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stava in pratica esplodendo in petto. Camminò con sua madre e la sua schiera di domestiche, giù per le scale del castello, diretta verso l’atrio che dava sulla grande sala da pranzo.

      Il castello brulicava di persone, tutte indaffarate con i preparativi del matrimonio, molte stavano anch’esse procedendo verso la grande sala. Il castello era un luogo di angoli tortuosi e stanze che si aprivano l’una nell’altra; l’intera struttura a spirale, molto simile alla disposizione della città, era finalizzata a ostacolare gli invasori, che avrebbero dovuto affrontare livelli su livelli di difese. I suoi predecessori l’avevano però reso qualcosa di migliore di una roccaforte in pietra grigia, e ogni stanza era stata dipinta con colori così luminosi che sembravano inglobare il mondo esterno. Beh, forse non il mondo della città, gran parte del quale fin troppo triste e composto da pioggia, fango, fumo e vapori irrespirabili.

      Lenore si fece strada giù attraverso una galleria da passeggio, che aveva dipinti dei suoi predecessori affissi lungo una parete, ognuno più d’impatto e raffinato del precedente. Da lì, scese su una scala a chiocciola che conduceva, mediante una serie di stanze dei ricevimenti, all’atrio che precedeva la grande sala. Si fermò insieme a sua madre fuori dalla porta, in attesa che le domestiche la aprissero per annunciarle.

      “La principessa Lenore del Regno del Nord e sua madre, la regina Aethe.”

      Entrarono, e lui era lì.

      Era… perfetto. Non c’era altra parola per descriverlo quando si girò a guardare Lenore, dedicandole l’inchino più elegante che avesse visto da tempo. I corti capelli scuri formavano dei ricci meravigliosi, i suoi tratti erano fini, quasi impeccabili, e aveva una corporatura snella e atletica allo stesso tempo, racchiusa in un panciotto abbottonabile con spacco di colore rosso e delle brache grigie. Sembrava forse di un anno o due più grande di lei, ma era eccitante più che spaventoso.

      “Vostra maestà,” esordì guardando la madre di Lenore. “Principessa Lenore. Sono Finnal di Casa Viris. Posso soltanto dirvi che non vedevo l’ora di arrivare a questo momento. Siete ancora più graziose di quanto avessi immaginato.”

      Lenore avvampò, e non era solita farlo. Sua madre le aveva sempre detto che non stava bene. Quando Finnal le porse una mano, la prese con quanta più grazia possibile, sentendo la forza che racchiudeva e immaginando come sarebbe stato se le avesse usate entrambe per tirarla a sé e baciarla, o anche qualcosa di più…

      “Dopo di voi, non credo di essere io quella graziosa,” disse lei.

      “Se brillo, è solo grazie alla luce che emanate,” rispose. Così bello, riusciva anche a fare complimenti tanto poetici?

      “Quasi non riesco a credere che, fra appena una settimana, saremo sposati,” affermò Lenore.

      “Credo sia perché non siamo stati noi ad aver negoziato il matrimonio per mesi,” replicò Finnal, rivolgendole un sorriso splendente. “Ma sono felice che i nostri genitori l’abbiano fatto.” Si guardò intorno nella stanza, verso la madre di lei e le domestiche al suo seguito. “È quasi un peccato che non possa avervi tutta per me, Principessa, ma forse è anche un bene. Temo che potrei smarrirmi nei vostri occhi e poi vostro padre si arrabbierebbe con me per essermi perso gran parte del suo banchetto.”

      “Riuscite sempre a fare complimenti così carini?” chiese Lenore.

      “Solo quando sono meritati,” rispose.

      Quasi si sentì travolgere dal pensiero di lui mentre gli era in piedi accanto, davanti alla porta che dall’atrio conduceva alla grande sala. Quando i domestici la aprirono, poté vedere il banchetto in pieno svolgimento; udì la musica dei menestrelli e vide gli acrobati dedicarsi all’intrattenimento più in là nella sala, dove sedeva la gente comune.

       “Dovremmo entrare,” disse sua madre. “Tuo padre desidera senza dubbio mostrare la sua approvazione a questo matrimonio, e sono certa che voglia vedere quanto sei felice. Lo sei, Lenore?”

      Guardò il suo promesso sposo negli occhi e poté solo annuire.

