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ma il fatto che lì con lei non ci fossero né famigliari né amici iniziava a pesarle.

      “Tutto qui? Una scrollata di spalle?” fece Ellington.

      “Be’, come mi dovrei sentire?”

      “Realizzata. Orgogliosa. Emozionata. Tanto per fare qualche esempio.”

      “Mi sento tutte quelle cose” disse lei. “È solo che... Non lo so. La cerimonia è troppo per me.”

      “Ti capisco” disse Ellington. “Dio, quanto odio indossare un completo.”

      Mackenzie stava per replicare che l’abito gli stava proprio bene, quando vide McGrath arrivare alle spalle di Ellington. Anche lui le rivolse un sorriso, ma al contrario di Ellington, il suo pareva quasi forzato. Le tese la mano e lei la strinse, stupendosi di quanto fosse fiacca la sua stretta.

      “Mi fa piacere che ce l’abbia fatta” disse McGrath. “So che ha una carriera brillante e promettente davanti.”

      “Non per fare pressioni, eh?” commentò Ellington.

      “Nella fascia dei migliori” disse McGrath, senza lasciare a Mackenzie l’occasione di spiccicare parola. “Davvero un ottimo lavoro, White.”

      “Grazie, signore” disse lei, sorpresa di quell’insolita manifestazione di supporto.

      Lui sorrise, le strinse ancora una volta la mano, quindi si dileguò rapidamente tra la folla.

      Una volta che McGrath se ne fu andato, Ellington le rivolse uno sguardo perplesso e un gran sorriso.

      “Era di buon umore. Credimi, non accade molto spesso.”

      “Sai com’è, oggi immagino che sia un gran giorno per lui” disse Mackenzie. “Adesso ha un bel gruppo di nuovi talenti dal quale attingere.”

      “È vero” convenne Ellington. “Comunque, a parte gli scherzi, quell’uomo sa come impiegare al meglio i nuovi agenti. Tienilo a mente quando andrai a parlare con lui lunedì.”

      Tra loro scese un silenzio impacciato; era un silenzio al quale si erano abituati e che era alla base della loro amicizia – o comunque si potesse definire il rapporto che li legava.

      “Allora” disse Ellington. “Volevo solo congratularmi con te. E dirti che puoi chiamarmi in ogni momento se le cose si fanno troppo reali. So che sembra una cosa stupida da dire, ma arriverà un momento in cui persino Mackenzie White avrà bisogno di qualcuno con cui sfogarsi. Le cose ti possono travolgere in un attimo.”

      “Grazie” disse lei.

      Poi, all’improvviso, voleva chiedergli di restare lì con lei. Non in senso romantico, ma solo per avere un volto familiare al suo fianco. Lo conosceva relativamente bene e, anche se i sentimenti che provava per lui erano contrastanti, voleva che le stesse accanto. Detestava ammetterlo, ma iniziava a sentire di dover fare qualcosa per festeggiare quel giorno e quel momento della sua vita. Anche se si fosse trattato di passare qualche ora di imbarazzo con Ellington, sarebbe sempre stato meglio (e forse più produttivo) che starsene a bere da sola autocommiserandosi.

      Invece non disse niente. E anche se avesse trovato il coraggio, non sarebbe servito; Ellington la salutò rapidamente con un cenno del capo, poi, come McGrath, tornò a disperdersi nella folla.

      Mackenzie rimase lì ferma un momento, facendo del proprio meglio per scacciare la sensazione di essere completamente sola.

      CAPITOLO TRE

      Quando Mackenzie si presentò al primo giorno di lavoro il lunedì, non riusciva a scacciare dalla mente le parole di Ellington, che si ripetevano come un mantra: Quell’uomo sa come impiegare al meglio i nuovi agenti. Tienilo a mente quando andrai a parlare con lui lunedì.

      Cercò di sfruttare quel consiglio per prepararsi psicologicamente, anche perché doveva ammettere di essere nervosa. Non l’aiutò che la giornata iniziò con uno degli uomini di McGrath, Walter Hasbrook, adesso supervisore del suo dipartimento, che l’accompagnava all’ascensore come se fosse una bambina. Walter sembrava sulla sessantina ed era in sovrappeso di una decina di chili. Era un uomo senza personalità e, anche se Mackenzie non aveva nulla contro di lui, non le piaceva il modo in cui le spiegava ogni cosa come se fosse stupida.

