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sentita, sì,” rispose Lacey, senza lasciarsi intimidire. “Siete voi che non state ascoltando me. Il sestante non è in vendita.”

      Aveva una voce molto più sicura di quanto realmente si sentisse. Un piccolo campanello d’allarme iniziò a suonare nella sua testa, dicendole che si stava tuffando in una situazione pericolosa.

      Buck fece un passo avanti, e la sua ombra si portò minacciosa su di lei. Chester reagì balzando in piedi e ringhiando, ma Buck non ne fu particolarmente colpito e lo ignorò.

      “Mi sta rifiutando una vendita?” le chiese. “Non è illegale? I nostri soldi non sono abbastanza buoni per lei?” Tirò fuori dalla tasca una mazzetta di banconote e le sventolò sotto al naso di Lacey in maniera decisamente minacciosa. “Hanno sopra la faccia della regina e tutto il resto. Non le basta?”

      Chester iniziò ad abbaiare furiosamente. Lacey gli fece cenno di smettere con la mano, e il cane obbedì, ma rimase al suo posto, come fosse pronto ad attaccare nel momento in cui lei gli avesse concesso di procedere.

      Lacey incrociò le braccia e affrontò Buck con decisione, consapevole della sua enorme stazza, ma anche decisa a non dargliela vinta. Non si sarebbe lasciata convincere con le minacce a vendere il sestante. Non avrebbe permesso a quest’omone grande e grosso di intimidirla e rovinarle quindi l’asta a cui stava lavorando tanto sodo e che non vedeva l’ora di tenere.

      “Se volete comprare il sestante, allora dovrete venire domani all’asta e fare un’offerta,” disse.

      “Oh, lo farò,” disse Buck con gli occhi stretti e fissi su di lei. Poi le puntò un dito in faccia: “Ci può scommettere. Si segni le mie parole. Buckland Stringer se lo aggiudicherà.”

      Detto questo, la coppia partì, uscendo dal negozio così rapidamente da lasciare quasi una turbolenza d’aria sulla loro scia. Chester corse alla finestra, posò le zampe anteriori contro il vetro e ringhiò contro i due che si allontanavano. Anche Lacey li guardò andarsene, fino a che non scomparvero alla vista. Solo allora si rese conto di quanto velocemente le stesse battendo il cuore, e di come le tremassero le gambe. Si aggrappò al bancone per tenersi in equilibrio.

      Tom aveva ragione, si era tirata addosso il malocchio dicendo che quella coppia non aveva alcun motivo per venire nel suo negozio. Ma la si poteva perdonare per essere stata così ingenua e aver pensato che non ci fosse niente di interessante per loro lì. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che Daisy desiderasse possedere un antico sestante navale!

      “Oh, Chester,” disse Lacey sprofondando la testa tra le mani. “Perché ho detto loro dell’asta?”

      Il cane mugolò, cogliendo il tono di malinconico pentimento nella sua voce.

      “Ora dovrò affrontarli anche domani!” esclamò. “E che probabilità ho che sappiano qualcosa di etichetta in ambito d’asta? Sarà un disastro.”

      E così, tutto il suo entusiasmo per l’asta del giorno dopo fu spento come una fiamma stretta tra due dita. Al suo posto ora Lacey poteva provare solo timore.

      CAPITOLO QUATTRO

      Dopo il suo incontro con Buck e Daisy, Lacey era più che pronta a chiudere bottega per quella giornata e dirigersi verso casa. Quella sera sarebbe venuto Tom a cucinare per lei, e lei davvero non vedeva l’ora di raggomitolarsi sul divano con un bicchiere di vino e un film. Ma c’era ancora da fare il bilancio della cassa, riordinare, spazzare il pavimento e pulire la macchinetta del caffè… Non che Lacey si stesse lamentando. Amava il suo negozio e tutto ciò che esso comportava.

      Quando ebbe finalmente terminato, andò verso l’uscita, Chester alle calcagna, notando che le lancette sul vecchio orologio da parete in ferro segnavano le sette e fuori era buio. Sebbene la primavera avesse portato con sé delle giornate più lunghe, Lacey non se ne era ancora goduta nessuna. Ma poteva sentire il cambiamento nell’atmosfera: la città sembrava più vibrante, con molte delle caffetterie e dei pub che restavano aperti più a lungo e la gente che sedeva ai tavoli all’aperto bevendo caffè e birra. Il tutto contribuiva a rendere l’atmosfera molto più festosa.

