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L'olmo e l'edera. Barrili Anton Giulio
Читать онлайн.Название L'olmo e l'edera
Год выпуска 0
isbn
Автор произведения Barrili Anton Giulio
Жанр Зарубежная классика
Издательство Public Domain
Quel giardino era sempre stato argomento d'invidia pel nostro botanico. Ogni mattina, dopo aver curato i suoi fiori, egli andava a sedersi sul ciglio del muraglione, e contemplava quell'orto delle Esperidi. Misurava la vastità di quel terreno coltivato, così difficile a trovarsi nel centro della città, paragonandola coi pochi metri del suo giardino pensile, e stava guardando lunga pezza, con fanciullesca attenzione, i lavori di quel beato giardiniere che aveva spazio così largo da albergare tanta varietà di magnifiche piante della flora dei tropici.
Il luogo dove il nostro botanico andava a sedersi, era presso un olmo di smisurata altezza, appartenente al giardino inferiore, ed ultimo avanzo di un lungo viale che era stato disfatto, per cedere il campo alla prateria. Quel malinconico superstite di una rigogliosa dozzina di olmi, sacrificati alla moda britannica, saliva co' suoi rami più su del giardino pensile di Laurenti. Il muraglione, per tutto quel tratto, era coperto di edera, e i lettori già capiscono che cosa ne avvenne; che cioè l'edera, come una donna innamorata, aveva un bel giorno gettate le sue braccia al collo, vo' dire al tronco, dell'albero maestoso. Amplessi tenaci, che si ripeterono in breve su per i rami, producendo tra l'albero e il muro una sequela di pittoreschi festoni e una lieta figliolanza di neri corimbi. Marito e moglie, era una vaghezza a vederli. Non curante della proprietà altrui, smesso perfino quel ritegno naturale che vieta alla donna di fare il primo passo, l'edera s'era maritata, e Dio misericordioso aveva benedette le nozze. I rispettivi proprietarii, che non s'erano accorti degli amoreggiamenti, non si vollero riscaldare il sangue quando il pateracchio fu fatto, e la prescrizione passata. Poi, la consuetudine di vederli uniti (e vi so dir io che facevano assai miglior figura di certi matrimonii) fu tale, che allorquando il proprietario di sotto fu per atterrare i due filari di olmi del suo viale all'antica, non gli diè l'animo di far mettere la scure sull'ultimo albero, e di vedovare quella tenera, quantunque assai nodosa, consorte.
Per amore di verità debbo dirvi che egli non ci si piegò tutto ad un tratto, e stette anzi in forse per qualche dì. Ma finalmente vinse la pietà, e, più ancora che la pietà, il pensare che in fin de' conti quell'olmo era l'ultimo del viale, che era molto accosto al muraglione, e in quella che sarebbe rimasto come una rarità, non avrebbe fatto impedimento, nè sconcio.
IV
Colà dunque, sul ciglio del muraglione, dov'era anche un sedile di pietra addossato al murello, andava a sedersi Laurenti, nell'ora in cui il giardiniere di sotto girava attorno alle sue piante e le ripuliva dai pericolosi baci della rugiada, con larghi spruzzi d'acqua del suo anaffiatoio, innanzi la levata del sole.
Il vedersi ogni mattina, l'uno giù e l'altro su, aveva recato una certa dimestichezza tra Guido e il giardiniere. L'uno signore, l'altro bracciante, s'erano indovinati i medesimi affetti nelle medesime occupazioni; ma non avevano impreso ancora a discorrere insieme. Il giardiniere, quando giungeva col suo anaffiatoio e col suo sarchiello fino alle ultime aiuole, nel vicinato dell'olmo, alzava il naso verso il sommo del muraglione, donde gli sorrideva il viso biondo del giovine signore, rischiarato dai primi raggi del sole, e metteva la mano al cappello. Laurenti rispondeva al saluto con un grazioso cenno della mano o del capo, e la conversazione era finita.
Egli per tal modo non aveva mai chiesto di chi fosse la villa; il caso non l'aveva mai condotto a udire il nome del padrone, e, non affacciandosi colà che di buon mattino, mai berretta di velluto ricamata d'oro, mai veste serica tra i meandri fioriti, mai corsa chiassosa di allegri fanciulli sul prato, aveva rivelato a Guido Laurenti gli abitatori di quella palazzina gialla, il cui tetto rilevato a quattro acque sbucava, là in fondo, da una selva di magnolie e di allori.
