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      «Montefiaschetto del sessantadue, prodotto nei Collicretosi: la migliore annata di uno dei migliori vini di Xantis. E sì! Si tratta alquanto bene il nostro Aaron!» continuò ignorando lo sguardo sgomento dei compagni di fuga.

      Come Fagorn fece per avvicinarglisi con la mano protesa verso il suo collo, questi vi pose un calice con un gesto repentino.

      «Certo, il gusto ne avrebbe giovato alquanto se avessimo avuto il tempo di farlo decantare un po'. Tuttavia, mio impetuoso compare, sappi che non avrai più occasione alcuna nella tua vita di estasiare i tuoi sensi come potresti fare oggi. Credimi: un solo sorso vale tutta la prigionia che abbiamo patito» proseguì con sguardo malizioso, mentre provvedeva a mescere il vino nel bicchiere tremolante nella morsa furiosa del mago.

      «Dai, Djeek! Non mostrarti alquanto imbarazzato, bevine anche tu e scoprirai cosa possono generare un sole caldo, delle verdeggianti colline e delle buone botti di rovere, coadiuvati dal lavoro accorto e amorevole dei contadini del Regno di Villaneia, laddove fervida è l'adorazione per il mio Dio. Vedi mio bizzarro amico, per un agricoltore devoto a Givedon produrre un buon vino è come officiare un rito sacro e goderne è come pregare.»

      Il goblin, senza farsi ulteriormente sollecitare, ignorò il bicchiere, afferrò la bottiglia, se la rovesciò direttamente nella gola e, dopo aver ruttato, sentenziò «Bah! Deludente! Eppure, il colore prometteva bene… pensavo sapesse di sangue, almeno un po', almeno... »

      «Oh, Givedon! Oh, Dio delle feste! Perché ci elargisci doni di cotale sublimità e permetti l'esistenza di esseri rozzi al punto di non goderne alquanto?» si lamentò il cavian.

      Nel frattempo, il gambo del calice di Fagorn non aveva più retto la presa, spezzandosi.

      «Umano! Almeno tu non deludermi alquanto! Ché io non so se il mio povero e sensibile cuore possa reggere un altro oltraggio di cotale brutalità.»

      «Per Tempèra!» imprecò l'altro. «L'alcol deve averti mandato in fumo il cervello! Guardatelo! Si atteggia a valletto di corte!» Rovesciò il contenuto del bicchiere sul pavimento, sfidando lo sguardo esterrefatto di Girolamo.

      «E poi,» continuò poggiando quel che restava del calice sul tavolo per non far rumore «dovresti sapere che noi fiammamastri siamo astemi: l'alcol potrebbe renderci instabili durante l'esercizio delle nostre facoltà... per non dire infiammabili.»

      «Da un dottore in materia come te, mi sarei aspettato alquanto che ti classificassi quale piromastro» obiettò il cavian che, seppur vistosamente turbato, non voleva dargli la soddisfazione di mostrarsi ferito dal gesto ingiurioso.

      «Me ne sbatto della saccenza degli accademici! Fiammamastro va benissimo!» Fagorn odiava essere corretto.

      Girolamo estrasse un frutto secco dal sacchetto, lo sbucciò con rapida esperienza usando i lunghi incisivi e prese a masticarlo con sguardo sognante. «Pistacchi dell'isola vulcanica di Cesilia, perfetti per accompagnare questo nettare che voi barbari non avete il dono di saper apprezzare. Siete fortunati che ora sono alquanto estasiato da questa inaspettata degustazione, altrimenti vi avrei infilzati entrambi con la mia lama che non conosce sconfitta!»

      Degustò l'ultimo sorso chiudendo gli occhi e inspirando profondamente. Poi, continuò: «Alquanto sublime! Forza, almeno i pistacchi potete mangiarli!»

      «Basta! Ti ricordo che stiamo nel bel mezzo di un'evasione!» urlò il mago al massimo che la sua voce afona gli consentisse.

      «Se c'è qualcuno che deve ben tenere in mente cosa stiamo facendo, quello sei tu mio “infiammabile” compare, visto che gridando alquanto, rischi di farci scoprire!» lo redarguì l'altro con sguardo ora divenuto severo. Porse un peperone alla piccola Khiki che accolse il dono con fischi oculati, ma entusiastici. «Almeno tu, mia cara, sai godere di quanto la natura ci offre.»

