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Schiava, Guerriera, Regina . Морган Райс
Читать онлайн.Название Schiava, Guerriera, Regina
Год выпуска 0
isbn 9781632917119
Автор произведения Морган Райс
Серия Di Corone e di Gloria
Издательство Lukeman Literary Management Ltd
“Nessuno di noi l’avrebbe scelto,” disse Vario. “Anche se è durato più a lungo di quanto mi sarei aspettato, aveva una forma orribile.”
Tano non poteva stare in silenzio un secondo di più.
“Brennius era il combattente con la forma migliore in tutta l’arena,” disse. “Non parlate dell’arte di combattere se non ne sapete niente.”
I cugini fecero silenzio e gli occhi di aria si allargarono come dischi mentre abbassava lo sguardo a terra. Vario spinse il petto in fuori e incrociò le braccia, accigliandosi. Si fece più vicino a Tano, come a volerlo sfidare, e nell’aria si sentì una palpabile tensione.
“Bene, lasciamo perdere quegli insignificanti combattenti,” disse Aria mettendosi tra loro due nel tentativo di sdrammatizzare. Fece segno ai ragazzi di farsi più vicini e poi sussurrò: “Ho sentito un pettegolezzo bizzarro. Un uccellino mi ha detto che il re vuole avere qualcuno di sangue reale a competere nelle Uccisioni.”
Tutti si scambiarono uno sguardo inquieto e fecero silenzio.
“Può anche essere,” disse Lucio. “Ma non sarò io. Non ho intenzione di mettere a rischio la mia vita per uno stupido gioco.”
Tano sapeva di poter sconfiggere la maggior parte di combattenti, ma uccidere un essere umano non era qualcosa che desiderasse.
“Hai solo paura di morire,” disse Aria.
“Non è vero,” ribatté Lucio. “Ritira quello che hai detto!”
Tano aveva finito la pazienza. Se ne andò.
Vide un’altra cugina, Stefania, che se ne andava in giro come se stesse cercando qualcuno, forse proprio lui. Qualche settimana prima la regina aveva detto che lui era predestinato a sposare Stefania, ma Tano aveva sentimenti diversi. Stefania era viziata come il resto dei suoi cugini e avrebbe preferito rinunciare al proprio nome e alla propria eredità, anche alla spada, piuttosto che sposarla. Era decisamente bella, vero – capelli dorati, pelle bianca come il latte, labbra rosso sangue – ma se doveva ascoltarla continuamente parlare di quanto la vita fosse ingiusta, si sarebbe piuttosto tagliato via le orecchie.
Si portò di soppiatto verso i margini del giardino, in direzione dei cespugli di rose, evitando di incrociare lo sguardo di qualsiasi invitato. Ma appena svoltato l’angolo, Stefania gli si parò davanti, gli occhi castani illuminati.
“Buonasera, Tano,” disse con un sorriso abbagliante che avrebbe fatto cadere in brodo di giuggiole la maggior parte dei ragazzi lì presenti. Tutti eccetto Tano.
“Buonasera anche a te,” disse Tano scansandola e continuando a camminare.
Lei sollevò la stola e lo seguì come una fastidiosa zanzara.
“Non trovi come sia ingiusto che…” iniziò.
“Ho da fare,” la interruppe Tano con tono più rude di quanto volesse, facendola sussultare. Poi si girò verso di lei. “Scusa… sono solo stanco dopo tutte queste feste.”
“Magari ti andrebbe di fare una passeggiata con me?” chiese Stefania inarcando le sopracciglia mentre si faceva più vicina.
Quella era proprio l’ultima cosa che lui desiderasse.
“Senti,” disse, “so che la regina e tua madre si sono messe in testa che noi in qualche modo potremmo stare insieme, ma…”
“Tano!” udì chiamare dietro di sé.
Tano si girò e vide un messaggero del re.
“Il re vorrebbe che lo raggiungessi al gazebo lì davanti,” disse. “E anche voi, mia signora.”
“Posso chiedere perché?” chiese Tano.
“C’è molto di cui parlare,” disse il messaggero.
Non avendo avuto delle conversazioni regolari con il re in passato, Tano si chiese cosa potesse significare.
“Certamente,” disse Tano.