Ma un giorno (ripiglio finalmente il mio ma e il mio giorno) Laurenti ruppe la consuetudine, e andò nel pomeriggio a sedersi presso la sua edera e presso l'olmo dei vicini.
Mai giorno di primavera era stato così serenamente bello; mai raggio più tiepido di sole aveva svolte per l'aria, in sottilissime vaporazioni, le fragranze dei fiori. Bei giorni, momenti beati, nei quali l'uomo, penetrato da quei raggi di sole, rallegrato da quelle fragranze, si sente vivere con voluttà, dimenticando un tratto la grave molestia dell'esser nato!
Guido aveva un libro tra mani, l'Eneide di Virgilio; un libro di scuola, che aveva tradotto da capo a fondo sulle panche di prima Umanità, e che però non avea più da leggere per amor di novità, ma che amava pur di leggicchiare a spizzico, nelle ore di ricreazione. E già, sostenuta insieme con Enea quella brutta burrasca suscitata dal consiglio di Giunone, egli aveva dato fondo nella rada di Tunisi, o poco presso, e andava a caccia su per la costa, prevedendo l'apparizione della cacciatrice divina che lo avrebbe fatto andare bel bello fino alle porte di Cartagine.
Senonchè, per effetto di distrazione, egli s'era fermato a mezza strada. Faceva quattro esametri di viaggio, e poi si baloccava a veder volare una mosca. I balsamici effluvii, il tepore dell'aria, il cheto remeggio di una nuvoletta rosea nelle diafane lontananze dell'orizzonte, quei raggi obbliqui che andavano a rifrangersi sui vetri delle finestre e sulle banderuole dei tetti circostanti, lo distoglievano ad ogni tratto dal primo libro dell'Eneide. Si rimetteva a leggere alcuno di quelli esametri divinamente armoniosi, scandendone a voce sommessa i melodici numeri (i latinisti che mi leggono capiranno benissimo questa voluttà delle voluttà), ma al primo rompersi del periodo in un emistichio del verso seguente, egli ricadeva subito nella sua contemplazione.
Gira, rigira, di fermata in fermata, gli occhi di Laurenti erano andati a posarsi su d'un bel pino domestico, che sorgeva nella villa sottostante, come una rarità di vegetazione; dio Termino piantato sull'estremo lembo della prateria, accanto al sentiero maestro che andava a nascondere i suoi meandri tra le magnolie del giardino.
Quel pino lo condusse a pensare alla casa paterna e ai felici giorni della prima adolescenza, allorquando suo padre lo faceva alzare per tempissimo per averlo compagno alla caccia, ed egli, sebbene non gli andasse a' versi quella maniera di passatempo, era lieto di correre su pei monti insieme con suo padre, di aiutare il rustico servitore a portar le gabbie degli uccelli di richiamo, le verghette di ferro e la pania da distendervi sopra.
Colà, sul ciglio di una costiera piantata di piccole roveri, un grosso pino segnava il cominciamento di una nuova regione vegetale. Di là passavano a stormi i pellegrini dell'aria, i fringuelli, i cardellini, le cingallegre, i fanelli; e là, disposta ogni cosa per bene, le verghette impaniate tra i rami dell'albero, i richiami tra i cespugli, ambo ascosi in un cappannuccio di frasche, attendevano il passaggio degli spensierati, che, attratti dal canto traditore dei compagni prigionieri, venivano a dar ne' panioni, donde non c'erano santi che potessero cavarli.
Il santo era qualche volta Guido Laurenti, cioè quando il padre suo si partiva di là, lasciandolo solo nella tesa. L'adolescente non pensava più agli uccelli. Accoccolato nel suo nascondiglio, col viso appuntellato sulle palme, e gli occhi nel vano dell'apertura, stava fantasticando una vaporosa forma di donna; vedeva la castellana, o la fata dei luoghi, scendere dalle rovine di un antico maniero e sedersi ai piedi di quel pino, e sè medesimo, nobilmente vestito di velluto, con le calze divisate di bianco e di rosso, il giustacore serrato ai fianchi, una berretta piumata capricciosamente posta a sghembo sui biondi capegli, stare a' piedi di quella gran dama, baciarle per tutti i versi quella mano bianca ch'ella gli aveva abbandonata tra le sue, e canticchiarle la sua prima ballata d'amore.
Il dar d'uno sciame di lucherini nell'albero, lo sbatter dell'ali che sempre più si invescavano sulle verghette fallaci, il pigolare doloroso dei poveri pennuti, lo risvegliavano dalla sua estasi. Sbucava sollecito dal suo capannuccio,