      “Sì,” rispose.

      “Ed io farò il possibile affinché restiate tale,” disse Finnal. Le prese la mano e se la portò alle labbra; e il calore di quel contatto la pervase. Si ritrovò a immaginare tutti gli altri posti che avrebbe potuto baciare e lui sorrise di nuovo, come consapevole dell’effetto che stava avendo su di lei. “Presto, mio amore.”

      Suo amore? Lo amava davvero, dopo così poco che lo conosceva? Poteva amarlo quando c’era stato solo quel fugace momento di contatto? Lenore sapeva che era assurdo pensare che fosse possibile, era qualcosa che si leggeva nelle poesie, ma in quel momento ne era convinta. Oh, se lo era.

      Sorridendo, avanzò in perfetta armonia con Finnal, consapevole che insieme dovevano sembrare qualcosa di leggendario a chi guardava, muovendosi come una cosa sola, uniti insieme. Presto lo sarebbero stati davvero, e quella prospettiva le bastava mentre si univano al banchetto.

      Niente, pensò, avrebbe potuto rovinare quel momento.

      CAPITOLO QUARTO

      Il principe Vars scolò un boccale di birra, assicurandosi di avere un’ottima visuale di Lyril mentre lo faceva. Era immobile, ancora nuda nel suo letto, seduta a guardarlo con un interesse piuttosto evidente, e i lividi della notte precedente erano appena visibili.

      Non poteva fare altrimenti, pensò Vars. Era principe di sangue, dopotutto; forse non era muscoloso quanto il suo fratello maggiore, ma a ventun anni era ancora giovane, ancora bello. Doveva guardarlo con interesse, e deferenza, e forse timore se avesse immaginato tutte le cose che pensava di farle in quel momento.

      No, meglio lasciar perdere per ora. Essere rude con lei era una cosa, ma quella ragazza era nobile abbastanza perché avesse importanza. Era meglio lasciarsi andare del tutto con quelle di cui non avrebbe sentito la mancanza.

      Anche Lyril era discreta, certo, perché Vars non ci sarebbe andato a letto se non lo fosse stata: dai capelli rossi e la pelle pallida, formosa e con gli occhi verdi. Era la figlia maggiore di un nobiluomo che si credeva un commerciante, o di un commerciante che aveva comprato un titolo nobiliare; Vars non riusciva a ricordare quale, ma non gli interessava in modo particolare. Era di rango inferiore al suo, quindi doveva sottostare ai suoi ordini. Cos’altro aggiungere?

      “Guardato abbastanza, mio principe?” chiese, alzandosi e camminando verso di lui. A Vars piacque il modo in cui lo fece; gli piaceva il modo in cui faceva molte cose.

      “Mio padre vuole che vada a caccia con lui domani,” disse Vars.

      “Potrei uscire con voi a cavallo,” propose Lyril. “Guardarvi e offrirvi i miei servizi mentre cavalchiamo.”

      Vars rise, e se quello le avesse dato una scossa di dolore, a chi importava? Inoltre, Lyril doveva averci fatto l’abitudine ormai. Di solito, non andava a letto con una donna per molto prima di stancarsi, o prima che lei sgattaiolasse altrove, o che la ferisse troppo facendola fuggire. Lei stava durando più tempo della maggior parte; andava avanti da anni ormai, nonostante era ovvio che ce ne fossero state anche altre nel frattempo.

      “Vi vergognate a farvi vedere con me?” chiese.

      Vars le si avvicinò, gelandola con lo sguardo. In quel momento di paura, era più bella di chiunque altra avesse mai visto.

      “Io faccio quello che voglio,” disse Vars.

      “Va bene, mio principe,” rispose lei, mentre un altro brivido di desiderio la faceva tremare insieme alle braccia di Vars.

      “Sei più graziosa di qualsiasi altra donna sulla terra, di origine nobile e perfetta,” disse.

      “Allora perché ci state mettendo così tanto a sposarmi?” chiese Lyril. Era una discussione vecchia; glielo stava chiedendo, accennando e insinuando da tanto tempo quanto Vars riuscisse a ricordare.

      Prese la parola, rapido e tagliente, afferrandola per i capelli. “Sposarti? Perché dovrei sposarti? Credi di essere speciale?”

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