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l’accetta e venne scagliato dall’altra parte della cella andando a sbattere contro la parete e collassando poi a terra. Thor salvò Merek un’istante prima che la lama gli raggiungesse il polso.

      Merek guardò Thor con gli occhi sgranati.

      L’uomo scosse la testa e iniziò a rialzarsi in piedi per catturare Thor. Ma Thor sentiva il potere che gli ardeva nel corpo, e quando l’uomo si fu rimesso in piedi di fronte a lui, corse in avanti, saltò in aria e gli stampò un calcio nel petto. Thor si sentiva pervaso da un potere mai percepito prima e udì uno scricchiolio quando il suo calcio spedì il guardiano in aria, sbattendolo di nuovo contro la parete, dalla quale si afflosciò poi a terra, questa volta veramente privo di conoscenza.

      Merek rimase lì in piedi, scioccato, e Thor seppe esattamente cosa doveva fare. Afferrò l’accetta, corse a prendere il ceppo che teneva Merek fissato al muro e lo tagliò. Una fontana di scintille volò in aria quando la catena venne spezzata. Merek trasalì, poi sollevò la testa e guardò la catena penzolante, rendendosi conto che era libero.

      Guardò Thor a bocca aperta.

      “Non so come ringraziarti,” disse. “Non so come tu abbia fatto una cosa del genere, qualsiasi cosa sia stata. Non so chi tu sia – o cosa tu sia – ma mi hai salvato la vita. Di devo un favore. E non è certo una cosa che prenderò alla leggera.”

      “Non mi devi nulla,” disse Thor.

      “Sbagliato,” disse Merek, stringendo l’avambraccio di Thor. “Ora sei un mio fratello. E ti ripagherò. In qualche modo. Un giorno.”

      Detto questo Merek si voltò, si affrettò ad aprire la porta della cella e corse lungo il corridoio tra le grida degli altri prigionieri.

      Thor si guardò attorno, vide la guardia priva di conoscenza, la cella aperta, e capì che anche lui doveva agire. Le urla dei prigionieri si stavano intensificando.

      Thor uscì dalla cella, guardò da entrambe le parti e decise di correre nella direzione opposta a quella presa da Merek. Almeno non avrebbero potuto catturarli entrambi.

      CAPITOLO TRE

      Thor correva nella notte lungo le caotiche vie della Corte del Re, sorpreso dalla confusione che le animava. Le vie erano affollate, masse di persone correvano in ogni direzione creando un caotico groviglio. Molti portavano delle torce, illuminando la notte e gettando ombre inquietanti sui volti, mentre le campane del castello suonavano ininterrottamente. Era uno suono dal tono basso che si ripeteva ogni minuto, e Thor sapeva che il suo significato era solo uno: morte. Campane di morte. E c’era solo una persona per cui le campane avrebbero potuto suonare quella notte: il Re.

      Il cuore di Thor batteva a mille mentre lui rifletteva. Il pugnale del suo sogno gli lampeggiava davanti agli occhi. Era stato vero.

      Doveva accertarsene. Allungò un braccio e fermò un passante, un ragazzo che correva nella direzione opposta.

      “Dove stai andando?” gli chiese. “Cos’è tutta questa confusione?”

      “Non hai sentito?” ribatté il ragazzo con frenesia. “Il nostro Re sta morendo! Pugnalato! La gente si sta ammassando fuori dai cancelli per cercare di saperne di più. Se fosse vero, sarebbe un colpo terribile per noi tutti. Te lo puoi immaginare? Una terra senza un re?”

      Detto questo il ragazzo si scrollò di dosso la mano di Thor, si voltò e corse nella notte.

      Thor rimase lì, con il cuore che gli batteva in petto, rifiutandosi di accettare la realtà che lo circondava. I suoi sogni, le sue premonizioni: erano ben più che mere fantasie. Aveva visto il futuro. Per due volte. E questo lo spaventava. I suoi poteri erano più profondi di quanto pensasse, e sembravano diventare ogni giorno più forti. Dove lo avrebbero portato di questo passo?

      Thor stava fermo, cercando di capire cosa fosse meglio fare. Era fuggito, ma ora non aveva idea di dove andare. Sicuramente nel giro di pochi momenti le guardie reali – e forse tutta la Corte del Re – si sarebbero messi sulle sue tracce. La fuga di Thor accresceva la sua colpevolezza. Allo stesso modo però c’era da considerare il fatto che MacGil fosse stato pugnalato mentre Thor era in prigione: non era un elemento utile per scagionarlo? Oppure lo avrebbero considerato ancor più come parte dell’intera cospirazione?

