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Media” (2 Re 17, 5 s). Sulle terre di Samaria trasferisce altri popoli da regioni distanti dell’impero, che unendosi col residuo non deportato della nazione israelita costituisce la popolazione che sarà detta samaritana, malvista dagli Ebrei ancora al tempo di Gesù perché considerata bastarda:: con tale termine gli Ebrei definivano i supposti discendenti di padri ebrei e madri non ebree; la cittadinanza giudaica e lo stato di ebreo si acquisiva da parte di madre, e ancor oggi nello Stato d'Israele è ebreo chi ha madre ebrea. Le dieci tribù del nord sono dunque assorbite da altri popoli mentre alcuni dei componenti scendono nel sud e s’aggregano a Giuda.

      La dodicesima tribù, discendente dal figlio di Giacobbe di nome Levi, era quella sacerdotale (cui erano appartenuti Aronne e Mosè) e, a differenza delle altre undici, non aveva avuto in assegnazione un particolare territorio dopo la conquista della Terra Promessa.

      Al tempo di Gesù i leviti saranno gli aiutanti dei sacerdoti, costoro ormai della ristretta classe dei sadducei e sedicenti eredi dell’antico sommo sacerdote Sadòq (o Sadùq) di epoca davidica.

      Ecco che in tutte le zone sottomesse dagli Assiri, e dunque anche nei territori ebraici, si rinforza il culto per il dio nazionale, mentre in particolare nel sopravvissuto regno di Giuda si fortifica il partito politico-religioso del culto esclusivo a Jahvè, il quale è però ancora considerato il primo tra gli dèi (enoteismo), non il solo e unico Dio. Inoltre, poiché Jahvè è ormai inteso da quel movimento come la Divinità che in modo particolare gradisce e protegge i poveri, s’alza la richiesta d’una riforma legislativa a loro favore. Un giurista di Gerusalemme, Saban lo scriba, propone un nuovo codice, che comprende tanto la proibizione d’adorare altri dèi quanto miglioramenti a favore del popolo indigente. Lo chiama Legge di Jahvè. Non è certo s’egli lo presenti espressamente come il Documento dell’alleanza mosaica, comunque Saban afferma che il rotolo di questa Legge è stato ritrovato dal gran sacerdote Elcia nel 621 a.C., nei labirinti sotterranei d’un santuario posto nel tempio gerosolomitano, luogo sacro già dedicato a Jahvè ma dov’era stato in seguito eretto un altare pagano; in tal modo il giurista presenta la Legge al re Giosia, sovrano salito al trono in giovanissima età e che regna in un periodo (640-609 a.C.) nel quale il nuovo impero babilonese sta ormai per sostituire quello assiro. È possibile che Saban abbia messo per iscritto una tradizione orale e poi, d’accordo con Elcia, l’abbia presentata come antico documento ritrovato nel tempio. In ogni caso il sovrano accetta come autentico questo libro, dopo ch’è stato convalidato da una profetessa: è un materiale che confluirà durante e/o nel dopo esilio nel libro del Deuteronomio, soprattutto nei capitoli da 12 a 26 e nel 28: in detto libro, influenzato dal profetismo pre-esilico, risuonerà la primitiva legislazione di Giuda col basilare appello morale di tutelare i rapporti di fratellanza e uguaglianza tra i membri della società.

      All’opposto estremo, in un altro testo del Pentateuco che è espressione del gruppo elitario sacerdotale, il Levitico, (v. di questo saggio il capitolo II - LE BASILARI TRADIZIONI VETEROTESTAMENTARIE), sarà in primo piano l’esigenza della purezza, identificandosi l’etica con la purità rituale e legale; e sarà il codice levitico più che l’idea di giustizia deuteronomica a rimanere prioritario in Israele, ancora al tempo di Cristo.

      In conseguenza del ritrovamento, Giosia tenta una riforma monoteista, o più verosimilmente enoteista, ramazzando via dal suo regno negromanti e indovini e abbattendo idoli. Si tratta d’una gran riforma religiosa, culturale e politica che però non entra nel cuore d’Israele: quando il sovrano viene sconfitto e muore in una guerra contro re Neco II di Siria, un fatto considerato di malaugurio, il regno di Giuda torna al politeismo, fatto che i profeti Geremia ed Ezechiele bolleranno come causa della sua rovina, anche se non sarà in loro assente la speranza e annunceranno tempi nuovi e migliori.

