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disse, e si lanciò su Tano.

      Tano reagì con la rapidità del lungo allenamento, levandosi dalla traiettoria del primo colpo di coltello. La mazza lo prese alla spalla, ma lui ignorò il dolore. Fece ruotare di netto il pugno e sentì l’impatto quando andò a colpire la mandibola dell’avversario. L’uomo cadde privo di conoscenza e colpì il terreno.

      Tano si guardò attorno e vide l’altro uomo che lo fissava.

      “Non ti preoccupare,” gli disse. “Non ti farò del male. Sono Tano.”

      “Herek,” disse l’altro uomo. A Tano la sua voce sembrò roca, come se non avesse parlato con nessuno per lungo tempo. “Io…”

      Un altro grido venne da dietro, verso la sezione boscosa dell’isola. Sembravano molte voci unite in qualcosa che anche a Tano apparve terrificante.

      “Veloce, da questa parte.”

      L’altro uomo afferrò il braccio di Tano e lo tirò verso una serie di rocce più alte. Tano lo seguì, abbassandosi in uno spazio che non si poteva vedere dal sentiero principale, ma da dove potevano pur sempre scorgere segnali di pericolo. Tano poteva sentire la paura dell’altro uomo mentre stavano lì accucciati, e cercò di restare il più fermo possibile.

      Avrebbe voluto aver pensato di prendere il pugnale dall’uomo che aveva messo al tappeto, ma ora era troppo tardi per farlo. Poteva invece solo stare lì mentre aspettavano che gli altri cacciatori scendessero al posto dove si trovavano prima.

      Li vide avvicinarsi in gruppo, e non ce n’erano due di simili. Avevano tutti delle armi che ovviamente erano stato fabbricate da ciò che si erano trovati a portata di mano, mentre quelli che ancora avevano indosso i minimi rimasugli di abbigliamento portavano uno strano miscuglio di oggetti ovviamente rubati. C’erano sia uomini che donne, con aspetti affamati e pericolosi, mezzi morti di fame e malvagi.

      Tano vide che una delle donne toccava con il piede l’uomo privo di conoscenza. Allora provò un brivido di paura, perché se quell’uomo si svegliava avrebbe potuto raccontare agli altri ciò che era successo, e loro si sarebbero messi alla ricerca.

      Ma non si svegliò, perché la donna si inginocchiò e gli tagliò la gola.

      Tano si irrigidì. Accanto a lui Herek gli mise una mano sul braccio.

      “Gli Abbandonati non hanno tempo per nessun genere di debolezza,” sussurrò. “Vanno a caccia di chiunque possano, perché quelli alla fortezza non danno loro nulla.”

      “Sono prigionieri?” chiese Tano.

      “Siamo tutti prigionieri qui,” rispose Herek. “Anche le guardie sono solo prigionieri saliti ad alti livelli e che godono abbastanza della crudeltà da fare il lavoro dell’Impero. Eccetto che tu non sei un prigioniero, vero? Non hai l’aspetto di uno che è passato per la fortezza.”

      “No,” ammise Tano. “Questo posto… sono prigionieri che lo fanno ad altri prigionieri?”

      La parte peggiore era che poteva immaginarselo. Era il genere di cose che il re, suo padre, poteva pensare. Collocare i prigionieri in una sorta di inferno e poi dare loro la possibilità di evitare ulteriore dolore solo se se ne occupavano.

      “Gli Abbandonati sono il peggio,” disse Herek. “Se i prigionieri non si sottomettono, se sono troppo folli o cocciuti, se non lavorano o se si ribellano troppo, vengono gettati qui nel mezzo del nulla. I guardiani della prigione danno loro la caccia. La maggior parte di loro implorano per essere riportati indietro.”

      Tano non voleva pensarci, ma doveva, perché Ceres poteva trovarsi lì. Tenne gli occhi fissi sul gruppo di feroci prigionieri mentre continuava a sussurrare con Herek.

      “Sto cercando una persona,” disse. “Potrebbero averla portata qui. Si chiama Ceres. Ha combattuto nell’arena.”

