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(rispettivamente con 616, 601 e 557 posti letto per 100.000 abitanti); mentre quelli con il minor numero di letti erano Svezia, Inghilterra e Spagna (rispettivamente con 203, 211 e 242 posti letto per 100.000 abitanti)

      La Spagna , nello specifico, si piazzava nella media. Pertanto, e sulla base dei dati precedenti, si può affermare che i paesi dell’Unione europea che dispongono di maggiori risorse personali e materiali per affrontare meglio una crisi sanitaria sarebbero la Grecia, l’Austria e il Portogallo in termini di numero di medici; la Norvegia, l’Islanda e la Finlandia per numero di infermieri; e la Bulgaria, la Germania e la Lituania per numero di letti d’ospedale.

      Al contrario, coloro che sono “i meno preparati” ad affrontare una crisi sanitaria sarebbero la Polonia, la Romania e l’Inghilterra per numero di medici; laGrecia, la Bulgaria e la Lituania per numero di infermieri; e la Svezia, l’Inghilterra e la Spagna per numero di posti letto disponibili. Nel caso specifico della Spagna, rispetto alla media dell’Unione europea presenterebbe più medici e meno infermieri, sempre tenendo conto, come già specificato, che il personale ausiliario che lavora negli ospedali (OCSE / Osservatorio europeo sulla salute) non è incluso nel conteggio ( Sistemi e politiche, 2019).

      Per quanto riguarda il numero dei letti disponibili per 100.000 abitanti, a partire dal 2015 la Spagna era al di sotto della media, con il 43% in meno di letti disponibili per 100.000 abitanti (O.M.S., 2020a)

      Sebbene quanto sopra non ci consenta di stabilire delle distinzioni in termini di criteri di efficienza, qualità delle cure offerte, facilità di accesso o soddisfazione degli utenti rispetto al servizio ospedaliero in ciascun paese e in particolare in Spagna, ciò offre una panoramica della forza o, al contrario, della debolezza che dipendono dal materiale e dalle risorse umane disponibili prima dell’inizio della crisi sanitaria globale.

      Per quanto riguarda la qualità delle cure, si deve tenere presente che di norma quando una persona è ospedalizzata, vuoi per un’operazione imminente o per riprendersi da un trauma o da un intervento, rimane nella struttura per giorni o addirittura settimane. In questo “breve” periodo di tempo, viene seguita dal personale sanitario al completo, con un primario specialista che supervisiona i progressi del paziente.

      Sebbene sia accertato che l’assistenza può essere buona in ospedale, a volte i pazienti e i familiari possono lamentarsi della “freddezza” del personale, in quanto fanno sì il loro dovere ma a volte interagiscono il meno possibile con il paziente e i parenti.

      Ciò perché un tale rapporto è interpretato come superfluo e in alcuni casi addirittura dannoso per il corretto funzionamento dell’ospedale, che considera prioritariamente i progressi fisici del paziente a scapito di quelli emotivi. Tuttavia, in alcuni centri sanitari si lavora a stretto contatto con gli psicologi clinici, che addestrano il personale sanitario a relazionarsi e comunicare in modo appropriato con i pazienti.

      Soprattutto nel caso in cui è necessario dare “cattive notizie”, bisogna agire con cautela e sapere come affrontare le reazioni negative dei pazienti, che possono oscillare tra la depressione e gli scoppi d’ira.

      Ma sebbene sia vero che sapere come comunicare è importante, tuttavia ciò non è sufficiente per una relazione medico-paziente di qualità, quindi cosa si dovrebbe fare per migliorare l’assistenza ai pazienti?

      Questo è ciò a cui si è cercato di rispondere attraverson uno studio condotto dal Nursing Care Research Center, la School of Nursing and Midwifery, insieme all’ospedale Firoozgar dell’Università di Scienze mediche dell’Iran; il Centro di ricerca e medicina cardiovascolare Rajaie dell’Università dell’Iran di scienze mediche; e Teheran University of Medical Sciences (Iran) (Khaleghparast et al., 2016).

      Si è trattato di uno studio di tipo qualitativo in cui sono stati intervistati 51 utenti ospedalieri, tra pazienti, parenti e personale sanitario.

      L’argomento del colloquio semi-strutturato riguardava le politiche di visita medica del centro, prestando particolare attenzione al confronto tra politiche restrittive e politiche aperte.

