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      “Ovvio, non sono sicura in maniera assoluta. Ma questo omicidio non corrisponde a nessuno dei suoi. Sembra diverso. Ha un’aria diversa.”

      “Credi possa essere un emulatore?” domandò O’Malley.

      “Potrebbe, immagino. Ma perché? E se lo è, sta facendo un pessimo lavoro.”

      “Potrebbe essere uno stronzo fanatico fissato con i serial killer?” ipotizzò Connelly. “Uno di quei perdenti che colleziona le figurine degli assassini potrebbe essersi eccitato quando Randall è scappato e ha trovato il coraggio di uccidere per la prima volta.”

      “Mi sembra improbabile.”

      “Anche non presumere come sospettato un Howard Randall fuggito recentemente di galera per un omicidio così simile ai suoi.”

      “Volevi la mia opinione e io te l’ho data.”

      “Beh,” disse O’Malley, “hai sentito Greenwald. Non posso chiederti di aiutarci con questo caso. Apprezzo che tu sia venuta questa mattina quando te l’ho chiesto ma… suppongo sia stato un errore.”

      “A quanto pare,” replicò lei, detestando la facilità con cui O’Malley cedeva alla pressioni del sindaco. Lo aveva sempre fatto ed era una delle poche ragioni per cui aveva sempre trovato difficile rispettare il suo capitano.

      “Mi dispiace,” le disse Connelly mentre tornavano verso le auto. Finley li seguì, dopo aver assistito a tutta la scena silenziosamente a disagio. “Ma forse ha ragione. Anche se il sindaco non fosse stato tanto categorico, credi davvero che sia il genere di faccenda in cui dovresti cacciarti in questo momento? Sono passate solo due settimane dal tuo ultimo caso importante, e da quando sei quasi morta, potrei aggiungere. E due settimane da quando Ramirez…”

      “Ha ragione,” continuò O’Malley. “Prenditi un po’ di tempo. Qualche altra settimana. Te la senti?”

      “Farò quello che serve,” rispose lei, dirigendosi alla sua auto insieme a Finley. “Buona fortuna con questo assassino. Lo troverete, ne sono certa.”

      “Black,” aggiunse O’Malley. “Non prenderla sul personale.”

      Lei non rispose. Entrò in auto e avviò il motore, lasciando pochi istanti a Finley perché si unisse a lei, prima di allontanarsi dal marciapiede e da un cadavere che era quasi sicura non fosse opera del recentemente evaso Howard Randall.

      CAPITOLO QUATTRO

      Avery era troppo turbata e carica di adrenalina per tornare all’ospedale. Invece, dopo aver riportato Finley in centrale ed essere risalita sulla sua auto, si diresse verso l’appartamento. C’erano diverse scatole in fondo al suo armadio che desiderava tirar fuori e controllare. Non solo, ma con la mente un po’ più attiva e il mondo reale alle calcagna, si era resa conto che c’era qualcuno che doveva chiamare.

      Quando telefonò a Rose, la figlia fu entusiasta del suo invito a passare per una cena e un bicchiere di vino; solo per quella sera avrebbero ignorato il fatto che a Rose mancavano ancora sedici mesi per bere legalmente.

      Quando arrivò a casa, appena prima delle 10 del mattino, mise su la caffettiera e preparò due panini. Anche se erano solo formaggio, prosciutto e maionese su pane bianco, erano ugualmente anni luce sopra lo stantio cibo della caffetteria dell’ospedale di cui si era nutrita di recente. Mangiò i panini quasi distrattamente mentre andava in camera da letto, apriva l’armadio e tirava fuori le scatole che aveva spinto in fondo.

      Ce n’erano due, una piena di documenti risalenti alla sua breve carriera come avvocato di moderato successo. Fu tentata di sfogliare quelli, dato che aveva rappresentato diverse persone in casi di omicidio. Invece, si dedicò alla scatola che di certo avrebbe potuto fornire qualche indizio su quello che aveva visto quella mattina.

      La seconda scatola era piena dei documenti sul caso di Howard Randall. Il caso risaliva a poco più di tre anni prima, ma le sembrava di avervi partecipato durante un’altra vita. Forse era per quel motivo che le era stato tanto facile e quasi ovvio chiedere il suo aiuto e i suoi consigli; era riuscita ad allontanarsi fino a quel punto dal caso e da quello che aveva fatto alla sua carriera legale.