      “La principessa combattente,” rispose in un sussurro Herek. “L’ho vista combattere nell’arena. Ma no, l’avrei saputo se l’avessero portata qui. Amano far sfilare i nuovi arrivati davanti a noi, in modo che possano vedere cosa li aspetta. Mi ricorderei di lei.”

      Il cuore di Tano precipitò come una pietra gettata in una pozza. Era stato così certo che Ceres fosse lì. Aveva messo tutto ciò che aveva potuto nell’arrivare fino a lì, solo perché era l’unico indizio riguardo alla sua attuale collocazione. Se non era lì… dove poteva andare?

      La speranza che aveva provato iniziò a gocciolare via, proprio come il sangue ai piedi di Herek, dove le rocce lo avevano ferito.

      Il sangue che gli Abbandonati stavano fissando in quello stesso istante, seguendone le tracce…

      “Corri!” gridò Tano, travolto dall’urgenza che prevalse sul suo crepacuore mentre trascinava Herek con sé.

      Si trascinò sul terreno roccioso, diretto verso la fortezza semplicemente perché immaginava che fosse l’unica direzione in cui i loro inseguitori non avrebbero gradito andare. Ma lo seguirono comunque, e Tano dovette tirarsi dietro Herek per continuare a farlo correre.

      Una lancia sfrecciò accanto alla sua testa e Tano rabbrividì, ma non si fermò. Osò darsi un’occhiata alle spalle e le forme chine dei prigionieri si stavano avvicinando, dando loro la caccia proprio come un branco di lupi. Tano sapeva di doversi voltare e combattere, ma non aveva armi. Al meglio poteva afferrare un sasso.

      Figure con pantaloni di pelle scuri e camice di maglia di ferro si alzarono dalle rocce davanti a loro tendendo degli archi. Tano reagì d’istinto e trascinò se stesso ed Herek a terra.

      Le frecce volarono sopra le loro teste e Tano vide un gruppo di feroci prigionieri che cadevano come granturco tagliato. Una donna si girò per scappare, ma una freccia la colpì alla schiena.

      Tano si alzò mentre tre uomini avanzavano verso di loro. Quello che stava a capo del gruppetto aveva i capelli argentati e il volto spigoloso. Si mise l’arco in spalla mentre si avvicinava e sguainò un coltello lungo.

      “Sei il principe Tano?” chiese quando fu vicino.

      In quel momento Tano capì di essere stato tradito. Il capitano contrabbandiere aveva rivelato la sua presenza, per denaro o semplicemente perché non voleva passare guai.

      Si sforzò di stare eretto in piedi. “Sì, sono Tano,” disse. “E tu sei?”

      “Elsio, guardiano di questo posto. Una volta mi chiamavano Elsio il macellaio. Elsio l’assassino. Ora quelli che ammazzo si meritano il loro destino.”

      Tano aveva udito quel nome. Era un nome che i bambini con cui era cresciuto usavano per spaventarsi tra loro, il nome di un nobiluomo che aveva ucciso e ucciso fino a che addirittura l’Impero aveva pensato che fosse troppo malvagio per permettergli di restare in libertà. Avevano inventato storie delle cose che aveva fatto a coloro che catturava. Almeno Tano sperava che fossero inventate.

      “Hai intenzione di tentare di uccidermi adesso?”

      Tano cercò di suonare minaccioso, anche se non aveva armi.

      “Oh no, mio principe. Abbiamo programmi molto migliori per te. Però il tuo compagno…”

      Tano vide che Herek tentava di alzarsi, ma non fu abbastanza rapido. Il capo si fece avanti e lo trafisse con rapida efficienza. La lama entrò e uscì più volte dal corpo dell’uomo. Tenne Herek in piedi, come a voler impedirgli di morire prima che fosse pronto.

      Alla fine lasciò crollare il cadavere del prigioniero. Quando si girò verso Tano, il suo volto era una maschera sfigurata che non aveva quasi nulla di umano.

      “Come ci si sente, principe Tano,” gli chiese, “a diventare prigionieri?”

      CAPITOLO SEI

      Lucio era arrivato ad amare l’odore delle case che bruciavano. C’era qualcosa di rinvigorente in esso, qualcosa che faceva salire l’eccitazione in lui alla prospettiva di tutto ciò che ne sarebbe conseguito.

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