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forse anche sulla sua. Era giunta alla conclusione che in un modo o nell’altro, legale o meno, sarebbe entrata in quell’ufficio.

      Mentre si metteva a pensare a come farlo, Keri notò un’agente donna in divisa appena sopra alla ventina che si dirigeva lentamente verso di lei. Le fece cenno con la mano di avvicinarsi.

      “Mi ricordi come ti chiami?” chiese Keri, non sapendo se dovesse già saperlo.

      “Sono l’agente Jamie Castillo,” rispose la giovane donna dai capelli scuri. “Sono appena uscita dall’accademia. Sono stata riassegnata qui la settimana in cui tu eri in ospedale. Ero alla Divisione West.”

      “Quindi non devo sentirmi in colpa perché non mi ricordo il tuo nome?”

      “No, detective Locke,” disse decisa Castillo.

      Keri rimase impressionata. La ragazza aveva una sicurezza e un acume negli occhi scuri che suggerivano un’astuta intelligenza. Sembrava anche che sapesse badare a se stessa. Alta almeno un metro e settantasette, aveva una corporatura atletica e muscolosa che faceva pensare che proporle una lotta sarebbe stato imprudente.

      “Bene. Cosa posso fare per te?” chiese Keri, cercando di non avere un tono intimidatorio. Non c’erano molti poliziotti donna alla Divisione Pacific, e Keri non voleva spaventarle.

      “Sono stata assegnata alle chiamate, nelle ultime settimane. Come puoi immaginare, moltissime telefonate riguardavano il tuo scontro con Alan Pachanga e la dichiarazione che hai rilasciato su tua figlia.”

      Keri annuì, ricordando ciò che era avvenuto. Dopo aver salvato Ashley, il dipartimento aveva tenuto una grande conferenza stampa per celebrare il fortunato esito.

      Ancora sulla sedia a rotelle, Keri aveva elogiato Ashley e la sua famiglia, prima di cooptare la conferenza per parlare di Evie. Aveva mostrato una foto e aveva pregato il pubblico di dare qualsiasi informazione che avrebbe potuto essere utile per le ricerche. Il suo supervisore diretto, il tenente Cole Hillman, si era così arrabbiato con lei per aver usato una vittoria del dipartimento come strumento della sua personale crociata che Keri aveva pensato che l’avrebbe licenziata sul posto se avesse potuto. Ma dato che era costretta su una sedia a rotelle, e dato che era l’eroina salvatrice di una teenager, non poteva.

      Anche quando era bloccata all’ospedale, Keri aveva sentito delle voci che dicevano che si era infastidito quando il dipartimento era stato inondato da centinaia di telefonate al giorno.

      “Mi dispiace che tu sia bloccata con questa mansione,” disse Keri. “Volevo solo tirare fuori il massimo da quell’opportunità e non ho pensato a chi avrebbe dovuto gestirne le conseguenze. Immagino che tutte le chiamate si siano rivelate dei vicoli ciechi, vero?”

      Jamie Castillo esitò, come chiedendosi se stesse facendo la cosa giusta. Keri riusciva a vedere la testa della giovane donna elaborare. La guardò calcolare la mossa giusta e la ragazza non poté che piacerle. Si sentiva come se stesse guardando una versione più giovane di se stessa.

      “Be’,” disse alla fine Castillo, “per la maggior parte, sono state escluse facilmente, dato che venivano da persone instabili o in vena di fare scherzi. Ma stamattina abbiamo ricevuto una telefonata che era diversa. Aveva una schiettezza che ha fatto sì che la prendessi più seriamente.”

      Quasi subito a Keri si seccò la bocca e sentì il cuore che cominciava a batterle forte.

      Resta calma. Probabilmente non è niente. Non reagire in maniera sproporzionata.

      “Posso sentirla?” chiese con più calma di quanta le sembrasse possibile.

      “Te l’ho già inoltrata,” disse Castillo.

      Keri guardò il telefono e vide l’icona che indicava un messaggio in segreteria. Cercando di non sembrare disperata, raccolse lentamente il ricevitore e ascoltò.

      La voce del messaggio era roca, aveva un suono quasi metallico ed era difficile da capire, cosa resa ancor più difficile dai colpi rumorosi che si sentivano in sottofondo.

