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o poco di più. La Sindone? In certe figurazioni che rappresentano il mandylion, come le immagini di Spas Neredica vicino a Novgorod in Russia, a Gradac in Serbia, a Laon Aisne in Francia, esso appare come un reliquiario rettangolare a losanghe con centrale un viso con barba e capelli lunghi. Nel 1984 il sindonologo J. P. Jackson aveva evidenziato l’esistenza sul Telo di Torino di tracce di smagliature ininterrotte, presenti per tutta la larghezza, corrispondenti a una piegatura in otto zone rettangolari di centimetri 110 x 55 ciascuna: se la Sindone venisse piegata in tal modo, facendo cioè risultare come superiore il rettangolo comprendente il Volto, questo sarebbe quasi al centro del riquadro, un po’ verso l'alto, mentre apparirebbero sotto di esso il busto e una piccola parte del costato20 . Si consideri che è tutt’altro che inverosimile che a Edessa si fosse voluto presentare solamente la faccia o poco più dell’Uomo svestito e martoriato, nell’ipotesi ovviamente che si trattasse della Sindone: per motivi di decenza secondo la mentalità del tempo, per la quale un’immagine rappresentante il corpo, appunto, nudo e torturato di Cristo era considerata del tutto scandalosa; e si osservi, più in generale, che per analoga ragione non si componevano affatto in quei secoli pitture o mosaici rappresentanti Gesù senza vesti, e d’altro canto, non esistevano nemmeno raffigurazioni di Gesù crocifisso pur se coperto da perizoma: sarebbero state composte solo secoli dopo.

      Una leggenda era sorta anticamente attorno al fazzoletto di Edessa, giunta a noi con alcune varianti:

      Il mandylion sarebbe stato composto miracolosamente da Gesù come dono ad Abgar V detto Ukama, “il Nero”, re di Edessa nel I secolo dal 13 al 50, che gravemente sofferente di lebbra, tramite suoi messaggeri inviati a Gerusalemme in occasione della settimana di Pasqua, aveva invitato il Nazareno alla propria corte sperando di esserne miracolato. Non potendo però recarsi da lui, mancavano pochi giorni alla sua crocifissione, Cristo l’aveva guarito tramite la visione di quell’icona, fatta pervenire al sovrano dai delegati. Secondo un’altra versione, la pittura sarebbe stata realizzata a tempera da un pittore, un certo Anania, inviato espressamente a Gesù dal re. Secondo un’altra leggenda ancora, il dipinto sarebbe stato fatto da Anania ma Gesù, non convinto del risultato, intingendo le dita nei colori avrebbe apportato qualche ritocco rendendo il Volto perfettamente somigliante al suo. In ogni caso, il sovrano era guarito alla vista dell’immagine e si era perciò convertito al Cristianesimo, con lui suo figlio Ma’nu V che, per breve tempo, sarebbe stato re dopo la sua morte; e però il nipote di Abgar, Ma’nu VI, salito al trono nel 57, avrebbe invece ripristinato il paganesimo e perseguitato i cristiani. Ancor oggi nella chiesa genovese di San Bartolomeo degli Armeni si venera un’icona dipinta a tempera a base di chiara d’uovo che sarebbe proprio quella mandata da Gesù a re Abgar. Ovviamente se il mandylion fosse stato un dipinto, esso non avrebbe potuto aver nulla a che vedere con la Sindone. Semmai, nella realtà storica, quella di Genova è un’antichissima icona bizantina ispirata dal mandylion e, forse, realizzata a Edessa.

      Icona a tempera nella Chiesa di san Bartolomeo degli Armeni in Genova

      Secondo tradizioni disparate, greche, arabe e siriache, verso la metà del X secolo l’imperatore d’Oriente Romano I Lecapeno desiderava che il mandylion venisse traslato a Costantinopoli. Il Volto del Cristo di Edessa era considerato da tutti acheropito, cioè “non fatto da mano umana”, e soprattutto per questo era venerato21 .. L’Anatolia era da tempo sotto i Turchi che, essendo islamici e dato che per essi Gesù era, ed è, il secondo più importante profeta dopo Maometto, veneravano il mandylion considerandolo protettore della città22 . Volendo avere la stessa tutela, l’imperatore Romano I aveva mosso guerra ai turchi inviando contro di loro un potente esercito agli ordini del generale Giovanni Kurkuas che, nella primavera dell’anno 943, aveva espugnato Edessa. Il generale bizantino aveva chiesto all’emiro della città sconfitta la consegna del mandylion, nel frattempo nascosto dagli assediati, e per ottenerla aveva concesso indulgenza agli abitanti, liberato 200 prigionieri e promesso il pagamento di ben dodicimila monete in metallo prezioso (secondo alcune fonti monete d’argento, secondo altre addirittura d’oro). Nonostante le proteste del popolo, l’emiro aveva accettato e consegnato la reliquia al generale Kurkuas. Il mandylion era giunto a Costantinopoli il 15 agosto 944, festa della Dormizione di Maria (poi dell’Assunzione). Lo stesso mandylion - o Sindone ripiegata? - dopo la consegna ufficiale all’imperatore era stato messo nella cappella del Faro annessa al Boukoleon, palazzo di Romano I.

