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degli Champs-Elysees... Visto il sorprendente lusso di questo quartiere, mi chiedevo in che genere di posto aveva deciso di portarmi.

      Sono arrivata con dieci minuti di ritardo. Vidi Franck che aspettava paziente, in piedi proprio davanti all’uscita. Stava osservando svogliatamente i passanti. Al mio apparire, un sorriso gli illuminò il viso. Alzò un braccio, per farsi notare. Pensava che non l’avessi riconosciuto? Il mio sguardo si era istintivamente aggrappato a lui, nel mezzo della marea umana. Non era cambiato molto. I suoi capelli erano ancora tagliati corti. Cominciavano a diventare grigi sulle tempie, cosa che gli donava un certo fascino. La sua faccia mi trasmetteva una sensazione di fiducia. Mi sembrava più sereno, più posato. Era vestito in modo semplice ed elegante. Indossava derbys marrone, jeans scoloriti e una giacca grigia antracite in cui le mani avevano trovato rifugio nelle tasche laterali. Io, ero vestita in modo un po’ più sofisticato per la stagione. Indossavo un cappotto nero che arrivava a metà coscia, sotto indossavo un vestito invernale a maniche lunghe estremamente aderente. Le mie gambe erano coperte da un collant polare brunito e i miei piedi con scarpe col tacco alto.

      Mi sono avvicinata con un sorriso che andava da un orecchio all'altro. Mi guardò dalla testa ai piedi. Dopo il saluto di cortesia, disse la sua prima frase: «Sei sempre così elegante.» Poi ci siamo scambiati un bacio su ciascuna guancia. Mi trovava cambiata, con un aspetto ancora più femminile. Lo ringraziai; sapevo che aveva ragione, pensavo la stessa cosa. Gli afferrai il braccio destro e lo abbracciai forte e teneramente. Osservavo Franck. Fisicamente, anche lui mi piaceva di più. Non portava più il pizzetto. Questo aspetto più essenziale gli conferiva un ulteriore fascino, innegabile.

      Le sue braccia finalmente mi abbracciarono. La serata si annunciava meravigliosa.

      Gli chiesi se il ristorante si trovasse nelle vicinanze.

      «Non lontano, ma siamo un po’ in anticipo», rispose.

      Aveva programmato d’incontrarci con grande anticipo tenendo conto di un mio eventuale ritardo. L’avevo abituato ad aspettare ben più di dieci minuti. La prenotazione era fissata per le venti. Avevamo circa tre quarti d’ora prima di andare a cena. Potevo così godere della sua compagnia. Ero rannicchiata contro il suo braccio e mi aggrappai ad esso con fervore, come se avessi paura di perderlo. Nonostante il freddo invernale, mi sentivo bene, privilegiata. L’impressione che stavo per vivere di nuovo mi travolse.

      Da anni non avevo più provato questo sentimento di allegra euforia. Il piacere di stare vicino a quest’uomo e non a un altro. È questo che fa la differenza. Negli ultimi anni ho avuto molti compagni. Eppure quel bagliore nei miei occhi mancava, quella scintilla magica che vi rende felici e che vi regala uno sguardo nuovo per riscoprire il mondo.

      Saltavamo sopra le pozzanghere ghiacciate, aggirando i resti di mucchi di neve sciolta. Ridevamo a crepapelle. Non c’era più ombra di dubbio, incarnava una sorta di ideale di cui avevo bisogno nella vita. L’avevo ritrovato da soli cinque minuti e mi sembrava di essere resuscitata. Al suo fianco, mi trasformavo in una bambina che sorrideva scioccamente e si divertiva con tutto e niente contemporaneamente. Questo mondo adulto che cominciavo a non apprezzare troppo, potevo permettermi di abbandonarlo temporaneamente. Sarei cresciuta come una bambina o un’adulta frustrata? Quella sera era diventata un momento propizio per decisioni importanti, quelle che possono ridisegnare i confini del futuro. Lui, cosa voleva chiarire?

      Dopo una trentina di minuti, siamo tornati sul viale degli Champs-Elysées e abbiamo preso un vicolo a senso unico che ci ha portato in un ristorante asiatico circondato da due edifici moderni. L’ingresso era pulito e ci invitava ad attraversare la soglia passando sotto un piccolo paifang, una specie di arco tradizionale cinese, sostenuto a destra e a sinistra da due teste di drago. Un’illuminazione fatta di luci gialle e blu calamitava gli occhi. L’invito era chiaramente esposto: dietro questa porta, un cambio di scenario attendeva i visitatori. E che sorpresa! Vi era un enorme acquario piatto e smaltato, illuminato da ogni lato.

