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il suo essere relegato lì, ai remoti confini di Escalon, destinato a guardare un disordinato gruppo di criminali che venivano definiti soldati. Quelli non erano soldati: erano schiavi, criminali, ragazzi, vecchi, i reietti della società, tutti ingaggiati per sorvegliare un muro di fuoco che non cambiava da un migliaio di anni. Era veramente soltanto un’incensata galera, e lui certo meritava di meglio. Meritava di trovarsi in qualsiasi altro posto, ma non lì, davanti alle porte reali di Andros.

      Il capitano diede un’occhiata verso il basso, con scarso interesse, mentre si verificava l’ennesima zuffa, la terza ormai quel giorno. Quella sembrava essere scoppiata tra due ragazzi cresciuti un po’ troppo che litigavano per un pezzetto di pane. Un gruppo di ragazzi urlanti subito si raccolse attorno a loro, incitandoli. Questo era tutto ciò in cui potevano sperare, là fuori. Erano tutti estremamente annoiati, costretti a sorvegliare Le Fiamme giorno dopo giorno; tutti assetati di sangue. E lui lasciava che avessero il loro divertimento. Se si uccidevano, tanto meglio: ci sarebbero stati per lui due ragazzi i meno da sorvegliare.

      Si levò un grido mentre uno dei ragazzi aveva la meglio sull’altro, piantandogli un pugnale nel cuore. Il ragazzo si afflosciò mentre gli altri esultavano per la sua morte e poi si avventavano sul suo corpo per arraffare qualsiasi cosa vi potessero trovare. Almeno era stata una morte misericordiosamente rapida, molto meglio di quelle lente che gli altri avrebbero affrontato in quel luogo. Il vincitore si fece avanti, spinse gli altri da parte e si chinò afferrando il tozzo di pane dalla tasca del morto e infilandolo nella propria.

      Era semplicemente un giorno come un altro lì a Le Fiamme, e il capitano ardeva di indignazione. Non si meritava tutto questo. Aveva fatto un errore, disobbedendo una volta a un ordine diretto, e come punizione era stato spedito lì. Non era giusto. Cosa non avrebbe dato per essere in grado di tornare indietro e cambiare quel momento passato. Era convinto che la vita potesse essere estremamente eccitante, estremamente assoluta, ma anche assolutamente crudele.

      Il capitano, rassegnato al suo destino, si voltò a guardare Le Fiamme. C’era qualcosa nell’onnipresente crepitio, dopo tutti quegli anni, che era per lui seducente, ipnotico. Era come tenere gli occhi fissi sul volto di Dio stesso. Mentre si perdeva in quel bagliore, si interrogava sulla natura della vita. Sembrava tutto così insignificante. Il suo ruolo lì – il ruolo di tutti quei ragazzi in quel luogo – gli apparivano così insignificanti. Le Fiamme si ergevano da migliaia di anni e non sarebbero mai morte. E fintanto che avessero continuato ad ardere, la nazione di troll non avrebbe mai potuto fare irruzione. Marda si poteva anche trovare dall’altra parte del mare. Se fosse stato per lui, avrebbe preso i migliori tra quei ragazzi e li avrebbe messi di pattuglia da qualche altra parte ad Escalon, lungo le coste, dove sarebbero veramente stati utili. Quindi avrebbe giustiziato tutti i criminali che si trovavano tra loro.

      Il capitano perse la concezione del tempo, come spesso gli accadeva, perdendosi nel bagliore del fuoco, e solo in tarda giornata si riscosse improvvisamente, allerta. Aveva visto qualcosa, qualcosa che non poteva capire del tutto. Si strofinò gli occhi, convinto di aver avuto una visione. Ma quando guardò con maggiore attenzione, si rese lentamente conto che non erano per niente visioni. Il mondo stava cambiando davanti ai suoi occhi.

      Lentamente il continuo crepitio, quello accanto al quale aveva vissuto in ogni momento di veglia sin da quando era arrivato lì, si spense. Il calore che sempre gli aveva inondato il volto improvvisamente svanì, lasciandogli un brivido, un vero brivido, il primo da quando era lì. E poi, mentre guardava, la colonna di brillanti fiamme rosse e arancio, quelle che gli avevano bruciato gli occhi, che erano state accese giorno e notte ininterrottamente, per la prima volta si spense.

      Scomparve.

      Il capitano si strofinò gli occhi di nuovo, incredulo. Stava sognando? Davanti a lui, mentre osservava, Le Fiamme si stavano abbassando fino a terra, come un sipario che veniva calato. E un attimo dopo non c’era più nulla.

      Niente.