      Nel frattempo, Djeek si era lanciato sui pistacchi. Con l'istintiva rapidità acquisita in anni di lotte per assicurarsi le misere razioni di cibo che gli venivano lesinate nel vivaio, si svuotò in bocca quasi tutto il sacchetto con tutte le bucce e, masticando fragorosamente, commentò: «Nom male! Cofì proccanti mi ricordano le ossa. Anche fe qui niente sa di carne o di fangue, ammeno un po', ammeno... »

      «Ho capito. Sono, ormai, alquanto consapevole dei vostri limiti: procediamo dunque!» constatò Girolamo rassegnato. Si alzò e si mosse verso la scalinata che menava fuori dalla cantina, non prima, però, di aver infilato nella saccoccia un prezioso sacchetto di zafferano proveniente dal feudo de' L'Astore.

      Djeek lo seguì e imitandolo, si pose intorno al collo una fila di salsicce. Fagorn si incamminò scuotendo la testa e borbottando tra sé.

      Sbucarono in un'ampia cucina illuminata dalla sola luce delle stelle e delle lune: essa filtrava da un ampio lucernaio posto in alto su un lato della stanza.

      «È notte. Quindi gli umani dormono. Giusto?» osservò il goblin sperando di mostrare arguzia.

      «Non ne sono sicuro alquanto» rispose Girolamo sorridendo all'essenzialità del ragionamento del compagno. «Sai? Ci sono anche umani pagati per restare svegli e montare la guardia.»

      «Ma per fortuna, il nostro amico alchimista non ha ritenuto importante vigilare la cantina, almeno non dall'accesso sotterraneo» si inserì Fagorn.

      «Alquanto prevedibile! In effetti, non è che ci si possa aspettare un'intrusione attraverso un antico passaggio segreto abitato da simpatiche belve e sigillato da una grata fissata da staffe di ferro spesse come i polsi di un orco e posta a oltre dieci passi da terra. Pagare una guardia per vigilarlo sembrerebbe un inutile spreco di denaro o meglio, lo sarebbe se non esistesse Girolamo il mastro infiltratore» si gongolò il cavian atteggiandosi in un inchino degno di un attore da teatro dinanzi all'ovazione del pubblico.

      «Quando ti ci metti, sei odioso!» osservò il mago. «Comunque, visto che sei così svelto, vedi di trarci fuori di qui, possibilmente senza altre ridicole digressioni.»

      «Bravo! Vedo che ormai, sei alquanto consapevole delle mie abilità...» ribatté l'altro. «Ma dov'è Djeek?»

      Lo ritrovarono nel locale dispensa aggrappato con braccia e gambe a un mezzo maiale che penzolava da un gancio: quando li sentì arrivare sollevò la bocca del fiero pasto e, mostrando la faccia completamente imbrattata di sangue, li accolse con roboante rutto.

      Lo scassinatore, il cui udito era sottilissimo, udì qualcuno da qualche parte della magione allertarsi.

      «Cos'è stato? L'hai sentito anche tu?»

      «Sì, veniva dalle cucine! Vado a controllare. Voi restate a vigilare la nostra “ospite”!»

      Il cavian colpì con le nocche del pugno la testa del goblin. «Ci hai fatti scoprire! Stupido e alquanto ingordo zuccone!» Un istante dopo, aveva già cominciato a impartire ordini volti ad attuare il piano di fuga che aveva immediatamente escogitato.

      «Djeek, entra in quella credenza e non muoverti! Fagorn, il tuo compito è alquanto importante: nasconditi dietro il cumulo di legna d'ulivo vicino al forno. La vedi quella torcia sul muro della dispensa? Appena la guardia entrerà nella cucina fa in modo che si accenda. Al resto penserò io.»

      Passarono pochi istanti e la porta della cucina si aprì lentamente. «Chi va la! Guarda che ti abbiamo sentito, abbiamo già lanciato l'allerta» scandì un grosso individuo entrando guardingo. Come fece un passo, vide accendersi la luce nella stanza della dispensa e considerando che il fuggitivo fosse lì, si lanciò all'inseguimento. Girolamo si era nascosto dentro una grande cesta posta sopra un mobile al lato dell'accesso e, come il vigilante passò, gli balzo alle spalle e lo tramortì colpendolo in testa con un mattarello.

      «Ora potete uscire! Il tempo per fuggire è alquanto risicato» disse, mentre legava e imbavagliava l'uomo svenuto. «Dei! Quanto pesa! Aiutatemi a trascinarlo nella dispensa.»

      Fagorn fu subito lì e notò lo stemma ufficiale del regno di Faunna impresso sul corpetto che proteggeva il ventre prominente della guardia. Constatò: «L'alchimista deve aver ottenuto un grande potere, se può disporre di uomini della Corona pur non essendo neanche un nobile.»

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