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petals of a jessamine

      No boy's hand could unfurl! »

      Says May: « I am a girl ».

      Says May: « I am a boy!

      May is short for.... »

      – « For what »? – pensa Nancy, rabbuiandosi, impaziente colla parola ribelle che non viene quando si vuole. Poi salterellando attraverso l'erba:

      Says May: « I am a boy!

      May is short for Marmaduke,

      As all the world should know!

      I taught the birds their trills and shakes,

      No girl could whistle so! »

      So May the girl, and May the boy, they quarrel all day long

      While the flowers stop their budding, and the birds forget their song,

      And God says: « Now to punish you, I'll hang out the new moon

      And take and bundle both of you into the month of June ».

      – Veramente, – riflettè Nancy, – « May » non è affatto il vezzeggiativo di « Marmaduke ». Ma come fare? Ci deve essere per la poesia un Mago che tiene tutti i pensieri chiusi in una stanza buia e tutti i vestiti dei pensieri – che sono poi le parole! – chiuse in un'altra. E la difficoltà sta nel trovare i vestiti giusti per i pensieri… Qualche volta esce dalla stanza buia un pensiero bello, alto, chiaro come un arcangelo! e si va a cercargli un vestito, e non si trovano che degli straccetti che non gli stanno. E qualche volta si ha un pensiero storto, insignificante, un rospiciattolo di pensiero! e gli si trova una gran veste a strascico d'argento. Quando sarò un grande poeta, – sospirò Nancy, – spero di non condurre attorno dei rospi di pensiero vestiti d'argento…

      Nella sua seggiola al sole Edith aprì gli occhi.

      – Nancy! dov'è Nancy?

      Valeria balzò in piedi.

      – Vuoi qualche cosa, Edith cara?

      – No, niente; vorrei Nancy! mi piace tanto vederla. E sono proprio troppo pigra per correrle dietro.

      – La chiamerò io, – disse Valeria.

      A quella risposta inaspettata, la signora Avory alzò gli occhi sorpresi e grati, e sorrise a sua nuora.

      Valeria trovò Nancy che declamava dei versi agli alberi del frutteto. S'inginocchiò sull'erba ad allacciarle la scarpetta sciolta, e disse senza alzare il viso:

      – Nancy vai da Edith. Ma… senti… cara, non devi baciarla.

      – Oh! è stata cattiva?

      – No, gioia, no. – Valeria ancora in ginocchio cinse col braccio la piccina. – La povera Edith è malata, – disse lentamente.

      – Allora la bacierò il doppio, – disse Nancy facendosi rossa.

      – Bimba mia! bimba mia! cerca di capire! – scongiurò Valeria. – Edith è ammalata; come lo era il tuo papà… povero caro papà! – che è morto. Ed è lo stesso male che avevano le sue sorelle – e sono morte. E se tu la baci, oh, anima mia, adorata mia! potresti ammalarti anche tu, e morire. Pensa, pensa che ogni volta che tu baci Edith, è come se tu prendessi una spada per trafiggere il cuore di tua mamma.

      Vi fu una lunga pausa.

      – Ma se rifiuto di baciarla, non sarà una spada che trafigge il cuore a lei?

      – Forse, – sospirò Valeria.

      – E se una spada trafigge il cuore di Edith, non sarà trafitto anche il cuore della nonna?

      – Sì, – disse Valeria.

      Un'altra lunga pausa. Poi Nancy disse:

      – Dunque c'è una spada per ogni cuore… credo che potrei fare una poesia su questo pensiero…

      I suoi larghi occhi non vedevano più nulla, nè sua madre, nè Edith ammalata; vedevano un gigantesco cuore, il cuore del mondo, trafitto e sanguinante: e quel sangue lo sentiva già fluire e scorrere in versi, e il ritmo le pulsava nella mente…

      – Santa Vergine, assisteteci, – sospirò Valeria. – Vai! vai da Edith, che ti aspetta.

      E Nancy andò: e baciò Edith, perchè aveva già scordato tutto ciò che la sua mamma le aveva detto.

