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che mancavano affatto nella neve. In questo lago sono numerosi organismi: insetti, crostacei (Daphnia) e alghe.

      In complesso appare chiaro che l’ammoniaca esiste quasi costantemente e in quantità variabili nel ghiaccio dei ghiacciai e nelle nevi e che vi si conserva inalterata; anche per lunghi periodi di tempo; ma collo struggersi delle masse ghiacciate, l’ammoniaca passata nell’acqua di fusione, sparisce in poco tempo sì da non trovarsene più traccia a due soli chilometri dalla sorgente, come si verifica nel torrente Indren. Solo quando la fusione dell’acqua avvenga rapidamente, l’ammoniaca si trova ancora nell’acqua del torrente.

      I nitriti si sono ricercati colle reazioni della metafenilendiamina, con quella dell’acido solfanilico e solfato di [Greek: a] naftilamina, i nitrati colla salda d’amido e joduro di zinco, e colla soluzione d’indaco14. In ogni caso e per tutte quante le acque le reazioni furono negative. Ciò per quanto riguarda il 1894; nel 1895 trovai traccie di nitriti nel lago dell’Olen, come dissi più sopra.

      Il comportarsi dei composti tanto ossigenati che idrogenati dell’azoto nelle nevi del Rosa è interessantissimo. Se i risultati da me ottenuti, in base ad accurate reazioni sottoposte sempre a controprove, sono di un valore positivo, non è perciò meno desiderabile che possano essere confermati da un numero maggiore di osservazioni estendentisi su più larga zona. La questione importante dell’origine e della distribuzione dei composti azotati alla superficie del globo e nell’aria dalle indagini che ho esposte riceve un nuovo contributo, per cui si rischiarano alcune circostanze finora meno note.

      È generalmente ammesso che i composti azotati (ammoniaca, nitriti e nitrati) che si trovano in piccolissima quantità nell’aria e che da questa passano nelle acque meteoriche si formino sotto l’influenza delle scariche elettriche o di vive combustioni. Dall’epoca della celebre esperienza di Cavendish questo fatto è stato confermato in numerosi e varii modi15; e si potè constatare che i composti azotati sono tanto più abbondanti nell’atmosfera quanto più elevata è la temperatura e intensi i fenomeni elettrici, come avviene sopratutto nelle zone tropicali. Dei tre composti azotati accennati, l’ammoniaca essendo gazosa si diffonde nell’atmosfera e si rinviene anche negli strati più elevati; mentre invece i nitriti e nitrati (d’ammonio) tendono a precipitare nelle zone più basse, essendo solidi.

      In un modo o nell’altro, sia che (come avviene per l’ammoniaca) siano diffusi nell’atmosfera, o (come succede dei nitrati e nitriti) vi siano sospesi, questi composti devono necessariamente essere imprigionati nelle goccie d’acqua o nei fiocchi di neve, e soffermarsi sui ghiacciai. E se nelle nevi delle alte vette non si trova se non ammoniaca, ciò deve riferirsi che in quelle altezze non si verificano quelle condizioni che sono necessarie perchè gli elementi dell’acqua si combinino coll’azoto atmosferico.

      La questione muta dunque d’aspetto; a rischiararla diventa necessario verificare se ad una certa altezza i fenomeni elettrici mutino di natura, o d’intensità, il che per ora non è facile per la scarsità dei dati, le osservazioni continuate nelle zone elevate essendo ancora nell’inizio.

      A tutta prima parrebbe che sulle alte vette si dovessero avere importantissimi fenomeni elettrici; è noto che ogni picco alpino ha numerose impronte di fulminazione, e spesso si mostra magnetico in conseguenza appunto delle scariche che ha subìto16. Sulle vette alpine alcuni viaggiatori hanno assistito a fenomeni elettrici imponenti; il sig. Galli il 16 agosto 1889 trovandosi alla Capanna del Bergli (3299), alla base del gruppo della Jungfrau, fu leggermente ferito da un fulmine penetrato nel rifugio. Si è in vista di questi pericoli che uno fra i principali intenti della Commissione nominata dal Club Alpino Italiano per dirigere la costruzione della Capanna Margherita sulla Punta Gnifetti, fu di trovare il modo di renderla sicura dal fulmine17. Si adottò il sistema di rivestirla di fogli di rame, armandola di punte agli spigoli, da cui scendono gomene metalliche che la mettono in diretta comunicazione col nucleo granitico del monte.

