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sua capa Saskia nella ditta di interior design dove lavorava, ai viaggi nei negozi di antiquariato di Mayfair a Londra con la sua particolare vicina di casa, sempre avvolta nel suo cardigan, e con due cani da pastore al seguito. Erano stati un sacco di cambiamenti da metabolizzare in così poco tempo, e lei non era del tutto certa di dove fosse ora la sua mente.

      “Dovrò vedere quanto sono impegnata con il negozio,” rispose con fare noncurante. “L’asta mi sta richiedendo più lavoro di quanto pensassi.”

      “Certo,” disse Tom, apparentemente ignaro dei suoi reali pensieri. Cogliere sottigliezze e sottotesti non sembrava essere il suo forte, e questa era un’altra cosa che Lacey apprezzava di lui. Lui prendeva tutto quello che lei diceva come sacrosanta verità. Diversamente da sua madre e sua sorella, che andavano a vivisezionare ogni singola parola che lei diceva, per Tom non c’era nessun tentativo di indovinare o interpretare secondi significati. Quello che vedeva era quello che coglieva.

      Proprio allora il campanello sopra alla porta tintinnò e lo sguardo di Tom scattò oltre la spalla di Lacey. Lei guardò la sua espressione trasformarsi in una smorfia, prima di riportare gli occhi su di lei.

      “Fantastico,” mormorò sottovoce. “Mi stavo chiedendo quando sarebbe stato il mio turno di ricevere una visita da Pincopanco e Pancopinco. Devi scusarmi.”

      Si alzò e fece il giro del bancone.

      Curiosa di vedere chi potesse suscitare una reazione così viscerale da parte di Tom – un uomo che era noto per la sua tranquillità e gradevolezza – Lacey ruotò sul suo sgabello.

      I clienti che erano entrati nella pasticceria erano un uomo e una donna, e sembravano essere appena usciti da set di Dallas. L’uomo indossava un abito celeste e un cappello da cowboy. La donna – molto più giovane di lui, da quanto notò Lacey, come sembrava piacere a un buon numero di uomini di mezza età – aveva un due pezzi rosa fucsia, tanto sgargiante da far salire il mal di testa, e in terribile contrasto con i suoi capelli biondi alla Dolly Parton.

      “Ci piacerebbe fare degli assaggi,” disse l’uomo con tono forte e deciso. Era americano e i suoi modi spicci sembravano fuori posto nella piccola e pittoresca pasticceria di Tom.

      Cavolo, spero di non dare quest’impressione a Tom quando parlo, pensò Lacey con leggero nervosismo.

      “Certo,” rispose Tom con cortesia, la risposta intensificata dal tono britannico della sua voce. “Cosa vi piacerebbe provare? Abbiamo pasticcini e…”

      “Oh, Buck, no,” disse la donna a suo marito, tirandogli il braccio al quale stava aggrappata. “Sai che mi gonfiano. Chiedigli qualcos’altro.”

      Lacey non poté fare a meno di inarcare un sopracciglio guardando quella strana coppia. La donna era forse incapace di fare la domanda da sola?

      “Avete della cioccolata?” chiese l’uomo che era stato chiamato Buck. O meglio, ordinò, dato che il suo tono era decisamente zotico.

      “Certo,” disse Tom, mantenendo in qualche modo la tranquillità di fronte al signor Vocealta e a quella sua ostrica di moglie.

      Mostrò loro la vetrinetta delle cioccolate con un gesto della mano. Buck ne afferrò un pezzo e se lo infilò dritto in bocca.

      Quasi immediatamente sputò. Il pezzetto appiccicoso e mezzo masticato finì sul pavimento.

      Chester, che era rimasto del tutto in silenzio ai piedi di Lacey, saltò improvvisamente in piedi e vi si lanciò sopra.

      “Chester, no,” gli ordinò lei con voce ferma e autoritaria a cui il cane sapeva di dover obbedire. “Veleno.”

      Il pastore inglese la guardò, poi rivolse ancora un pietoso sguardo alla cioccolata e alla fine tornò al suo posto, ai piedi di Lacey, con l’espressione di un bambino deluso.

      “Ehi, Buck, c’è un cane!” gemette la bionda. “È così poco igienico.”

