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conferito il titolo di Re e assegnate le province al di là dell'Ellesponto; ma fe' un saggio cambio di questa difficile e lontana conquista, col regno di Tessalonica o di Macedonia, distante dodici giornate dalla capitale, e dagli Stati del Re d'Ungheria, cognato del Marchese, e vicino quanto bastava, perchè questi all'uopo ne potesse sperare soccorsi. Il suo passaggio per le province che dovè traversare, fu in mezzo a continue acclamazioni o sincere, o simulate de' Greci; e l'antica e vera Grecia ricevette di nuovo un conquistatore latino121, che con aria d'indifferenza questa classica terra calcò. Degnando appena d'un guardo le bellezze della valle di Tempe, pose molta cautela addentrandosi nelle gole delle Termopile, occupò Tebe, Atene ed Argo, città al medesimo sconosciute, e prese d'assalto Corinto e Napoli122, che aveano tentato resistergli. Or la sorte, ora la scelta e successivi baratti, regolarono i premj degli altri pellegrini. Accecati dal giubilo del riportato trionfo, usarono immoderatamente del lor potere, sulla vita e le ricchezze d'un grande numero d'uomini. Dopo una recapitolazione esatta di tutte le province da ripartirsi, pesarono con avara bilancia le rendite di ciascuna di esse, la situazione più o men vantaggiosa, i modi più o meno abbondanti che queste offerivano, per alimentare uomini e cavalli sul loro suolo. Fin agli antichi smembramenti del Romano Impero, le pretensioni dei vincitori si estesero; nelle immaginarie lor divisioni, il Nilo e l'Eufrate si trovavan compresi, e giubilava il guerriero che nella sua parte di premio, la reggia del Sultano d'Iconium annoverava123. Non m'arresterò in questo luogo ad enumerare i nuovi fregi genealogici, e i possedimenti di ciascun cavaliere; mi basti il dire, che i Conti di Blois e di S. Paolo, il ducato di Nicea e la signoria di Demotica ottennero124; i principali feudi alle cariche di Contestabile, di Ciamberlano, di Coppiere e di Mastro di casa, andarono uniti. Il nostro Storico, Goffredo di Villehardouin, acquistò un ricco dominio sulle rive dell'Ebro, accoppiando gli uffizj di Maresciallo di Sciampagna e di Romania. Ciascun Barone a capo de' suoi cavalieri ed arcieri, si trasferì a prender possesso della sua parte di premio; nè grande resistenza la maggior parte di loro trovarono sulle prime: ma da siffatta dispersione derivò, che le generali forze scemarono; e ognuno s'immagina quanti litigi dovettero sorgere in tale stato di cose, e fra uomini che riconoscevano per primitiva legge il successo dell'armi. Tre mesi dopo la conquista di Costantinopoli, già l'Imperatore e il Re di Tessalonica, marciavano un contra l'altro; però l'autorità del Doge, i consigli del Maresciallo, la coraggiosa fermezza de' Pari a pacificarli pervennero125.

      A. D. 1204 ec.

      Due fuggiaschi che avevano occupato il trono di Costantinopoli, assumeano tuttavia il titolo di Imperadori, e que' che furono lor sudditi poteano cedere ad un moto di compassione verso l'antico Alessio, o ardere del desiderio di vendicarsi sopra l'ambizioso Murzuflo. Vincoli di famiglia, comune interesse, eguali delitti, e il merito di aver tolta la vita ai nemici del suo rivale, persuasero il secondo usurpatore a cercare di collegarsi col primo. Murzuflo si trasferì nel campo di Alessio, ove carezzevolmente e con onori fu ricevuto: ma gli scellerati, incapaci di sentire amicizia, hanno torto se si fidano in coloro che ad essi somigliano. Dopo averlo fatto arrestare in un bagno e privare degli occhi, Alessio si guadagnò le truppe di costui, se ne appropiò i tesori; poi fattolo scacciare dal campo, Murzuflo errò, qua e là, oggetto di scherno e d'orrore a coloro che, più di Alessio, aveano diritto di odiare e di punir l'assassino dell'imperatore Isacco, e del figliuolo d'Isacco. Straziato dalla tema e dai rimorsi, tentava rifuggirsi in Asia, allorchè i Latini di Costantinopoli lo sorpresero, ed instituito un pubblico giudizio, ad ignominiosa morte il dannarono. I giudici dopo avere esitato, nella scelta del supplizio, tra la mannaia, la ruota, e il palo, fecero collocare Murzuflo126 sulla cima di una colonna di marmo bianco, alta cenquarantasette piedi, e detta la Colonna di Teodosio (A. D. 1204-1222)127. Dall'alto di questa, fu precipitato capo volto a basso, e il cranio ne rimase infranto alla presenza di numerosissimo popolo assembrato nel Foro del