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disse con un po’ troppa veemenza.

      Poi alzò il pollice e il mignolo verso Maya, come a mimare un telefono. Sembrava le volesse dire che avrebbe chiamato qualcuno.

      La prego, vada via.

      Mentre la donna si voltava verso la porta, Rais fece un movimento tanto rapido da risultare impercettibile. Successe così in fretta che all’inizio Maya pensò di aver avuto le traveggole. La bionda si paralizzò, sgranando gli occhi per lo shock.

      Un sottile getto di sangue fuoriuscì dalla sua gola squarciata, spruzzando lo specchio e il lavandino.

      La ragazza si strinse entrambe le mani sulla bocca per soffocare il grido che le si alzò dalle labbra. La donna cercò di chiudersi la gola ma non c’era modo per riparare il danno che aveva subito. Il sangue le scorse in rivoli tra le dita e lei cadde sulle ginocchia, emettendo un gorgoglio.

      Maya strinse forte gli occhi, continuando a pigiarsi la bocca. Non voleva guardare. Non voleva vedere quella donna che moriva a causa sua. Respirò in lunghi singulti tremanti. Dal cubicolo accanto sentì Sara piangere piano.

      Quando osò riaprirli, la donna sembrava fissarla. Aveva una guancia appoggiata sul pavimento sporco e bagnato.

      La pozza del sangue che le era colato dalla ferita le raggiungeva quasi i piedi.

      Rais si chinò per pulire il coltello sulla camicetta della morta. Quando alzò lo sguardo su Maya, non c’era né rabbia né turbamento nelle sue iridi verdi. C’era solo delusione.

      “Ti avevo detto che cosa sarebbe successo,” disse a bassa voce. “Hai cercato di farle un segno.”

      Le lacrime le annebbiarono la vista. “No,” riuscì a rispondere tra i singhiozzi. Non riusciva a controllare il tremito delle labbra, né quello delle dita. “Non ho…”

      “Sì,” la interruppe lui calmo. “L’hai fatto. Il suo sangue è sulle tue mani.”

      Maya cominciò a iperventilare. Respirava in ansimi strozzati. Si sporse in avanti per mettere la testa tra le ginocchia, con gli occhi stretti e le dita tra i capelli.

      Prima il signor Thompson e poi quella sconosciuta innocente. Erano morti entrambi perché le si erano avvicinati troppo, perché avevano cercati di opporsi a quel maniaco. E lui aveva già dimostrato due volte di essere disposto a uccidere per raggiungere il suo obiettivo.

      Quando finalmente riprese il controllo di sé e alzò lo sguardo, Rais aveva preso la borsa nera della donna e stava controllando il contenuto. Lo guardò estrarre un telefono e togliergli la batteria e la carta SIM.

      “Alzati,” le ordinò poi entrando nel suo cubicolo. Lei obbedì in fretta, spingendosi contro la parete metallica e trattenendo il fiato.

      Rais scaricò la batteria e la carta nel gabinetto. Si voltò verso di lei, ad appena pochi centimetri di distanza nello spazio stretto. Maya non riusciva a incontrare il suo sguardo, e invece gli fissò il mento.

      L’uomo le fece dondolare qualcosa davanti al volto: le chiavi di un’auto.

      “Andiamo,” disse piano. Uscì dallo spazio ristretto, camminando senza alcuna esitazione in mezzo alla pozza di sangue per terra.

      Maya batté le palpebre. Non si erano fermati perché lei potesse andare in bagno. Non era stata una dimostrazione di umanità da parte dell’assassino. Era stato solo un modo per liberarsi del pick-up di Thompson. Perché la polizia lo sta cercando.

      Almeno sperava che fosse così. Se suo padre non era ancora tornato, era improbabile che qualcuno si fosse accorto della loro scomparsa.

      Avanzò con cautela per evitare il sangue, e per non guardare troppo a lungo il cadavere sul pavimento. Si sentiva le membra di gelatina. Era debole e impotente contro quell’uomo. Tutta la determinazione che aveva radunato solo qualche minuto prima in auto si dissolse come zucchero nell’acqua bollente.