      Per quanto riguarda le politiche restrittive per l’assistenza ai pazienti, esse sono regolate da una pianificazione prestabilita per la visita del personale sanitario, in cui sono fissati sia l’ora della visita sia l’ora della visita.

      Nel caso delle politiche aperte, invece, non esistono orari di visita, né vi è alcuna restrizione sul tempo trascorso con il paziente.

      Le risposte di tre gruppi, pazienti, parenti e personale sanitario, sono state classificate e poi analizzate. Quindi, per quanto riguarda le politiche restrittive i risultati evidenziano il vantaggio di evitare il caos, di garantire visite mediche anche a pazienti che non desiderano essere visitati, un maggior controllo delle infezioni, una maggiore stabilità e regolarità del personale; tra gli svantaggi, si rileva una mancanza di “connessione” emotiva, una scarsa conoscenza dii informazioni sulle condizioni del paziente e tempi dii visita specialistica molto brevi.

      All’opposto, nel caso delle politiche aperte, tra i vantaggi si annoverano la riduzione dello stress nel paziente e l’aumento del suo senso di sicurezza, un’assistenza alle famiglie durante la cura del paziente, nonché una migliore informazione ai parenti e al paziente stesso e la creazione di un clima migliore nella relazione medico-paziente. Tra gli svantaggi, la violazione della privacy del paziente e l’interferenza esterna durante il trattamento sanitario

      Come sottolineato dagli autori, sono necessarie nuove ricerche prima che si possano trarre conclusioni a riguardo, principalmente a causa del numero ridotto di partecipanti allo studio e della metodologia qualitativa utilizzata. Nonostante ciò, va notato che le politiche restrittive garantiscono la visita di un medico una volta al giorno; qualcosa che viene percepito come insufficiente sia dai i pazienti che dai familiari. Allo stesso modo, il personale sanitario si sente più a suo agio nelle politiche aperte, in quanto senza perdere la propria dignità professionale può offrire ai pazienti un’assistenza più personalizzata e di migliore qualità.

      Nonostante i vantaggi esposti dell’uno o dell’altro sistema, bisogna tenere presente che l’applicazione di questi risultati a un centro sanitario dipenderà molto dalle sue dimensioni; quindi le politiche aperte sembrano più adatte a un centro sanitario di dimensioni medio o piccolo dove il personale può concedersi un “tempo di qualità” con i propri pazienti senza l’obbligo di rispettare un programma rigoroso, mentre in centri più grandi, dove il numero di pazienti per medico è elevato, il sistema migliore sarebbe quello delle politiche restrittive, affinché venga garantita l’assistenza minima ad ogni paziente.

      Malgrado ciò dovrebbe essere tenuto nel giusto conto la richiesta espressa da parte dei pazienti e dei loro familiari che il personale sanitario non perda il “calore” delle relazioni umane durante il periodo di assistenza, siano esse restrittive o aperte. In altre parole, e tornando al senso originario di questo paragrafo, questi sono i dati riguardanti le risorse umane del personale sanitario, intese come medici e infermieri, nonché le risorse materiali, intese come il numero di posti letto disponibili, indipendentemente da altri fattori come la qualità dell’assistenza sanitaria o la presenza o meno di sofisticate attrezzature tecnologiche.

      Per conoscere questi altri aspetti, è necessario utilizzare l’Health Consumer Powerhouse Ltd, che pubblica annualmente l’Euro Health Consumer Index, che tiene conto di 46 indicatori raggruppate in settori specifici, come i diritti dei pazienti o le informazioni ricevute, stabilendo da ciò una classifica dei sistemi sanitari presenti in Europa. In base ai dati raccolti sembra che il miglior punteggio nella classifica del 2018 lo abbiano avuto la Svizzera, i Paesi Bassi e la Norvegia, mentre il peggior punteggio è stato assegnato all’ Albania, alla Romania e all’ Ungheria (Health Consumer Powerhouse Ltd, 2018) (vedi Figura 4).

      Anche con tutti i dati in nostro possesso, non è possibile stabilire a priori quale paese resisterà meglio ad una crisi.sanitaria, poiché in tali circostanze le risorse disponibili in termini di personale e numero di posti letto possono essere più rilevanti rispetto ai risultati in termini di soddisfazione dei diritti del paziente o delle informazioni che essi ricevono…

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      Foto 4 Ranking Sistema Sanitario in Europa

      Inoltre, e insieme

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