sul terreno militare. Economicamente, vive un grande sviluppo grazie alla sua padronanza della metallurgia del ferro, al commercio del sale marino e all’espansione territoriale a spese delle città situate a nord e sud dei suoi confini. Per questo motivo, anche prima della fine della dinastia Zhou occidentale, i Qi erano già considerati praticamente indipendente.

      Protetti da questa barriera di regni nel nord c’erano gli Zhou, il cui dominio era limitato alla regione vicino alla loro capitale Luoyang; gli eredi Song della dinastia Shang, ad est della capitale, e altri piccoli stati governati da membri della famiglia imperiale, come Cheng, Zheng, Wei, Ji e Lu. Erano gli stati considerati ortodossi della tradizione Zhou, in cui lo sviluppo culturale era in vantaggio rispetto al militare. La loro posizione centrale, non servirà a liberarli dagli attacchi dei barbari, poiché intorno a loro continuavano a esserci una serie di città che non partecipavano alla cultura cinese, abitanti delle terre meno produttive, foreste, montagne e paludi, i cui attacchi sono registrati durante questo periodo. A sud di Henan si estendeva un paese ricco di selva ed estremamente umido, abitato da miriadi di diverse tribù, tra cui sicuramente alcuni discendenti dei Miao. I loro resti archeologici sono attualmente sparsi a sud dello Yangtze; lì governava un unico capo investito dall’imperatore ma sopra il quale non aveva nessun potere, questo leader tribale riuscì a mantenere una certa alleanza tra le tribù della zona, aggregandole sotto il nome di cultura cinese, fatto questo che le mantenne unite. Era denominato paese degli Chu, considerati barbari dagli stati situati più a nord, nonostante i loro governanti si ritenessero discendenti diretti dal lignaggio reale. Erano differenti anche nell’aspetto fisico, la lingua, le abitudini e il credo religioso.

      Chu era considerato da tutti gli altri stati come il regno selvaggio ed esotico, della selva e la magia, la musica e lo sciamanismo. Nonostante questo, il popolo degli Chu fu capace di mantenere la pace internamente ed assicurare le frontiere cinesi lungo la riva nord del fiume Yangtze. Nel VII secolo si considera che questo stato abbia la forza sufficiente per partecipare alle lotte intestine per il potere. Va detto che nella zona nord cinese i popoli sono più militarizzati ed organizzati, mentre nella zona sud sono più deboli da questo punto di vista e di più facile conquista per il popolo Chu.

      È in questo contesto che situiamo il termine “barbaro”, inglobando un elevato numero di popoli differenti che non partecipano al mondo culturale cinese, che non usano il loro sistema di segni per la scrittura, che non considerano l’imperatore come il governante supremo né compartono il sistema liturgico e rituale. Poco si sa delle loro culture, dal momento che quel termine “barbaro” comprende un buon numero di popoli diversi, ma in alcuni casi, non avrebbe dovuto essere così arretrato quando il contatto con loro stimola lo sviluppo degli stati che competeranno per l’egemonia.

Il tempo degli egemoni

      La crescente debolezza degli imperatori di Luoyang renderà necessario un protettore. All’inizio del VII secolo a.C., Qi venne in aiuto dell’imperatore per liberarlo dall’attacco dei Tatari; poco dopo, nell’anno 679 a. C. il duca Huan de Qi (683-643 a.C.), il cui padre aveva già agito come protettore imperiale in occasione di una disputa ereditaria, si proclama protettore.

      Inizia così l’era degli egemoni, in cui i diversi stati, con il pretesto di diventare protettori dell’imperatore, affermavano il loro potere egemonico, convocando incontri periodici con i re degli altri stati in cui venivano concordate una serie di politiche comune, dove si decide il destino della Cina.