      Dal complesso tuttavia delle osservazioni e dalla esperienza quotidiana risulta che i violenti fenomeni elettrici a grandi altezze sono rari e che le vere scariche temporalesche, in cui la ricomposizione della elettricità si fa repentinamente per mezzo di scintille, vi sono meno frequenti che non al basso; al disopra dei 3000 metri nella nostra latitudine temporali con lampi e tuoni si hanno assai più rari che al piano. La scarica elettrica nelle zone assai elevate muta carattere, non è più subitanea come quella della bottiglia di Leyda, ma diventa continua o semi-continua, assume l’apparenza di fuoco di S. Elmo o forse anche di scarica oscura. Su questo punto le osservazioni sono numerose e confermansi quotidianamente; il Vallot che è uno di coloro che abbia vissuto più a lungo sul Monte Bianco, cita fra i fenomeni elettrici non i fragorosi fulmini, ma le milles piqûres de l’électricité des orages18. Il Vallino ha radunato molti esempi di scariche elettriche nelle alte montagne19; se ne trovano pure registrati molti interessantissimi negli Annali dell’Osservatorio di Harvard College, il quale venne eretto sul Pikes Peak nelle Montagne Rocciose a 4308 m. Recentemente si pubblicarono nei «Sitzungsberichte» dell’Accademia di Vienna le osservazioni sulla elettricità atmosferica e sui fuochi di S. Elmo fatte sulla vetta del Sonnblick, confermandosi il risultato di precedenti osservazioni che dimostrano la variazione dell’energia elettrica esservi poca, comparata a quella della base perchè l’Osservatorio si erge al disopra di quegli strati dell’atmosfera in cui sono più, frequenti i processi elettrici20.

      Tutti questi fatti giustificano quanto dissi dianzi che se non assolutamente mancanti, tuttavia le violenti scariche temporalesche che sono la sorgente più copiosa di composti nitrosi nell’aria, sono rare a grandi altezze; si comprende perciò come nella neve raccolta sulle vette si trovi in prevalenza e spesso sola l’ammoniaca che è diffusa nell’atmosfera e proviene dagli strati più bassi, e non i nitriti ed i nitrati la cui formazione a tali altezze è scarsa o nulla.

      I risultati da me ottenuti relativamente ai composti azotati dell’acqua a grandi altitudini sono confermati da parecchi autori. Müntz e Aubin21 al Picco del Mezzodì (m. 2877) hanno esaminato sei acque di pioggia, tre di nebbie e quattro di neve e trovarono quasi completamente assenti i nitrati. Per contro l’ammoniaca era dovunque presente in quantità variabile, ma sempre inferiore a quella rinvenuta in regioni basse.

      Boussingault comunicò all’Accademia di Francia22 alcune analisi di acque raccolte dal sig. Civiale nelle peregrinazioni da lui intraprese nelle Alpi. Non sono indicate le manipolazioni che abbia subito l’acqua, nè l’epoca dell’analisi rispetto a quella della raccolta, nè i metodi usati per il dosaggio.

      I risultati sono:

      Dall’esame di questo elenco risulta che in tutte le acque raccolte sopra ai 3000 metri mancava l’acido nitrico; l’ammoniaca invece si è rinvenuta anche a questa altezza al Velan, il picco che domina il passo del Gran S. Bernardo.

      Per contro nella zona inferiore ai 3000 metri le quantità di ammoniaca e di acido nitrico sono variabili e spesso ragguardevoli, con questo tuttavia che i grandi ghiacciai alimentati da nevi la cui altitudine supera i 3000 metri anche più basso hanno poco o punto di acido nitrico; tali sono il ghiacciaio del Gorner formato appunto dalle nevi del Rosa di cui io studiai il versante meridionale, e quello di Aletsch le cui radici scendono per i fianchi della Jungfrau e delle altre vette più alte dell’Oberland Bernese.

      Il fatto che la Mer de Glace ha dato invece molto acido nitrico e ammoniaca si spiega colla circostanza che si è esaminata la neve, e non il ghiaccio; ora al fondo del ghiacciaio e ad una altezza di 1350 m. questa neve era certamente d’origine locale, poichè quella alta fonde sul sito o si trasforma in ghiaccio. Un esame dei ghiacci compatti di questo estremo lembo del ghiacciaio avrebbe senza dubbio dato altri risultati e mi induce a pensarlo il fatto che esaminando in quest’anno 1895 il ghiaccio del limite più basso del ghiacciaio del Lys (2150 m.), che è una vera «Mer de

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<p>14</p>

Tiemann u. Gaertner, op. cit., pag. 38-39.

<p>15</p>

Vedi Dammer, Handbuch der anorganischen Chemie, vol. II, parte 1ª, pag. 52. Per quanto si riferisce alla distribuzione dei composti azotati nell’aria in varie zone e latitudini, vedi pure i lavori di Schlösing nei Comptes rendus, vol. 81, pag. 1252; vol. 82, pag. 969; di Müntz e Aubin, ibid. vol. 95, pag. 788, 919; vol. 97, pag. 240; vol. 108, pag. 1062; di Marcano e Müntz, ib., vol. 113, pag. 779, e gli Annuaires de l’Observatoire de Montsouris.