      Un tavolo era riservato per noi. Un cameriere ci ha accompagnato lì. Il ristorante sembrava particolarmente popolare. Non riuscivo a distinguere nessun posto libero.

      Avanzai timidamente sulle prime piastrelle di vetro, la faccia gioiosa. Mi sentivo come se stessi camminando sull’acqua. I pesci brillavano; riflettevano le differenti sorgenti di luci azzurrognole.

      Dopo essersi tolto il cappotto, vidi che Franck indossava un maglione di cachemire. Adoro la morbidezza di questa lana e lui sembrava essersene ricordato. Un giorno si era messo un maglione simile. Ricordo molto bene quel giorno, dato che mi aveva regalato un enorme mazzo di rose bianche e rosse. Il tempo era bello quel giorno, anche se piuttosto instabile. Un vento leggero soffiava, e Franck non voleva rischiare di prendere freddo. Anche quella sera, eravamo andati a mangiare in un ristorante, un giapponese. Quando mi ero rannicchiata fra le sue braccia, avevo potuto apprezzare la finezza del maglione. Era così soffice e caldo che non riuscivo a smettere di accarezzarlo! Sagomava perfettamente il suo torace.

      Questo maglione era simile a quello che indossava quel giorno e io glielo dissi. Un ampio sorriso gli si disegnò sul viso che irradiava bontà. Sono sicura che in quel momento dei ricordi gli erano tornati in mente.

      «Questo è ancora più caldo e sempre molto soffice», disse, come un invito a passare le mie mani sul suo petto.

      Non avevamo ancora consultato il menu che una cameriera venne a prendere la nostra ordinazione. Vedendoci ancora indecisi, si eclissò rapidamente verso un altro tavolo. Cinque minuti dopo, era già di ritorno. Questa giovane donna non sembrava felice. La tristezza era dipinta sul suo viso, non ci rivolse neppure un sorriso limitandosi ad annotare il nostro pasto sul suo taccuino, come un robot adibito a questo compito.

      La nostra prima portata arrivò rapidamente, accompagnata da una bottiglia di rosé. Mi piaceva il rumore dell’acqua che scorreva da alcune fontane vicine. Mascherava in modo discreto le conversazioni dei clienti. I tavoli non erano distanti e potevamo facilmente seguire i discorsi dei nostri vicini. Guardavo dei grossi pesci rossi passare sotto i miei piedi, e delle carpe. Un po’ più lontano, in una piscina, c’erano delle tartarughe. In mezzo a questa fauna acquatica, c’era un pesce che mi interessava particolarmente; era davanti a me! Che tipo di pesce può essere, Franck? Uno squalo? No, certamente no. Un delfino? Un piccolo pesce rosso? Un piranha? Nooo! Impossibile identificare una specie che corrispondesse ad esso, deve essere unico, una specie a parte, rara e preziosa. Franck mi stava osservando, delicatamente, sorridendo teneramente. Il mio sguardo completamente immerso nel suo. Mi fissò, con la testa tra le mani, i gomiti sul tavolo, come se fosse affascinato. Sbattei le palpebre più volte e gli chiesi di spiegare cosa gli stesse succedendo.

      «Non sei cambiata... Sei come una bambina.»

      Gli chiesi di spiegarmi il motivo per cui pensasse ciò.

      Mi rispose che mi trovava irrequieta: scrutavo da tutte le parti, contemplavo ogni pesce, mi comportavo come una bambina, a quanto pare.

      «Sei meravigliosa. Rimani sempre così!» aggiunse.

      Franck mi riempì un secondo bicchiere di vino e, come se nulla fosse, mi chiese qualcosa di molto indiscreto: «Con quanti uomini sei stata a letto dalla nostra separazione?»

      Una domanda che vi fulmina all’istante, inaspettata, malriposta, scioccante, persino irritante. Cosa rispondergli? Anche lui deve essere andato a letto con parecchie donne. Preferii abilmente rivolgergli la stessa domanda per evitare di trovarmi in una situazione imbarazzante.

      Franck mi raccontò brevemente di aver frequentato due donne prima di incontrare Sylwia. Non potevo fargli una lista delle mie precedenti relazioni. Avrebbe percepito una brutta immagine di me. Inoltre, queste relazioni, o meglio queste esperienze, non avevano alcuna importanza, tranne che per una o due.

      «Ascolta Frank, preferisco non risponderti. Non te la prendere a male, ma ho fatto tanti brutti incontri. Uomini che mi hanno fatto credere di amarmi. Il loro numero non ha molta importanza. Ciò che importa è ora, siamo noi, il presente, il ritrovarsi, non è vero?»

      Franck scosse la testa, come una molla che si dondola con lo sguardo perso nel vuoto, verso il centro del tavolo.

      «Pensi male di me adesso,

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