      Il più grande merito del duca Huan sono le sue ripetute vittorie sui Tatari settentrionali che minacciano la Cina; infatti salva Yan dai suoi attacchi nel 662, risolve la situazione ereditaria di Wei nel 658, viene espulso dal suo paese dai nomadi e protegge ripetutamente l’imperatore dagli attacchi dei Tatari. Internamente, promuove il commercio e risolve le controversie tra Stati. Durante i suoi quasi quarant’anni di egemonia è assistito nella progettazione delle politiche da Guan Zhong, il cui libro, il Guanzi, un trattato sul buon governo, è un precursore delle opere successive di Confucio e altri filosofi. Grazie a questo burocrata intellettuale si iniziano ad utilizzare queste figure nella corte, ricorsi intellettuali di famiglie non nobili che partecipano al governo dello stato. La politica di Guan Zhong porta la prosperità allo stato dei Qi. Sviluppa l’agricoltura, il commercio e l’industria del sale. Qi è il più ricco ed importante stato cinese. Nella sua capitale arrivano commercianti da tutti gli stati. Per far si che lascino ingenti somme crea la prima casa di prostituzione. Stabilisce un fondo per alleggerire i poveri. Alla morte del duca di Huan, si sussegue un decennio di lotte e scaramucce per raggiungere la supremazia, fino al 636, quando il duca Wen di Jin presiede un concilio di tutti i principi, in nome dell’imperatore, dichiarandosi così l’egemone.

      Questo sarà uno dei personaggi più curiosi dell’epoca. Raggiungendo il trono di Jin dopo 19 anni di vagabondaggio attraverso le diverse corti degli altri stati e alcune tribù tatare, ha una conoscenza precisa della realtà della Cina, ma nonostante abbia il rispetto degli altri stati, non ha il Mandato del Cielo, cioè non ha abbastanza forza militare alle spalle, né un’ambizione imperiale.

      Gli succede il duca Mu di Qin, che sebbene non abbia mai presieduto ufficialmente consigli per conto dell’imperatore, durante il suo regno (659-621 a.C.) fu l’uomo più potente della Cina. Forse il suo più grande merito è stato l’espansione del territorio di Qin ad ovest, che ha probabilmente raggiunto punti lontani come Dunhuang, e le sue ripetute guerre con il vicino Jin.

      L’ultimo degli egemoni è il duca Zhuang di Chu. Domina la Cina dal 597 al 591 a.C. ed estende i territori di Chu in tutte e quattro le direzioni, raggiungendo parti delle attuali province del Sichuan e del Guizhou.

Conferenza di pace

      L’età degli egemoni non porta la pace in Cina. L’inimicizia quasi continua tra Jin e Chu, le controversie territoriali tra Qin e Jin e le politiche per influenzare Lu de Qi e Jin portano a uno stato di continuo confronto che trasforma gli accordi raggiunti nei consigli in parole al vento. Proprio lo scontro tra Jin e Chu segnerà la storia del VI secolo in Cina, interrotta solo dalla conferenza di pace indetta da Song nell’anno 546 a. C.

      Le grandi rivalità sempre finiscono in sofferenza per i piccoli stati, nella nominata conferenza di pace si cercherà di dare un equilibrio politico all’epoca. Gli otto piccoli stati di Song, Lu, Zheng, Wei, Cao, Xu, Chen e Cai pagheranno tributi ai Chu e Jin, mentre i più potenti stati di Qi e Qin, tradizionali nemici di Chue Jin, si trasformeranno in alleati di quest’ultimi rispettivamente.

      La pace esterna rivela solo le contraddizioni interne. In ciascuno degli stati, le famiglie nobili e i militari prendono il potere a spese dei duchi di un tempo, raggiungendo in alcuni casi, come a Jin, la disintegrazione che vedremo in seguito. Non è solo una lotta per il potere, è la fine della concezione di un mondo, in cui il potere politico esercitato dal re e dai nobili, dall’opera divina del Mandato del Cielo, risponde a potenti famiglie. Il rituale che aveva riempito le relazioni politiche degli anni precedenti si svuota. Sebbene molte delle sue forme esterne rimangano, la corsa al potere sembra aperta a tutti.

      Le eccedenze di produzione, lo sviluppo dell’agricoltura

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