<p>16</p>

Alfonso Sella, nei “Rend. R. Acc. dei Lincei„ del 18 gennaio 1891.

<p>17</p>

Porro, nel “Boll. C. A. I.„ vol. XXIV, pag. 121.

<p>18</p>

Annales de l’Observatoire météorologique du Mont-Blanc, Paris 1893, vol. I, prefazione.

<p>19</p>

“Riv. Mens. C. A. I.„ vol. IX, pag. 115.—Vedi pure “Zeitschr. d. Deutsch. u. Oesterr. Alpenverein„ XX.

<p>20</p>

“Nature„ 16 maggio 1895.—Riferisco qui una interessante relazione trasmessami dal dott. E. Oddone, direttore dell’Osservatorio geodinamico di Pavia, sopra i fenomeni elettrici osservati alla Capanna Margherita.

«Sui fenomeni luminosi al Monte Rosa la sera del 21, o 22 che sia, agosto 1893 ricordo che lassù sulla vetta era nebbioso e vi cadeva insignificante un nevischio. La temperatura era di -5°. Nella vallata della Sesia imperversava il temporale. Dapprima comparvero sui 6 parafulmini delle piccole stellette simili a brillanti di media grossezza illuminati dal sole. La luce loro era bianca. Ma quando i lampi in basso percotevano la montagna, quasi il suolo e le nubi fossero anodo e catodo di una gigantesca batteria, allora le stellette mutavansi in fiocchi allungati e sibilanti. Ed a me appariva che dopo fulmini azzurri si avessero fuochi negativi (stellette), dopo fulmini rossi si avessero fuochi positivi (fiocchi). Il suono era quello del vapore che esce dalla caldaia, attenuato ma distinto, o meglio s’avvicinava a quel zittìo che si fa nelle sale ove si ha piacere di udire la musica ed il vicino disturba. La lunghezza dei fiocchi era forse di un centimetro, ma l’occhio li giudicava più lunghi.

Nuovi lampi, e comparivano le stellette, nuovi lampi ancora e ritornavano i fiocchetti. L’intervallo era di due o tre primi. Avvicinatosi il temporale, non solo dalle punte sui tetti, ma da ogni asperità delle rupi, dagli spigoli dei disordinati assiti fuori della capanna, dalla balaustrata in legno uscivano grossi fiocchi bluastri e fatui lunghi almeno 5 centimetri. All’occhio sembravano più estesi, la luce però era smorta ed a stento si avrebbe potuto leggere con simili candele. In tutto se ne potevano contare una ventina e non mutavano più in stellette. Stavano fissi, offrendo solo un crescendo al momento del lampo (momenti che alcune volte col lampo sparivano totalmente per un secondo!!). Questi fiocchi dolcemente zittivano, come fu detto sopra, mentre la neve attorno, benchè non fosforescente, pure leggermente crepitava e schioppettava. Ho provato a mettere la mano sui parafulmini. Il fiocco spariva per un attimo, ma poi tornava e mi lambiva le mani senza provocare sensazioni. Eravamo in tre o quattro fuori della capanna appoggiati all’uscio di entrata. I capelli e la barba, ad eccezione di qualche luminosità sui peli isolati, non davano niente, ma se si toccavano colle mani se ne sprigionavano ramificazioni luminose molto più intense di quelle che escono dalle macchine di Holtz senza condensatori. La lunghezza di quelle vive fiammelle era di cm. 5, ma ne uscivano delle maggiori se si bagnavano le dita di saliva. La pelle irritata dava la sensazione ben nota.

L’alpenstock, alzato la punta in alto, dava fiocchi di cm. 10 di lunghezza e di 3 cm di diametro circa. Lo zittìo che emetteva incuteva timore. L’uomo colla bocca difficilmente sa fare più forte. Dopo ci siamo ritirati per prudenza, ma non credo che il temporale crescesse in intensità. Un portatore che uscì ancora rientrò atterrito: disse che allo scoppiare di un lampo ne aveva avuto la barba investita e la vista e la memoria momentaneamente offuscata, ma credo esagerasse.

Il tuono al massimo del temporale rumoreggiava forte, ma prima e dopo vedevansi i lampi ed esso a noi non giungeva.

<p>21</p>

“Compt. rend.„ vol. 95 (1882), pag. 919.

<p>22</p>

“Compt. rend.„ vol. 95 (1882), pag. 1121.