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di turno leva quindi la voce perché si cessi d’adorare divinità estranee, ma sempre invano, e i castighi divini arrivano di nuovo puntuali, tante volte nella forma d’una sconfitta in guerra. Adorare gli dèi di altri popoli è una prassi talmente viva in Israele che ci vorrà infine la punizione enorme, come verrà intesa, della deportazione in terra babilonese perché l’intero Israele giunga all’idea di Dio unico e solo.

      Si forma nel IX secolo a.C. un movimento, diretto dai profeti Elia ed Eliseo, particolarmente duro contro il politeismo e che giunge all’omicidio di sacerdoti e di profeti delle divinità straniere. Questo partito ispira, a fini religiosi, una rivoluzione nel regno d’Israele verso l’840 a.C., tuttavia il movimento non riesce ad affermarsi, restando assai minoritario. Da parte sua già il re Asa (circa 913-873 a.C.), nipote di Salomone, aveva combattuto, vanamente, la mentalità politeista. Poi interviene un fatto nuovo e critico, la dominazione assira.

      Nell’VIII secolo prima di Cristo l’Assiria, sotto Tiglatpileser III re dal 744, da regno s’è fatta impero conquistando molti stati e instaurandovi suoi governatori e la pratica di deportare parte delle popolazioni vinte sostituendole con altre: gli Assiri si sono rivolti a nord verso Urartu, a sud hanno conquistato Babilonia, che già era stata loro in passato, ad est hanno vinto la Media, a nord si sono espansi verso le zone mediterranee; finalmente sconfiggono il regno d’Israele e, subito dopo, l’Egitto.

      Nel 721 a.C. il re assiro Sargon II ha conquistato la capitale d’Israele Samaria. Deporta dunque “gli Israeliti in Assiria destinandoli a Chelach, alla zona intorno a Cabor, fiume del Gozan, e alle città della Media” (2 Re 17, 5 s). Sulle terre di Samaria trasferisce altri popoli da regioni distanti dell’impero, che unendosi col residuo non deportato della nazione israelita costituisce la popolazione che sarà detta samaritana, malvista dagli Ebrei ancora al tempo di Gesù perché considerata bastarda:: con tale termine gli Ebrei definivano i supposti discendenti di padri ebrei e madri non ebree; la cittadinanza giudaica e lo stato di ebreo si acquisiva da parte di madre, e ancor oggi nello Stato d'Israele è ebreo chi ha madre ebrea. Le dieci tribù del nord sono dunque assorbite da altri popoli mentre alcuni dei componenti scendono nel sud e s’aggregano a Giuda.

      La dodicesima tribù, discendente dal figlio di Giacobbe di nome Levi, era quella sacerdotale (cui erano appartenuti Aronne e Mosè) e, a differenza delle altre undici, non aveva avuto in assegnazione un particolare territorio dopo la conquista della Terra Promessa.

      Al tempo di Gesù i leviti saranno gli aiutanti dei sacerdoti, costoro ormai della ristretta classe dei sadducei e sedicenti eredi dell’antico sommo sacerdote Sadòq (o Sadùq) di epoca davidica.

