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Teneva in mano il suo bastone, illuminato dal tramonto e dalla luna.

      Argon.

      Gwen si alzò e si mise di fronte a lui.

      “Ti ho cercato,” gli disse. “Sono venuta a casa tua. Mi hai sentito bussare?”

      “Io sento tutto,” le rispose ermetico.

      Lei esitò pensierosa. Argon non aveva alcuna espressione.

      “Dimmi cosa devo fare,” gli disse. “Farò qualsiasi cosa. Per favore, non permettere che Thor muoia. Non puoi lasciarlo morire!”

      Gwen fece un passo avanti a gli afferrò un polso, implorante. Ma appena lo toccò fu scottata da un calore bruciante che passò dal polso di Argon alla sua mano, e si ritrasse, pervasa da quell’energia.

      Argon sospirò, si voltò e fece diversi passi verso il lago. Rimase lì, fissando l’acqua, gli occhi scintillanti alla luce.

      Lei gli si avvicinò e rimase accanto a lui per chissà quanto tempo, aspettando che fosse pronto a parlare.

      “Non è impossibile cambiare il destino,” le disse. “Ma ciò costa un grosso prezzo a chi lo chiede. Tu vuoi salvare una vita. È uno sforzo nobile. Ma non puoi salvare due vite. Dovrai scegliere.”

      Lui si voltò a guardarla.

      “Chi vuoi che sopravviva questa notte? Thor o tuo fratello? Uno di loro deve morire. È scritto.”

      Gwen era orripilata da quella domanda.

      “Ma che razza di scelta è?” gli chiese. “Salvandone uno, condanno l’altro.”

      “Non è vero. Sono entrambi destinati a morire. Mi dispiace, ma questo è il loro destino.”

      Gwen si sentì come se le avessero conficcato un pugnale nello stomaco. Entrambi destinati a morire? Era troppo orribile da immaginare. Poteva veramente essere così crudele il fato?

      “Non posso sceglierne uno a scapito dell’altro,” disse alla fine con voce debole. “Il mio amore per Thor è più forte, ovviamente. Ma Godfrey è sangue del mio sangue. Non posso sopportare l’idea che uno di loro muoia a spese dell’altro. E penso che nessuno dei due lo vorrebbe.”

      “Allora entrambi moriranno,” ribatté Argon.

      Gwen si sentì pervasa dal panico.

      “Aspetta!” gli gridò mentre si apprestava ad andarsene.

      Lui si voltò e la guardò.

      “E io?” gli chiese. “E se morissi io al loro posto? È possibile? Possono vivere entrambi se io muoio?”

      Argon la fissò a lungo, come se la stesse osservando nella sua vera essenza.

      “Il tuo cuore è puro,” le disse. “Sei la più pura di cuore tra tutti i MacGil. Tuo padre aveva scelto con saggezza. Veramente…”

      La voce di Argon si affievolì mentre continuava a guardarla negli occhi. Gwen si sentiva a disagio, ma non osò distogliere lo sguardo.

      “Per la tua scelta, per il tuo sacrificio di questa sera,” disse Argon, “il destino ti ha sentito. Thor verrà salvato. E anche tuo fratello. E vivrai anche tu. Ma un piccolo pezzo della tua vita deve essere preso. Ricorda, c’è sempre un prezzo. Morirai di una morte parziale in cambio delle vite di entrambi.”

      “Ma cosa significa?” gli chiese terrorizzata.

      “Tutto viene a un prezzo,” le rispose. “Tu hai una scelta. Non la pagheresti?”

      Gwen si sentì gelare.

      “Farò qualsiasi cosa per Thor,” disse. “E per la mia famiglia.”

      Argon la fissò.

      “Thor ha un destino grandioso,” le disse Argon. “Ma il destino può cambiare. Il nostro destino è nelle nostre stelle. Ma è anche controllato da Dio. Dio può cambiare il fato. Thor era destinato a morire questa notte. Vivrà solo grazie a te. E tu ne pagherai il prezzo. Un prezzo alto.”

      Gwen avrebbe voluto saperne di più, e si allungò verso Argon, ma proprio in quel momento, improvvisamente, una luce lampeggiò davanti ai suoi occhi e Argon scomparve.

      Gwen si voltò cercandolo in ogni direzione, ma non era da nessuna parte.