      Prese Sara per mano. “Non guardare,” le sussurrò, e guidò la sorellina attorno al corpo. Sara fissò il soffitto, prendendo profondi respiri con la bocca. Aveva le guance macchiate di lacrime fresche. Il suo volto era bianco come un foglio di carta e le sue dita erano fredde e bagnate di sudore.

      Rais aprì la porta del bagno di qualche centimetro per controllare l’esterno. Poi alzò una mano. “Aspettate.”

      Maya sbirciò oltre di lui e notò un uomo in carne con un cappellino da camionista uscire dalla toilette dei maschi, asciugandosi le mani sui jeans. Strinse Sara a sé, cercando istintivamente di riordinarsi i capelli scompigliati.

      Non poteva lottare contro quell’assassino, non senza un’arma. Non poteva cercare l’aiuto di uno sconosciuto, o gli avrebbe fatto fare la stessa fine della donna morta alle loro spalle. Aveva solo una possibilità: doveva aspettare e sperare che il padre le trovasse… e lui avrebbe potuto riuscirci solo avendo un’idea di dove fossero, ma non c’era modo per lasciargli un messaggio. Non c’era niente che poteva usare come traccia o indizio.

      Pettinandosi i capelli trovò un nodo e si strappò qualche filo scompigliato. Scosse la mano e li lasciò cadere lentamente a terra.

      I capelli.

      Aveva i capelli. E sarebbero stati testati in laboratorio, era una normale procedura della scientifica. Sangue, saliva e capelli. Erano tre cose che dimostravano la sua presenza, e che al momento in cui le aveva lasciate lì era ancora viva. Quando le autorità avessero trovato il pick-up di Thompson, avrebbero anche scoperto il cadavere della donna e avrebbero prelevato campioni. Avrebbero trovato i suoi capelli. Suo padre avrebbe capito che erano state lì.

      “Muovetevi,” ordinò loro Rais. “Fuori.” Tenne la porta perché le due ragazze, tenendosi per mano, potesse uscire. Le seguì, guardandosi attorno un’ultima volta per accertarsi che non ci fosse nessuno. Poi estrasse la pesante Smith & Wesson del signor Thompson e la roteò tre le dita. Con un unico gesto fluido, sferrò un colpo con il calcio per spezzare la maniglia del bagno.

      “La macchina blu.” Indicò il mezzo con il mento mettendo via la pistola. Le ragazze si diressero piano verso la berlina parcheggiata a poca distanza dal pick-up di Thompson. La mano di Sara tremò nella sua, ma forse era quella di Maya a scuoterle entrambe, non ne era certa.

      Rais manovrò l’auto per uscire dalla piazzola e rimettersi in viaggio sulla strada, ma non più verso sud, la direzione che avevano seguito prima. Tornò indietro muovendosi verso nord. Maya capì che cosa stava facendo. Quando le autorità avessero trovato il pick-up di Thompson, avrebbero pensato che avesse continuato per la stessa strada. Avrebbero cercato l’assassino, e loro due con lui, nel posto sbagliato.

      Si strappò qualche capello e lo lasciò cadere a terra nella macchina. Lo psicopatico che le aveva rapite aveva ragione su una cosa: il loro fato sarebbe stato determinato da un altro potere, rappresentato da Rais. Ed era qualcosa che lei non capiva appieno.

      Avevano solo un modo per evitare qualsiasi cosa quell’uomo avesse in serbo per loro.

      “Papà verrà a salvarci,” sussurrò all’orecchio della sorella. “Ci troverà.”

      Cercò di sembrare più sicura di quanto non si sentisse.

      CAPITOLO DUE

      Reid Lawson salì in fretta le scale della sua casa ad Alexandria, in Virginia. Si sentiva rigido, con le gambe ancora insensibili per lo shock di qualche minuto prima, ma il suo volto era una maschera di cupa determinazione. Fece i gradini due alla volta fino al primo piano, anche se temeva quello che vi avrebbe trovato, o più precisamente, quello che non vi avrebbe trovato.

      Al piano di sotto e nel cortile c’era una grande attività. Nella strada di fronte alla casa c’erano non meno di quattro auto della polizia, due ambulanze e un camion dei pompieri, come da protocollo nelle situazioni come quella. Agenti in uniforme stavano tendendo il nastro giallo a X davanti alla porta. La scientifica stava raccogliendo campioni del sangue di Thompson nell’ingresso e i follicoli

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