      Thor non poteva permettersi di provare a scoprirlo. Chiaramente nessuno nel regno era ora dell’umore giusto per ascoltare un pensiero razionale: sembrava che tutti attorno a lui fossero in cerca di sangue. E lui sarebbe probabilmente diventato il capro espiatorio. Aveva bisogno di un riparo, un qualche posto in cui andare e da dove superare la tempesta e dimostrare la sua innocenza. Il posto più sicuro sarebbe senz’altro stato lontano da lì. La cosa migliore da fare sarebbe stata scappare, trovare rifugio nel suo villaggio o addirittura più lontano, il più lontano possibile da lì.

      Ma Thor non voleva prendere la via più sicura, non era fatto così. Voleva rimanere lì, dimostrare la sua innocenza e riprendere il suo posto nella Legione. Non era un codardo, quindi non fuggì. Più di tutto voleva vedere MacGil prima che morisse, sempre ammesso che fosse ancora vivo. Aveva bisogno di vederlo. Si sentiva sopraffatto dal senso di colpa per non essere stato in grado di evitare l’assassinio. Perché era stato destinato a vedere la morte del Re se non c’era nulla che potesse fare per evitarla? E perché aveva visto che veniva avvelenato se poi lo avevano invece pugnalato?

      Mentre Thor stava lì combattuto sul da farsi, gli venne un’idea: Reece. Reece era la persona di cui si poteva fidare e che per certo non lo avrebbe portato davanti alle autorità. E forse gli avrebbe anche offerto una protezione. Sentiva che Reece gli avrebbe creduto. Lui sapeva che l’amore di Thor per suo padre era genuino, e se c’era qualcuno che avrebbe potuto dimostrare la sua innocenza, quello era proprio Reece. Doveva trovarlo.

      Thor partì di scatto attraverso i vicoli bui, girando e svoltando in mezzo alla folla, allontanandosi dai cancelli della Corte, diretto verso il castello. Sapeva dov’era la camera di Reece – nell’ala est, vicino alle mura esterne della città – e sperava solo che Reece fosse lì. Se così fosse stato, forse avrebbe potuto richiamare la sua attenzione e farsi aiutare ad entrare nel castello. Thor aveva la tremenda sensazione che se avesse esitato ancora per un po’ lì nelle strade, qualcuno avrebbe potuto riconoscerlo. E se quella calca di gente l’avesse riconosciuto, l’avrebbero fatto a pezzi.

      Passando di strada in strada, con i piedi che scivolavano nel fango della notte estiva, Thor raggiunse finalmente il muro di pietra dei bastioni esterni. Vi si portò vicino e corse lungo il tracciato, al riparo dagli occhi attenti dei soldati che vi si trovavano tutt’attorno.

      Quando si fu avvicinato alla finestra di Reece, si abbassò e raccolse un sasso liscio. Fortunatamente l’arma che si erano dimenticati di togliergli era la sua vecchia e fidata fionda. La prese, vi inserì il sasso e lanciò.

      Con la sua mira impeccabile mandò il sasso a volare in alto verso la parete del castello, giusto attraverso la finestra aperta della stanza di Reece. Thor la udì colpire la parete interna, poi attese, appiattendosi contro le mura per non essere visto dalle guardie del Re, che erano sobbalzate per il rumore.

      Per diversi momenti non accadde nulla, e Thor si sentì il cuore sprofondare mentre si chiedeva se Reece, dopotutto, non si trovasse nella sua stanza. In quel caso Thor sarebbe dovuto fuggire da quel luogo, non aveva altri mezzi per guadagnarsi un riparo sicuro. Trattenne il fiato e il cuore gli batteva forte nel petto nell’attesa, mentre guardava l’apertura della finestra.

      Dopo quella che gli sembrò un’eternità, Thor era proprio sul punto di andarsene quando scorse una figura sporgere la testa fuori dalla finestra, appoggiarsi con entrambe le mani sul davanzale e guardarsi intorno con aria confusa.

      Thor si staccò di parecchi passi dal muro e sventolò un braccio in aria.

      Reece guardò verso il basso e lo notò. Il suo volto si illuminò quando lo riconobbe, evidente anche da lì alla luce delle torce e Thor fu felice di vedere la gioia nel suo sguardo. Quello gli confermava tutto ciò che aveva bisogno di sapere: Reece non lo avrebbe fatto catturare.

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