      Poco dopo comparve lo zio Giacomo, che veniva rapidamente a loro con una lettera in mano. Era una lettera di Nino; e l'ira dello zio Giacomo non aveva limiti. Nino era un mostro, era uno scemo, era un cretino, era un imbecille e figlio di imbecille!… E Valeria era una stupida e insensata creatura, che avrebbe potuto trattenere Nino e tenersi Nino e sposarsi Nino perchè Nino era un angelo e nessun marito avrebbe potuto essere più angelo di lui; e ora invece quel triplice estratto di insensata imbecillità, se n'era scappato con una attrice – una perfida, linguacciuta vipera senile, che lo aveva seguito in Inghilterra e perseguitato e instupidito!… E tutto era colpa di Valeria e di Fräulein! Sì, di Fräulein! Di quell'assurda ed esaltata persona tedesca che aveva fatto di lui, zio Giacomo, un idiota e un buono a nulla, coll'ululargli nelle orecchie, da mattina a sera, i pazzeschi canti dell'Inferno di Dante.

      Fräulein pianse, e Valeria pianse; ma ciò non servì affatto allo zio Giacomo.

      E neppure fece tornare Nino da San Remo, dove passeggiava sotto le palme con la Villari. E la Villari sospirava languida e beata, sciolta nell'angoscia deliziante della sua « cotta » novella.

      X

      Nino, prima di lasciar Londra, si era fatto prestare dei denari da Fioretti, che se li era fatti prestare dalla sua « signora dell'aristocrazia ». Poi Nino aveva scritto all'impresario della Villari rescindendo tutti i suoi contratti. Infine aveva scritto a suo padre dicendogli che sentiva d'essere il trastullo del destino, e a Valeria dicendole che sentiva d'essere l'ultimo degli uomini. Quindi era partito per la Riviera con Nunziata; e Nunziata era docile e leggiadra, drappeggiata in vesti meravigliose, e adorna di grandi cappelli inverosimili.

      Furono felici a San Remo, ma essendo già la fine di maggio faceva caldo, e Nino suggerì che si andasse a passare il giugno in Isvizzera. Andarono a Lucerna e salirono a Bürgenstock.

      Il Grand Hôtel era già affollato, per lo più di famiglie inglesi; e la elegante coppia italiana fu molto osservata e discussa. Al « déjeuner » si trovarono vicini di tavola ad una famiglia americana – padre e madre, con tre figlie, singolarmente belle e maleducate.

      Le tre ragazze guardavano i nuovi arrivati, poi bisbigliavano tra loro e soffocavano le risate nel fazzoletto, scotendo le esili spalle e le teste inanellate. La sera apparvero tutte e tre in seriche vesti color di rosa, strette nella vita, e molto scollate, perfino la minore che non mostrava più di quattordici anni. Portarono a tavola tre orsacchiotti di pelo giallo, che baciavano ogni tanto, chiamandoli « Darling Teddy-bears! » Erano rumorose e irrequiete e volgari, e attiravano l'attenzione di tutti. Ma la loro bellezza era indescrivibile. Le due maggiori portavano i capelli in una massa di riccioli rosso-dorati raccolti sulla sommità del capo con un immenso nodo nero; mentre la minore aveva la fluente capigliatura disciolta e divisa nel mezzo, sì che le cadeva, liscia e lucida come acqua dorata, fino alla cintura.

      Nino alla sua tavola si arricciava i baffi, dimenticando di offrire le vivande a Nunziata; e Nunziata, senza smettere di discorrere e di sorridere, amabilissima, si mordeva le labbra scarlatte e faceva girare e rigirare gli anelli sulle dita delicate.

      D'un tratto disse – come per caso – che proprio oggi aveva ricevuto una lettera dal conte Melindo di Tarbìa. Melindo di Tarbìa? Subito Nino si rabbuiò. Il nome del ricchissimo siciliano lo urtava sempre, ed anche stavolta s'imbronciò e fece a Nunziata delle osservazioni ingiuste ed amare. Ella lo ascoltò dolce e paziente, mordendosi le labbra scarlatte, e facendo girare e rigirare gli anelli sulle dita delicate; quindi disse che Tarbìa intendeva di venire a Bürgenstock, verso la fine della settimana…

      Nino respinse il piatto, incrociò le braccia e disse che partirebbe

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