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alla porta e cercò di aprirla, ma non ci riuscì.

      «Siamo chiusi dentro. Tutto questo è per colpa tua.»

      «Non ti arrabbiare Marta. Non ho niente a che vedere con queste cose.»

      «Sì, perché tu sai tutto. Non hai idea di quanto mi hai fatto soffrire. Discutiamo sempre, tu stai sempre con i tuoi amici e mai con me. E ieri? Che cosa facevi con Miss Denti Perfetti? È che non mi ami più?»

      «Va bene, se vuoi risponderò a tutto, ma stai calma perché ti stai sbagliando. Sì, discutiamo, e allora? Tutti discutono! È normale in una coppia. La cosa dei miei amici è l'opposto, sono sempre con te, e non so perché ti lamenti che non passo più tempo con te, quando ho quasi perso i miei amici per causa tua. E con Paula sono andato solo per prepararti una festa a sorpresa per il tuo compleanno. E ora per favore, proviamo a uscire da qui.»

      Marta adesso era quella che aveva le lacrime agli occhi, aveva parlato troppo negli ultimi minuti, o almeno così le sembrava. Cercarono altre uscite come porte o finestre posteriori, ma non c'erano altre porte e le finestre avevano le inferriate.

      Dopo molte ricerche trovarono un vecchio pianoforte molto grande. E dietro di esso quella che sembrava una porta.

      «Penso che abbiamo trovato un'uscita» disse Marta un po' più felice ora.

      «Non ricordo che questa porta fosse nel museo.»

      La aprirono, ma quello che trovarono era terribile. C'erano dei cadaveri!

      «Che cos'è questo?» Marta iniziò a vomitare.

      «Marta questi sono i corpi delle persone uccise nel museo, non li hanno mai trovati.»

      «Ma chi le ha uccise? Ho paura. Credo che non siamo soli.»

      «Prima in strada ho visto un'ombra.»

      «Non dirmelo, voglio andarmene, per fortuna che ho te.»

      «Avrai sempre me.»

      «Ti amo.»

      «Ed io amo te. Ma questo non è il momento delle dichiarazioni d'amore, dobbiamo salvare le nostre vite.»

      Dopo quel momento, un pezzo di tetto precipitò su di loro, a causa del peso dell'acqua caduta per la pioggia, che non smetteva di fare rumore.

      «Marta, stai bene?»

      Era priva di conoscenza, svenuta senza una ragione apparente.

      Juan esaminò alcuni documenti trovati nella stanza del pianoforte in cerca di soluzioni, ogni volta era più disperato. Tra così tante carte, qualcosa cadde a terra. Un piccolo oggetto che sembrava una chiave.

      Juan si fece coraggio e tornò nella nuova stanza, non si vedeva nulla. Prese una delle candele che erano sul vecchio piano, poiché nella stanza sinistra non c'era luce elettrica. L'accese, entrò e in mezzo a tanti cadaveri trovò una piccola scatola. Aveva una serratura molto speciale, non esitò un attimo e indovinò, la chiave che aveva appena trovato si incastrava perfettamente nella scatolina. La delusione arrivò quando aprendola non trovò nulla in essa. Pensò che quella scatola doveva essere importante, quindi cercò uno scomparto segreto e lo trovò. Ma tutto ciò che vide fu una foto consumata dal tempo, si distingueva un'intera famiglia, dovevano essere gli Esteban, pensò Juan.

      Marta si alzò e vide il suo ragazzo, ma accanto a lui c'era qualcun altro, un fantasma.

      «Non può essere. Io non credo ai fantasmi.»

      «Come hai detto, tesoro?»

      «Corri! C'è qualcuno dietro di te.»

      «Non dire cazzate, qui ci siamo solo io e te.»

      All'improvviso una mano si posò su Juan, era spettrale, ma non si poteva attraversarla, come Juan o Marta avrebbero immaginato.

      Juan corse da Marta, lei era la sua priorità.

      «Corri! Andiamocene!»

      Marta cadde lungo il percorso che portava all'ingresso.