      Il capitano smise di respirare, il panico e l’incredulità lentamente presero il sopravvento su di lui. Si trovò a guardare, per la prima volta, verso ciò che si trovava dall’altra parte: Marda. Ne aveva una visuale chiara e completa. Era una terra completamente nera: montagne desolate e nere, rocce frastagliate e nere, terra nera, morta, alberi neri. Era una terra che non avrebbe mai dovuto vedere. Una terra che nessuno ad Escalon avrebbe dovuto vedere.

      Calò un sorpreso silenzio mentre i ragazzi di sotto, per la prima volta, smettevano di bisticciare tra loro. Tutti paralizzati dallo shock si voltarono a guardare. Il muro di fuoco era scomparso e lì davanti a loro, dall’altra parte, intenti a guardarli bramosi, c’erano un intero esercito di troll che riempivano il territorio fino all’orizzonte.

      Una nazione.

      Il capitano si sentì il cuore sprofondare in petto. Lì, a pochi passi di distanza, si trovava la nazione delle bastie più disgustose che avesse mai visto: enormi, malformati, tutti con grosse alabarde in mano e tutti in paziente attesa del loro momento. Milioni di troll li fissavano, apparentemente stupiti quanto loro mentre si rendevano conto che non c’era più nulla a separarli da Escalon.

      Le due nazioni si trovavano lì, una di fronte all’altra. I troll erano raggianti di vittoria, gli umani in completo panico. Dopotutto lì c’erano poche centinaia di uomini, schierati contro un milione di troll.

      Si levò un grido a spezzare il silenzio. Veniva dalla parte dei troll: un grido di trionfo, seguito da un forte tuono, mentre i troll si lanciavano all’attacco. Avanzavano rombanti come una mandria di bufali, sollevando le alabarde e tagliando le teste dei ragazzi paralizzati dal panico e che non riuscirono a raccogliere il coraggio neanche per mettersi a correre. Fu un’ondata di morte, un’ondata di distruzione.

      Il capitano stesso rimase fermo sulla sua torretta, troppo spaventato per fare qualsiasi cosa, anche solo per sguainare la sua spada mentre i troll gli correvano incontro. Un momento dopo si sentì cadere mentre la folla imbufalita lo spingeva giù dalla sua torretta. Si sentì cadere tra le braccia dei troll e gridò sentendo che lo tiravano con i loro artigli, facendolo a pezzi.

      E mentre si trovava lì, morente, sapendo ciò che attendeva Escalon, un ultimo pensiero gli attraversò la mente: il ragazzo che era stato pugnalato, che era morto per un tozzo di pane, era stato alla fine il più fortunato di tutti.

      CAPITOLO DUE

      Dierdre si sentiva schiacciare i polmoni mentre roteava su se stessa sott’acqua, in disperato bisogno di aria. Cercava di orientarsi, ma non ne era capace. Veniva spinta con violenza da enormi onde, il mondo era sottosopra e continuava a girare. Voleva più di ogni altra cosa prendere una boccata d’aria, tutto il suo corpo urlava nella richiesta di ossigeno, ma sapeva che farlo avrebbe significato morte certa.

      Chiuse gli occhi e urlò, con le lacrime che si mescolavano all’acqua, chiedendosi se quell’inferno avrebbe mai avuto fine. L’unico conforto le veniva dal pensare a Marco. Lo aveva visto, insieme a lei, roteare in acqua. Lo aveva sentito tenerle la mano e si voltò a cercarlo. Ma non vide nulla, nient’altro che oscurità e onde di schiuma, acqua che si infrangeva spingendola in basso. Ipotizzò che Marco fosse ormai bell’è morto.

      Dierdre voleva piangere, ma il dolore le scacciava dalla mente ogni pensiero di autocommiserazione e la faceva pensare solo alla sopravvivenza. Proprio quando pensava che le onde non potessero essere più forti di così, quelle la schiacciavano verso il suolo, spingendola verso il basso con una tale forza da farla sentire come se l’intero peso del mondo fosse sopra di lei. Sapeva che non sarebbe sopravvissuta.

      Ironico, pensò, morire lì, nella sua città natale, schiacciata dalla marea di onde create dalle cannonate pandesiane. Avrebbe di gran lunga preferito morire in un altro modo. Pensava di poter gestire più o meno qualsiasi genere di morte, eccetto quella per annegamento. Non riusciva a sopportare quell’orrendo dolore, quel dimenarsi, quell’essere incapace di aprire la bocca e prendere quella boccata d’aria che ogni angolo del suo corpo desiderava così intensamente.

      Si sentì divenire più debole, sentì che stava cedendo al dolore. A quel punto, proprio quando gli occhi stavano per chiudersi, proprio quando pensava di non poter resistere un secondo di più, si sentì improvvisamente girare e salire rapidamente verso l’alto, sostenuta dall’onda con la stessa forza con

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