      Così Geremia, essendo caduta Gerusalemme per opera dell’esercito babilonese, profetizza: “Ecco verranno giorni - dice il Signore - nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova. Non come l'alleanza che ho conclusa con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d'Egitto, una alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore. Parola del Signore. Questa sarà l'alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato” (Ger 31, 31-34); ed Ezechiele durante l’esilio a Babilonia scriverà quale voce di Dio: “Poi verserò sopra di voi acqua pura e diventerete puri. Io vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri atti di idolatria, e vi darò un cuore nuovo metterò in voi uno spirito nuovo, toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne, metterò in voi il mio Spirito” (Ez 36, 25-27).

      Mentre questi profeti annunciano la liberazione politica degli Ebrei dalla servitù in Babilonia, il Cristianesimo, andando oltre le loro umane intenzioni, vedrà nei loro testi ispirati gli annunci di Cristo Salvatore, portatore della nuova e definitiva alleanza; nel vangelo Gesù si riferisce a Geremia dopo aver benedetto il pane eucaristico: “[...] allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue che è sparso per voi” (Lc 22, 20).

      Il regno di Giuda cade sotto l’influsso di Babilonia e, in conseguenza del rifiuto nel 598 a.C. del re Jojaqim, figlio di Giosia, di rimanere sotto quest’influenza, l’anno successivo la capitale Gerusalemme è assediata dal re Nabucodonosor. Dopo pochi mesi, essendo morto Jojaqim, forse assassinato da alcuni dei suoi nella vana speranza che il sovrano invasore togliesse l’assedio, suo figlio Jojaqin (o Jeconia) s’arrende (2 Re 24,12) e, come riferisce il libro del profeta Ezechiele (Ez 17), viene deportato a Babilonia nel 597 (o 596) a.C. con la famiglia, i maggiori membri dell’aristocrazia, i guerrieri, gli eunuchi di corte nonché i fabbri e gli altri operai specializzati; il secondo libro dei Re (2 Re 24, 14-16) precisa che gli esiliati sono collocati in varie località, soprattutto a Tel Arsa, Tel Abib, Addam, Kerub, Kasifya e Immer, lungo le sponde del fiume Kebar, nei pressi dell’antica città, ormai in semi rovina, di Nippur..

      Nippur era stata eretta dai Sumeri nel sud della Mesopotamia e aveva avuto la massima espansione nel III millennio prima di Cristo grazie all'importanza del tempio in onore del dio Enlil. Era stata semiabbandonata verso l’anno 1000 e avrebbe avuto nuova fortuna solo secoli dopo l’esilio ebraico, nel III secolo a.C., sotto i Parti.

      Si tratta di quei luoghi della Mesopotamia meridionale su cui sorgeva la città di Ur dei Caldei dalla quale, secondo la tradizione e come sarebbe stato riportato per iscritto, nel V secolo, nel libro della Genesi, aveva preso le mosse il capostipite degli Ebrei Abramo, in conseguenza della chiamata di Dio (Gen 17, 1-14).

      Ezechiele (circa 628 – 570 a.C.), figlio di sacerdote e destinato a divenire tale, viene deportato nel corso di quest’ondata assieme al re Jojaqin. Poiché la carica sacerdotale si può esercitare solo dai trent’anni ed egli compirà quest’età essendo già in esilio, a differenza del padre non sarà mai sacerdote; diviene però profeta. Cerca d’infondere nei compagni la fede nella redenzione d’Israele, che storicamente sarebbe avvenuta una sessantina d’anni dopo, per decisione del re Ciro II di Persia. Il lungo libro d’Ezechiele è in tre parti. Nella prima sono denunciati i peccati d’Israele che portano al castigo di Dio con la caduta di Gerusalemme (capitoli 1-24). La seconda comprende l'annuncio della disgrazia in cui incorrono le nazioni idolatre (25-32). Infine, nell’ultima parte (33-48), Dio incarica Ezechiele di esortare gli Ebrei alla conversione dai peccati e di annunciare

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