      Alla fine si girò a guardare il lago, così sereno, come se niente fosse accaduto lì quella notte. Vide il suo riflesso nell’acqua e le parve di essere così lontana. Era colma di gratitudine e, finalmente, di un senso di pace. Ma non poteva evitare di provare anche un senso di timore per il suo stesso futuro. Per quanto tentasse di levarselo dalla mente, non poteva fare a meno di chiedersi: quale prezzo avrebbe pagato per la vita di Thor?

      CAPITOLO OTTO

      Thor giaceva a terra nel bel mezzo della battaglia, schiacciato al suolo dai soldati di McCloud, indifeso; sentiva lo scontro della lotta, le grida dei cavalli e degli uomini che gli stavano morendo attorno. La vista del sole calante e della luna che si levava – una luna più piena che mai – venne improvvisamente oscurata da un enorme soldato che si fece avanti tenendo alto il suo tridente e preparandosi a scagliarlo. Thor sapeva che la sua ora era giunta.

      Chiuse gli occhi preparandosi alla morte. Non aveva paura. Solo rimorso. Avrebbe voluto più tempo per vivere, avrebbe volute sapere chi era, quale fosse il suo destino e, soprattutto, avrebbe voluto più tempo per sé e Gwen.

      A Thor non pareva giusto morire così. Non lì. Non in quel modo. Non quel giorno. Non era ancora la sua ora. Lo sentiva. Non era ancora pronto.

      Improvvisamente sentì qualcosa che gli cresceva dentro: era una fierezza, una forza che non aveva mai provato. Provò un formicolio in tutto il corpo e gli venne caldo. Sentì una sensazione completamente nuova scorrergli nelle membra, dalle piante dei piedi, attraverso le gambe, lungo il tronco, attraverso le braccia fino alle punte delle dita. Tutto bruciava emanando un’energia che faceva fatica a comprendere. Thor stupì se stesso emettendo un sonoro ruggito, come di un drago che sorgesse dal fondo della terra.

      Sentì scorrere in sé la forza di dieci uomini, quindi si liberò dalla presa dei soldati e balzò in piedi. Prima che il guerriero potesse abbassare il tridente, Thor avanzò, lo afferrò per l’elmo e gli diede una testata spezzandogli il naso. Poi gli diede un calcio talmente forte da proiettarlo all’indietro come una palla di cannone, colpendo altri dieci uomini.

      Thor gridò pervaso da un nuovo senso di rabbia, afferrò il soldato, lo sollevò sopra la sua testa e lo scagliò tra gli altri, mandando a terra una decina di soldati come fossero pedine. Poi agguantò una mazza chiodata con una catena di tre metri dalle mani di un soldato e la fece roteare sopra la propria testa sempre più forte, fino a che le urla si levarono tutt’attorno a lui mentre mandava a terra decine e decine di guerrieri.

      Thor sentiva che il suo potere continuava a sgorgare e gli lasciò prendere il sopravvento. Quando diversi altri uomini gli si buttarono addosso, allungò una mano e aprì il palmo, sorpreso di sentire un formicolio e poi di vedere una nebbia fresca emanare dalla sua mano aperta. I suoi aggressori si immobilizzarono all’improvviso, ricoperti da uno strato di ghiaccio. Rimasero immobili sul posto, congelati.

      Thor fece ruotare i palmi in ogni direzione e ovunque gli uomini rimasero immobilizzati: sembrava che dei blocchi di ghiaccio fossero caduti sul campo di battaglia.

      Thor si voltò verso i suoi fratelli d’armi e vide che alcuni soldati stavano per scagliare colpi fatali contro Reece, O’Connor, Elden e i gemelli. Diresse il palmo anche verso di loro e congelò i loro attaccanti, salvandoli da morte certa. Loro si girarono a guardarlo, gli occhi colmi di sollievo e gratitudine.

      L’esercito di McCloud iniziò a rendersi conto di cosa stava accadendo e i soldati si fecero più timorosi nell’avvicinarsi a Thor. Iniziarono a creare un perimetro di protezione attorno a lui, tutti spaventati mentre vedevano che decine dei loro compagni venivano ricoperti di ghiaccio sul campo di battaglia.

      Ma poi giunse un grido e un uomo si fece avanti: era cinque volte più grande degli altri. Doveva essere alto quattro metri e aveva in mano la spada più grande che Thor avesse mai visto.

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