      “Ti ho vista parlare della tua ragazzina alla tv,” diceva. “Voglio aiutarti. C’è un deposito abbandonato a Palms, di fronte alla centrale elettrica di Piedmont. Dagli un’occhiata.”

      C’era solo quello – una voce roca e maschile che offriva un’indicazione vaga. Allora perché le dita le formicolavano dall’adrenalina? Perché aveva difficoltà a deglutire? Perché nei suoi pensieri improvvisamente le ritornavano flash dell’aspetto che poteva avere Evie adesso?

      Forse perché il messaggio non aveva nessuna delle caratteristiche delle chiamate false standard. Non cercava di attirare l’attenzione su se stesso, ed era quello che aveva chiaramente colpito l’attenzione di Castillo. E quello stesso elemento – la sua inequivocabile insipidezza – era la caratteristica che in quel momento faceva scendere giù per la schiena di Keri goccioline di sudore.

      Castillo la osservava in attesa.

      “Credi che sia vera?” chiese.

      “Difficile a dirsi,” rispose Keri obiettivamente, nonostante il battito furioso del cuore, mentre cercava la centrale elettrica su Google Maps. “Più tardi verificheremo da dove è venuta la telefonata e faremo ripulire il messaggio a un tecnico per vedere cos’altro può essere capito dalla voce e dai rumori di sottofondo. Ma dubito che riusciranno a capirci molto. Chiunque abbia telefonato è stato attento.”

      “L’ho pensato anch’io,” disse Castillo. “Non ha lasciato nessun nome, chiaramente ha cercato di mascherare la voce, più i rumori di disturbo in sottofondo. Sembrava… diversa dalle altre telefonate.”

      Keri ascoltava solo a metà mentre guardava la mappa sullo schermo. La centrale elettrica si trovava sulla National Boulevard, appena a sud della freeway 10. Guardando l’immagine dal satellite, verificò che ci fosse un deposito dall’altra parte della strada. Che fosse abbandonato o meno, non lo sapeva.

      Ma sto per scoprirlo.

      Guardò Castillo e provò un impeto di gratitudine nei suoi confronti – e anche qualcosa che non sentiva da molto tempo per un collega: ammirazione. La ragazza le aveva fatto una buona impressione, ed era felice che fosse lì.

      “Bel lavoro, Castillo,” disse in ritardo alla giovane, che osservava anche lei lo schermo. “Tanto bello che credo farei meglio a dargli un’occhiata.”

      “Hai bisogno di compagnia?” Chiese piena di speranza Castillo mentre Keri si alzava in piedi e raccoglieva le sue cose per recarsi al deposito.

      Ma prima che potesse rispondere, Hillman sbucò con la testa fuori dal suo ufficio e la chiamò.

      “Locke, deve venire nel mio ufficio subito.” Le lanciò uno sguardo truce. “Abbiamo un nuovo caso.”

      CAPITOLO DUE

      Keri gelò sul posto. Era consumata da un’ondata di emozioni conflittuali. Tecnicamente, era una buona notizia. Pareva che sarebbe tornata sul campo con un giorno d’anticipo, un segnale che Hillman, nonostante i problemi che aveva con lei, sentiva che era pronta a riprendersi le sue normali responsabilità. Ma una parte di lei voleva solo ignorarlo e andare dritta al deposito.

      “Oggi, per cortesia,” le urlò Hillman, cacciandola fuori dalla sua momentanea indecisione.

      “Arrivo, signore,” disse. Poi, voltandosi verso Castillo con un mezzo sorriso, aggiunse, “Continuiamo poi.”

      Quando mise piede nell’ufficio di Hillman, notò che le sue sopracciglia tipicamente aggrottate erano ancor più accartocciate del solito. Ciascuno dei suoi cinquant’anni era visibile sul suo viso. I capelli sale e pepe erano spettinati come al solito. Keri non riusciva mai a capire se non ci facesse caso o se semplicemente non gli interessasse. Indossava una giacca ma aveva la cravatta allentata e la camicia della taglia sbagliata non riusciva a nascondere la lieve pancia.

      Seduto sul vecchio e malconcio divanetto contro il muro lontano c’era il detective Frank Brody.

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