      Lacey chiuse a chiave la serranda del negozio. Era diventata molto più diligente da quando avevano fatto irruzione all’interno, ma anche se la cosa non si era mai più ripetuta, aveva imparato la lezione. Quel negozio era come un figlio ormai. Era una cosa che aveva bisogno di essere nutrita, protetta e amata. In un tempo brevissimo, si era completamente innamorata di quel posto.

      “Chi avrebbe mai detto che ci si potesse innamorare di un negozio?” si chiese, parlando a voce alta con un profondo sospiro di soddisfazione per la svolta che la sua vita aveva preso.

      Accanto a lei, Chester mugolò.

      Lacey gli accarezzò la testa. “Sì, sono innamorata anche di te, non ti preoccupare!”

      Parlando di amore, si ricordò i programmi per quella serata insieme a Tom, e si girò a guardare la pasticceria.

      Con sua sorpresa vide che tutte le luci erano accese. Era piuttosto insolito. Tom doveva aprire il suo negozio al disumano orario delle 5 di mattina per assicurarsi che tutto fosse pronto per la folla che si presentava a fare colazione alle 7, il che significava che di solito chiudeva alle 5 del pomeriggio. Ma ora erano le 7 di sera, e lui era evidentemente ancora dentro. Il cartellone pubblicitario era ancora in strada. Il cartellino sulla porta era ancora girato su ‘Aperto’.

      “Su, Chester,” disse al suo compagno peloso, “andiamo a vedere che succede.”

      Attraversarono la strada insieme ed entrarono nella pasticceria.

      Subito Lacey sentì della confusione che proveniva dalla cucina. Sembravano i soliti rumori di pentole e padelle, ma a velocità supersonica.

      “Tom?” chiamò con tono un po’ nervoso.

      “Ehi!” le rispose la sua voce incorporea dal retro della cucina. Aveva il solito tono solare e allegro.

      Ora che Lacey aveva capito che non c’era nessun ladro di macaron a derubarlo, si rilassò. Si mise a sedere sul suo solito sgabello, mentre il rumore di stoviglie continuava.

      “Tutto a posto là dietro?” chiese.

      “Certo!” esclamò Tom in risposta.

      Un attimo dopo apparve finalmente dall’arco del cucinino. Aveva indosso il grembiule che era – come buona parte degli abiti e dei capelli – ricoperto di farina. “C’è stato un piccolo disastro.”

      “Piccolo?” lo canzonò Lacey. Ora che sapeva che Tom non aveva fatto a botte con un intruso, era in grado di apprezzare la comicità della situazione.

      “È stato Paul, a dire il vero,” iniziò Tom.

      “Cos’ha combinato adesso?” chiese Lacey, ricordando che l’apprendista di Tom aveva accidentalmente usato il bicarbonato al posto della farina in un impasto, rendendolo del tutto inutilizzabile.

      Tom sollevò due pacchetti quasi del tutto identici. A sinistra l’etichetta sbiadita diceva ‘zucchero’. Sull’altra c’era scritto ‘sale’.

      “Ah,” commentò Lacey.

      Tom annuì. “È l’impasto per le paste di domattina. Dovrò rifare tutto, oppure decidere di rischiare l’ira della gente del posto quando arriveranno per colazione e scopriranno che non ho nulla da vendere loro.”

      “Mi stai dicendo che stai cancellando i nostri piani per stasera?” chiese Lacey. L’allegria che aveva provato pochi secondi prima era improvvisamente sparita, sostituita ora da un pesante senso di delusione.

      Tom la guardò dispiaciuto. “Mi dispiace. Riprogrammiamo. Domani? Vengo da te e cucino.”

      “Non posso,” gli rispose Lacey. “Ho quella riunione con Ivan domani.”

      “L’incontro per la vendita del Crag Cottage,” disse Tom, schioccando le dita. “Certo. Ricordo. Che ne dici di mercoledì sera?”

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