Con suo grande disappunto una raggiante Stefania lo prese sottobraccio e insieme seguirono il messaggero fino al gazebo.
Quando Tano notò diversi consiglieri del re e anche un principe già seduti sulle panche e sulle sedie, trovò strano che avesse invitato anche lui. Avrebbe avuto a fatica qualcosa di valido da offrire alla loro conversazione, dato che la sua opinione su come veniva governato l’Impero era fortemente diversa da quella dei presenti. La miglior cosa da fare, pensò tra sé e sé, sarebbe stata di tenere la bocca chiusa.
“Che coppia amorevole siete,” disse la regina con un caldo sorriso quando arrivarono.
Tano strinse le labbra e offrì a Stefania un posto per sedersi accanto a lui.
Quando tutti si furono sistemati, il re si alzò in piedi e il gruppo fece silenzio. Suo zio indossava una toga lunga fino al ginocchio, ma se le altre erano bianche, rosse e blu, la sua era viola, un colore riservato solo ai re. Attorno alle tempie, dove i capelli si stavano facendo sempre più radi, si trovava una ghirlanda dorata. Le sue guance e gli occhi non presentavano un’espressione felice, seppur stesse sorridendo.
“Il popolo si sta facendo irrequieto,” disse con voce greve e lenta. Lentamente osservò i volti con l’autorità di un re. “È giunto il momento di ricordare loro chi è il re e di impostare regole più severe. Da questo giorno in poi raddoppierò le tasse su tutte le proprietà e sul cibo.”
Si levò un sorpreso mormorio, seguito da cenni di assenso e approvazione.
“Scelta eccellente, vostra grazia,” disse uno dei consiglieri.
Tano non poteva credere alle sue orecchie. Raddoppiare le tasse per il popolo? Essendosi mescolato con la gente comune, sapeva bene che le tasse richieste erano già ben più ingenti di quanto la gente potesse permettersi. Aveva visto madri piangere per la perdita dei figli, morti di fame. Proprio il giorno prima aveva offerto del cibo a una bambina senzatetto di quattro anni di cui si poteva vedere sottopelle ogni singolo osso.
Tano dovette distogliere lo sguardo altrimenti avrebbe detto a voce alta che quella era una follia.
“E infine,” disse il re,” da ora in poi, per bilanciare la rivoluzione sotterranea che minaccia di insorgere, il figlio primogenito di ogni famiglia diventerà un servo nell’esercito del re.”
Uno dopo l’altro tutti gli astanti commentarono la decisione del re come giusta e saggia.
Alla fine però Tano sentì che il re si voltava verso di lui.
“Tano,” disse il re, “Sei rimasto in silenzio. Parla!”
Sotto al gazebo calò il silenzio e tutti gli occhi rimasero puntati su di lui. Tano si alzò in piedi. Sapeva di dover parlare, per la bimba emaciata, per le madri addolorate, per tutti coloro che non avevano voce e le cui vite sembravano non contare. Doveva rappresentarli, perché se non l’avesse fatto lui, non l’avrebbe fatto nessuno.
“Regole più dure non sederanno la ribellione,” disse con il cuore che gli martellava in petto. “La renderà solo più vigorosa. Instillare paura nei cittadini e negare loro la liberà non farò altro che costringerli a insorgere contro di noi e ad aggregarsi alla rivoluzione.”
Alcune persone risero, mentre altre parlarono sommessamente tra loro. Stefania gli prese la mano e cercò di farlo tacere, ma lui si divincolò.
“Un grande re usa l’amore, come anche la paura, per governare i suoi sudditi,” disse Tano.
Il re lanciò alla regina uno sguardo inquieto. Si alzò e si avvicinò a Tano.
“Tano, sei un ragazzo coraggioso per esporre così le tue opinioni,” disse mettendogli una mano sulla spalla. “Comunque, il tuo fratello più giovane non è stato assassinato a sangue freddo da quella stessa gente, da quelli che si autogovernano, come dici tu?”
Tano ci vide rosso. Come osava suo zio portare alla ribalta la morte di suo fratello in modo così poco serio? Per anni Tano era stato morso dal dolore e aveva pianto la perdita del fratello.
“Quelli