      “L’igiene è l’ultimo dei suoi problemi,” disse Buck con tono beffardo, voltandosi a guardare Tom che ora aveva in volto un’espressione leggermente mortificata. “La vostra cioccolata sa di spazzatura!”

      “La cioccolata inglese e quella americana sono diverse,” disse Lacey, sentendo il bisogno di lanciarsi in difesa di Tom.

      “Lasci perdere,” rispose Buck. “Ha un sapore orribile! E la regina mangia questa schifezza? Se devo proprio dirlo, le servirebbero dei buoni prodotti importati.”

      In qualche modo Tom riuscì a mantenere la calma, anche se Lacey stava davvero fumando per l’atteggiamento di entrambi gli avventori.

      Quell’uomo bruto e quella miserabile smorfiosa di sua moglie uscirono dal negozio e Tom prese una salvietta per pulire la cioccolata sputata che si erano lasciati dietro.

      “Che maleducati,” disse Lacey incredula mentre Tom puliva.

      “Stanno al B&B di Carol,” spiegò guardandola dalla sua posizione accucciata a terra, mentre strofinava in cerchio la salvietta sulle piastrelle. “Ha detto anche lei che sono orribili. L’uomo, Buck, rimanda in cucina ogni singola cosa che ordina da mangiare, dopo averne mangiata mezza, sia ben chiaro. La moglie continua a lamentarsi che shampoo e saponi le fanno venire delle irritazioni, ma ogni volta che Carol le dà qualcosa di nuovo, i precedenti sono misteriosamente spariti.” Si alzò scuotendo la testa. “Stanno facendo impazzire tutti.”

      “Huh,” disse Lacey, ficcandosi in bocca l’ultimo pezzetto di croissant. “Allora mi dovrei considerare fortunata. Dubito che si interessino di antiquariato.”

      “Tocca ferro, Lacey. Non vorrai richiamarti addosso il malocchio.”

      Lacey stava per dire che non credeva a superstizioni del genere, ma poi pensò all’anziano di prima e alla ballerina, e decise che era meglio non sfidare il fato.

      “Okay, sto zitta. Malocchio, restatene a casa tua. Ora farò meglio ad andarmene. Ho ancora un sacco di oggetti da valutare prima dell’asta di domani.”

      La campanella suonò ancora e Lacey vide un bel gruppo di bambine che entrava di corsa. Erano vestite da festa e avevano dei cappellini in testa. In mezzo a loro c’era una bimba bionda e paffuta con un vestito da principessa e un palloncino all’elio in mano che gridava al vento: “È il mio compleanno!”

      Lacey si voltò verso Tom con un sorrisino beffardo in volto. “A quanto pare sei abbastanza impegnato qui.”

      Lui sembrava stupito e piuttosto apprensivo.

      Lacey saltò giù dallo sgabello, gli diede un fuggevole bacio sulle labbra e lo lasciò alla mercé di quella mischia di ragazzine di otto anni.

      *

      Tornata al negozio, Lacey si rimise a valutare gli ultimi articoli navali per l’asta di domani.

      Era particolarmente emozionata di un sestante che aveva recuperato da un posto completamente improbabile: una vendita di beneficienza. Ci era entrata solo per comprare la console retrò per videogiochi che avevano messo in vetrina – un oggetto che sapeva sarebbe piaciuto un sacco a suo nipote Frankie, ossessionato dai computer – e lì l’aveva visto. Un sestante a doppia cornice del diciannovesimo secolo, rivestito di mogano e con il manico in ebano! Era appoggiato su uno scaffale tra tazze di scarso valore e alcuni vomitevoli modelli di orsacchiotti.

      Lacey non aveva creduto ai propri occhi. Era una novellina dell’antiquariato, dopotutto. Una scoperta del genere poteva appartenere solo alle sue più recondite speranze. Ma quando si era avvicinata per guardare meglio, aveva visto che sotto alla base erano state inscritte le parole ‘Bate, Poultry, Londra’, che le confermarono che stava tenendo in mano un raro originale Robert Brettell Bate!

      Lacey aveva subito chiamato Percy, sapendo che sarebbe stata l’unica persona al mondo a provare la stessa emozione che aveva lei in corpo in quel momento. Aveva avuto ragione. La reazione dell’uomo era stata quella di un bambino che si sveglia la mattina di Natale.

      “Cosa intendi farne?” le aveva

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