      Lo fece anche mentre l’accompagnava al terzo piano, dove un labirinto di postazioni si dipanava come uno zoo. In ogni postazione c’era un agente, alcuni che parlavano al telefono, altri che digitavano al computer.

      “E questa è la sua” disse Hasbrook, indicando una postazione al centro di una delle file esterne. “Questo è il centro di Ricerca e Sorveglianza. Riceverà delle e-mail che le forniranno l’accesso ai server e la lista dei contatti di tutto il dipartimento.”

      Mackenzie entrò nella postazione, sentendosi un po’ delusa ma ugualmente nervosa. No, quello non era il caso eccitante con cui sperava di iniziare la carriera, però era comunque il primo passo verso tutto ciò per cui aveva lavorato fin da quando era uscita dalla scuola superiore. Tirò a sé la sedia con le rotelle e ci si afflosciò sopra.

      Il portatile che aveva davanti ora era suo. Era uno degli oggetti che le aveva elencato Hasbrook. La scrivania era sua, la postazione era sua, tutto quello spazio. Non era esattamente esaltante, ma era il suo spazio.

      “Nelle e-mail troverà anche i dettagli del suo primo incarico” disse Hasbrook. “Se fossi in lei, inizierei subito. Le conviene chiamare l’agente supervisore del caso per coordinare il lavoro, ma ad ogni modo entro oggi dovrà essere già al lavoro.”

      “D’accordo” disse lei, voltandosi verso il computer. Una parte di lei era ancora arrabbiata per essere stata relegata al lavoro d’ufficio. Lei voleva agire sul campo. Dopo tutto quello che le aveva detto McGrath, era quello che si aspettava.

      Non importa quanto sia brillante il tuo passato, si disse, non puoi aspettarti di partire da fuoriclasse. Forse questo è il modo in cui devi pagare i tuoi debiti – oppure è il modo in cui McGrath ti mostra chi comanda e qual è il tuo posto.

      Prima che Mackenzie potesse dire altro in risposta alle istruzioni secche e monotone di Hasbrook, lui si era già voltato per andarsene. Si diresse verso l’ascensore in fretta, come se fosse contento di aver concluso quel minuscolo compito.

      Una volta sola nella sua postazione, Mackenzie accese il computer e si domandò perché fosse tanto nervosa.

      È perché è arrivato il momento, pensò. Ho lavorato sodo per arrivare qui e adesso ci sono. Ho tutti gli occhi puntati addosso, non posso fallire – nemmeno se si tratta solo di un lavoro d’ufficio.

      Controllò la posta elettronica e inviò le dovute risposte che le avrebbero permesso di iniziare l’incarico. Nel giro di un’ora, aveva tutti i documenti e le risorse necessari. Era determinata a fare del proprio meglio, per far capire a McGrath che era sprecata dietro una scrivania.

      Analizzò mappe, tabulati telefonici e dati del GPS per individuare due potenziali sospettati coinvolti in un giro di traffico sessuale. Dopo un’ora che era immersa nel lavoro, si scoprì coinvolta e dedicata. Il fatto che non si trovasse in strada a dare attivamente la caccia a quei tizi non la infastidiva in quel momento. Era concentrata e aveva un obiettivo in mente, ed era tutto ciò che le serviva.

      Vero, era un compito misero e quasi noioso, ma non avrebbe permesso che ciò intralciasse il proprio lavoro. Fece una pausa per il pranzo poi si rimise all’opera, lavorando con fervore per ottenere risultati. Quando la giornata stava per finire, inviò per e-mail quello che aveva scoperto al supervisore del dipartimento e se ne andò. Non aveva mai avuto un lavoro d’ufficio prima, ma quell’impiego pareva proprio così. L’unica cosa che mancava era il cartellino da timbrare.

      Quando raggiunse l’auto, si permise di crogiolarsi nella delusione. Un lavoro d’ufficio. Bloccata dietro un computer e intrappolata tra le pareti di un cubicolo. Non era quello che si era immaginata.

      Nonostante ciò, era orgogliosa di essere arrivata lì. Non avrebbe

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