      «Juan, vai e salvati.»

      «No! Ora capisco, è Orberto Esteban, è il figlio maggiore degli Esteban, dell'ultima generazione, lui li ha uccisi! E il suo spirito ha ucciso i visitatori del museo.»

      «Perché?» disse Marta mentre si rialzava aiutata da Juan. «I fantasmi non vogliono riposare?»

      «Sì, ma anche lui è morto qui, si è suicidato, non ha mai potuto andarsene. Quando ha ucciso i suoi genitori e i suoi fratelli si è pentito e la sua anima vaga per la casa.»

      «E le persone del museo?»

      Juan si fermò di colpo, la sua faccia era bianca.

      «Erano lontani parenti», disse Juan, pensando che suo nonno aveva antenati comuni con gli Esteban. «La missione di Orberto era quella di uccidere la sua famiglia e tutti quelli che avevano a che fare con essa.»

      «Ciao,» disse una strana voce.

      «Puoi parlare?» Marta non si capacitava del proprio stupore.

      «Tu, ragazzina, chi sei? E tu, bambino, la tua anima mi appartiene.»

      «Fantasma, non sono una ragazzina, e lascerai in pace il mio ragazzo.»

      «Se vuoi che uccida anche te, ok, lo farò.»

      «Lasciaci in pace, non siamo della famiglia Esteban, tu hai ucciso mio nonno e io ti ucciderò.»

      «Non uccido le persone tanto per uccidere, uccido solo quelli che vogliono rubare la mia casa e loro sono il mio sangue.»

      «Ma se non hai sangue!»

      Era abbastanza tardi, e a casa di Juan bussarono ripetutamente alla porta. Erano i genitori di Marta, che erano preoccupati.

      Lili, la madre di Marta, disse:

      «Mi ha detto che non sarebbero stati via a lungo e sono le due del mattino, non so dove possono essersi cacciati.»

      «Sono sicuro che stanno bene, se volete andiamo a cercarli, per ogni evenienza» disse Leon, il padre di Juan.

      Li cercarono per molte strade, ma nessuna traccia. Leon notò che non c'era la luna, che gli riportò alla mente brutti ricordi, poiché anche la notte in cui suo padre morì non c'era la luna, in quelle notti sembrava che qualcuno la rubasse.

      All'improvviso, Mar, la madre di Juan, udì qualcosa. Veniva dalla casa abbandonata, il che attirò la sua attenzione, perché nessuno viveva lì.

      «Penso che siano lì» disse Mar.

      «Andiamo a vedere» disse con voce decisa Jorge, il padre di Marta.

      La porta era bloccata. Ma fecero rumore e i loro rispettivi figli li udirono.

      «Mamma! Papà! Siamo in trappola! Un fantasma vuole ucciderci.»

      « Figlia mia stai tranquilla, state bene?» chiese Lili preoccupata.

      Crearono un tale trambusto tutti insieme, che alcuni vicini avvertirono la polizia per la confusione, altri si avvicinarono al posto per vedere cosa stava succedendo, e tra tutta la folla lì riunita, non si sa come, aprirono la porta.

      Prima che la porta si aprisse qualcosa accadde dentro la casa.

      «Ragazzo, dammi quella foto,» ordinò il giovane, «Io vivo lì, come l'hai avuta? Non la vedevo da quando … Ho ucciso la mia famiglia. La mocciosa della mia sorellina dovette nasconderla.»

      «Così tu vivi qui» Juan strappò la foto in molti pezzi, facendo sì che il fantasma di Orberto si disintegrasse lasciando un mucchio di sabbia e cenere. Solo un secondo dopo la porta della casa si aprì.

      I giovani raccontarono la storia passo dopo passo, saltando la loro discussione e la riconciliazione, naturalmente. I corpi trovati in quella stanza furono sepolti nel cimitero municipale.

      La polizia non credette mai che ci fosse davvero un fantasma. Riguardo a loro, continuarono con le loro vite come prima.

      Joan

      Joan nacque un giorno qualunque, in una città comune, in un’epoca attuale. Durante la

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