      Ecco che in tutte le zone sottomesse dagli Assiri, e dunque anche nei territori ebraici, si rinforza il culto per il dio nazionale, mentre in particolare nel sopravvissuto regno di Giuda si fortifica il partito politico-religioso del culto esclusivo a Jahvè, il quale è però ancora considerato il primo tra gli dèi (enoteismo), non il solo e unico Dio. Inoltre, poiché Jahvè è ormai inteso da quel movimento come la Divinità che in modo particolare gradisce e protegge i poveri, s’alza la richiesta d’una riforma legislativa a loro favore. Un giurista di Gerusalemme, Saban lo scriba, propone un nuovo codice, che comprende tanto la proibizione d’adorare altri dèi quanto miglioramenti a favore del popolo indigente. Lo chiama Legge di Jahvè. Non è certo s’egli lo presenti espressamente come il Documento dell’alleanza mosaica, comunque Saban afferma che il rotolo di questa Legge è stato ritrovato dal gran sacerdote Elcia nel 621 a.C., nei labirinti sotterranei d’un santuario posto nel tempio gerosolomitano, luogo sacro già dedicato a Jahvè ma dov’era stato in seguito eretto un altare pagano; in tal modo il giurista presenta la Legge al re Giosia, sovrano salito al trono in giovanissima età e che regna in un periodo (640-609 a.C.) nel quale il nuovo impero babilonese sta ormai per sostituire quello assiro. È possibile che Saban abbia messo per iscritto una tradizione orale e poi, d’accordo con Elcia, l’abbia presentata come antico documento ritrovato nel tempio. In ogni caso il sovrano accetta come autentico questo libro, dopo ch’è stato convalidato da una profetessa: è un materiale che confluirà durante e/o nel dopo esilio nel libro del Deuteronomio, soprattutto nei capitoli da 12 a 26 e nel 28: in detto libro, influenzato dal profetismo pre-esilico, risuonerà la primitiva legislazione di Giuda col basilare appello morale di tutelare i rapporti di fratellanza e uguaglianza tra i membri della società.

      All’opposto estremo, in un altro testo del Pentateuco che è espressione del gruppo elitario sacerdotale, il Levitico, (v. di questo saggio il capitolo II - LE BASILARI TRADIZIONI VETEROTESTAMENTARIE), sarà in primo piano l’esigenza della purezza, identificandosi l’etica con la purità rituale e legale; e sarà il codice levitico più che l’idea di giustizia deuteronomica a rimanere prioritario in Israele, ancora al tempo di Cristo.

      In conseguenza del ritrovamento, Giosia tenta una riforma monoteista, o più verosimilmente enoteista, ramazzando via dal suo regno negromanti e indovini e abbattendo idoli. Si tratta d’una gran riforma religiosa, culturale e politica che però non entra nel cuore d’Israele: quando il sovrano viene sconfitto e muore in una guerra contro re Neco II di Siria, un fatto considerato di malaugurio, il regno di Giuda torna al politeismo, fatto che i profeti Geremia ed Ezechiele bolleranno come causa della sua rovina, anche se non sarà in loro assente la speranza e annunceranno tempi nuovi e migliori.

      Così Geremia, essendo caduta Gerusalemme per opera dell’esercito babilonese, profetizza: “Ecco verranno giorni - dice il Signore - nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova. Non come l'alleanza che ho conclusa con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d'Egitto, una alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore. Parola del Signore. Questa sarà l'alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato” (Ger 31, 31-34); ed Ezechiele durante l’esilio a Babilonia scriverà quale voce di Dio: “Poi verserò sopra di voi acqua pura e diventerete puri. Io vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri atti di idolatria, e vi darò un cuore nuovo metterò in voi uno spirito nuovo, toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne, metterò in voi il mio Spirito” (Ez 36, 25-27).

      Mentre questi profeti annunciano la liberazione politica degli Ebrei dalla servitù in Babilonia, il Cristianesimo, andando oltre le loro umane intenzioni, vedrà nei loro testi ispirati gli annunci di Cristo Salvatore, portatore della nuova e definitiva alleanza; nel vangelo Gesù si riferisce a Geremia dopo aver benedetto il pane eucaristico: “[...] allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue che è sparso per voi” (Lc 22, 20).

      Gebhard Fugel, Sulle acque di Babilonia, Museo Diocesano, Freising

      Il regno di Giuda cade sotto l’influsso di Babilonia e, in conseguenza del rifiuto nel 598 a.C. del re Jojaqim, figlio di Giosia, di rimanere sotto quest’influenza, l’anno successivo la capitale Gerusalemme è assediata dal re Nabucodonosor. Dopo pochi mesi, essendo morto Jojaqim, forse assassinato da alcuni dei suoi nella vana speranza che il sovrano invasore togliesse l’assedio, suo figlio Jojaqin (o Jeconia) s’arrende (2 Re 24,12) e, come riferisce il

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