      Una miniatura del Codice Skilitzis, manoscritto bizantino realizzato fra il XI e il XIII secolo, attualmente custodito nella Biblioteca Nazionale di Madrid, raffigura la consegna del mandylion all’imperatore Romano I Lecapeno, affiancato dal patriarca di Costantinopoli Teofilatto e da dignitari. Come si vede nell’immagine, al centro risalta l’immagine di Cristo che, quasi tridimensionalmente, si erge dal telo:

      Il 16 agosto 944, giorno successivo all’arrivo del mandylion a Costantinopoli, l’arcidiacono Gregorio della cattedrale di Santa Sofia, referendario incaricato dei rapporti ufficiali tra il patriarca e l’imperatore, teneva dal pulpito del duomo un’omelia sull’evento. Nella Biblioteca Vaticana ne è conservato il manoscritto (Cod. Vat. Gr. 511, ff. 143-150v, catalogata De Christi imagine Edessena23 ). Gregorio, dopo aver affermato che intende parlare dell’impronta portata da Edessa nel corrente anno 6452 (secondo la datazione biblica, corrispondente al 944 dopo Cristo), descrive con toni appassionati il mandylion, ch’egli chiama sindone riferendosi, evidentemente, ai tre Vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) i quali, diversamente da quello di Giovanni, usano appunto tale termine; dice Gregorio dell’immagine: “Impronta impressa unicamente dai sudori d’agonia del volto del Principe della Vita, che sono colati come rivoli di sangue, e dal dito di Dio. Sono stati essi gli ornamenti che hanno colorato la vera impronta del Cristo; e l’impronta, dopo che essi sono colati, è stata resa anche più preziosa dalle gocce del suo costato. I due fatti sono pieni d’insegnamenti: qua sangue e acqua, là sudore e immagine. Quale equilibrio delle realtà, poiché esse [originano] da un Solo e Unico [Essere]; ma vi si vede anche la fonte d’acqua viva ed essa disseta insegnando che i sudori artefici dell’immagine, la quale fa scorrere il fianco della [comune] natura a ciascuno, [l’impronta] hanno prodotto. A mano a mano ci si abitua a qualcosa che non si era mai visto prima e di cui occhio e mente non avevano esperienza. Un’immagine non delineata sui bordi, che sfuma in niente, che se ti avvicini, via, via, impallidisce e scompare, e se ti allontani riappare; un colore estenuato, pallidissimo, che non sapresti definire, che quasi sconfina dalla scala cromatica; due lunghe impronte di un corpo spogliato, di fronte e di schiena, così stranamente e illogicamente accostate; una quantità di segni evidentemente sanguinosi, stampati anch’essi sulla pelle di una somma immobilità cadaverica […] prima di sprofondare in quella lunga contemplazione senza parole che è sempre, per chiunque, la prima osservazione della sindone. Per tutti, il primo impatto con la sindone è un lungo guardare in un lungo silenzio”.

      Ovviamente l’uso del termine sindone in quell’antica omelia non è una prova che il riferimento fosse proprio alla Sindone di Torino. Tuttavia è molto importante la citazione del corpo di Gesù e non del solo suo volto, perché fa intendere che si trattava d’un lenzuolo e non d’un fazzoletto.

      Miniatura del XV secolo rappresentante la conquista latina di Costantinopoli

      Nel 1204 accade la tragedia: l’Impero d’Oriente è attaccato dai combattenti della IV Crociata, che era stata organizzata in Occidente per liberare dai musulmani la Terra Santa e che mai l’avrebbe raggiunta; e il 12 aprile Costantinopoli è espugnata, fra orribili massacri e tremendi saccheggi di tesori e di reliquie sacre. Se è vero che solo la I Crociata aveva avuto anche forti motivazioni ideali oltre alle solite ragioni economiche e di potere, tuttavia prima del 1204 non si era forse ancor arrivati a tal punto di cinico, sanguinario affarismo in ambiente cristiano. Al comando della meschina spedizione vi sono, in testa, il conte Baldovino IX di Fiandra e, sotto di lui, i condottieri francesi Guglielmo di Champlitte, Goffredo di Villehardouin, Ottone de La Roche signore della Borgogna e i comandanti

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