      La pila di carte raccontava una storia che lei conosceva bene, ma appoggiare le dita su quelle pagine e foto fu come setacciare tra le sabbie del tempo, scrutando tra i granelli per imparare ciò che ancora non aveva compreso. Descriveva la storia di Howard Randall, che da ragazzo era stato quasi picchiato a morte da una madre abusiva. Lo stesso ragazzo che era stato molestato nelle docce del liceo da un insegnante di educazione fisica. Un ragazzo che era diventato un uomo che non solo reagiva con una rabbia che era cresciuta e si era evoluta dentro di lui nel corso degli anni, ma che avrebbe usato quella stessa furia per modellare e definire una mente brillante che non si era mai preoccupato di esercitare adeguatamente a scuola. No, aveva conservato quell’intelligenza per il college, iniziando in un’università pubblica per migliorare i suoi voti e impressionare l’ufficio ammissioni e registri di Harvard. Aveva frequentato, si era laureato e aveva finito per insegnare lì.

      Ma la sua genialità non si era limitato a quello. Era cresciuta, dimostrando la propria ferocia la prima volta che aveva stretto un coltello. Era stato quello con cui aveva ucciso la sua prima vittima.

      Avery arrivò alle foto della scena del crimine di quella prima vittima, una cameriera di ventiquattro anni. Una studentessa del college, come tutte le altre vittime. C’era un grosso sfregio nella sua gola, che andava da un orecchio all’altro. Niente di più. Era morta dissanguata nella piccola cucina della rosticceria dove all’epoca stava facendo la chiusura.

      Un singolo taglio, rifletté Avery mentre guardava la foto. Un taglio sorprendentemente pulito. Nessun segno di abuso sessuale. È entrato, ha colpito ed è uscito.

      Passò alla seconda immagine e la studiò. E poi la terza e la quarta. Davanti a ognuna trasse le stesse conclusioni, spuntandole nella mente come nella schedina di uno sport perverso.

      La seconda vittima. Una matricola di diciotto anni. Un taglio su un fianco, apparentemente accidentale. Un altro, non tanto un taglio quando una ferita da punta con la lama puntata direttamente al cuore.

      La terza vittima. Una diciannovenne iscritta alla facoltà di Lingua Inglese, che arrotondava facendo la spogliarellista. Trovata morta nella sua auto, un singolo colpo di pistola dietro la testa. Più tardi era venuto fuori che le aveva offerto cinquecento dollari in cambio di sesso orale, lei lo aveva invitato alla sua auto e Howard le aveva sparato. Non era stato trovato alcun segno che fosse avvenuto l’atto, e nella sua testimonianza, Howard aveva confermato che l’aveva uccisa prima di fare qualsiasi altra cosa.

      La quarta vittima. Diciotto anni. Colpita alla testa con un mattone. Due volte. A quanto pareva il primo colpo era arrivato troppo in basso e non l’aveva uccisa. Il secondo le aveva fracassato il cranio e arrivato al cervello.

      La quinta vittima. Un’altra gola tagliata, un unico taglio profondo e netto da un orecchio all’altro.

      La sesta vittima. Strangolata. Niente impronte digitali.

      E sempre avanti così. Uccisioni pulite. Copiose quantità di sangue trovate solo su tre scene ed era stata una questione di circostanze, non di teatralità.

      Diciamo che l’intuizione di O’Malley e la certezza del sindaco siano giuste. Se Howard sta uccidendo di nuovo, perché cambiare il suo metodo? Non per dimostrare qualcosa, sarebbe una cazzata da macho al di sotto di lui. Quindi perché?

      “Non lo farebbe,” si rispose da sola nella stanza vuota.

      E anche se non era tanto ingenua da pensare che tre anni in prigione avessero cambiato Howard Randall, liberandolo dalla brama di uccidere, era sicura che fosse fin troppo furbo per rincominciare da dove aveva lasciato, nella stessa città che si era ribaltata pur di trovarlo.

      Se prima aveva avuto qualche dubbio, furono spazzati tutti via guardando quei fascicoli.

      Non è stato lui. Tuttavia… qualcuno ha ucciso.

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