Tauro che vedea con maraviglia in questo singolare spettacolo la spiegazione e il compimento di un'antica profezia128. Men tragico fu il destino di Alessio: il Marchese lo inviò in dono al Re de' Romani in Italia. Condannato a perpetua prigionia, l'usurpatore venne trasferito da una Fortezza dell'Alpi in un monastero dell'Asia, senza guadagnare molto nel cambio. Ma prima della caduta di Costantinopoli Alessio avea conceduta la sua figlia in isposa ad un giovane eroe che riedificò e tenne il trono de' principi greci129. Teodoro Lascaris, segnalato erasi per valore nei due assedj di Bisanzo. Dopo la fuga di Murzuflo, ed essendo già i Latini padroni della città, si offerse per Imperatore ai soldati ed al popolo, offerta che in tal momento poteva essere un atto di virtù, e certamente fu grande prova in lui di coraggio. Se nello stesso tempo gli fosse stato lecito infondere un'anima a quelle vili turbe, avrebbero calpestato sotto i lor piedi gli stranieri che lor sovrastavano; ma codardi i Greci nella disperazione, il soccorso di lui ricusarono, onde Teodoro fu costretto ripararsi nella Natolia, per respirare ivi un'aura d'independenza, libero dal vedere e dal paventare i conquistatori della sua patria. Sotto il titolo di despota, poscia d'Imperatore, unì a' suoi stendardi il piccolo numero d'uomini coraggiosi che il disprezzo della vita facea tuttavia forti contro la schiavitù; e riguardando come legittimo ogni atto che alla salvezza pubblica potesse giovare, non ebbe scrupolo d'invocare l'alleanza del Sultano de' Turchi. Posta in Nicea Teodoro la sua residenza, Prusa, Filadelfia, Smirne ed Efeso apersero le porte al loro liberatore. Le vittorie, e persin le sconfitte in forza e rinomanza lo accrebbero, e successore di Costantino, ne serbò quella parte d'Impero, che dal Meandro ai sobborghi di Nicomedia e in appresso a quelli di Costantinopoli si estendea. Anche l'erede legittimo de' Comneni, figlio del virtuoso Manuele, e pronipote del feroce Andronico, possedeva in lontana provincia una debole parte di questo impero: nomavasi Alessio, e il soprannome datogli di Grande probabilmente più alla sua statura che alle sue imprese si riferiva. I principi della dinastia, degli Angeli, senza aombrarsi della sua origine, lo aveano nominato governatore o duca di Trebisonda130: la sua nascita gli ispirava ambizione, la caduta dell'Impero gli fruttò independenza. Senza cambiare di titolo, regnò tranquillamente sulla costa del Mar Nero da Sinope sino al Fasi. Il figlio che a lui succedè, e del quale ignorasi il nome, è conosciuto soltanto come vassallo del Sultano che egli seguiva con dugento lancie alla guerra; ma il titolo di Duca di Trebisonda in questi due Comneni durò, e unicamente Alessio, pronipote del primo d'essi, spinto da orgoglio e da gelosia assunse il titolo d'Imperatore. Anche nella parte occidentale dell'Impero, Michele, bastardo della dinastia degli Angeli, e prima delle sconfitte, riguardato, or come ostaggio, or come soldato, or come ribelle, salvò dal naufragio un terzo frammento di greca dominazione. Fuggito dal campo di Bonifazio, ottenne in isposa la figlia del governator di Durazzo, e per tali nozze il possedimento di questa importante città: preso il titolo di despota, fondò un principato possente nell'Epiro, nell'Etolia, nella Tessaglia, sempre famosa per gli uomini bellicosi che la popolarono. Que' Greci che offersero servigio ai Latini, divenuti novelli loro sovrani, si videro disprezzati da questi superbi principi, ed esclusi131 da tutti gli onori civili e militari, come uomini sol nati per obbedire e tremare. Offesi questi d'un sì aspro trattamento, si accinsero a provare cogli effetti di un'operosa inimicizia, quanto l'amicizia loro poteva essere utile a chi li vilipese. Finalmente l'avversità aveva loro inspirato coraggio: onde tutti i cittadini chiari per sapere o virtù, per nascita o valore, abbandonarono Costantinopoli, riparandosi ai governi independenti di Trebisonda, d'Epiro o di Nicea. Non si cita che un solo patrizio che abbia meritato l'encomio, se luogo ad encomio pur v'era, di affezione e fedeltà verso i Franchi. I popoli delle città e delle campagne si sarebbero forse accostumati ad una moderata e regolar servitù. Forse alcuni anni di pace e d'industria avrebbero fatto dimenticare ad essi la guerra e i suoi passeggieri disastri. Ma la tirannide del sistema feudale allontanando le soavità della pace, distruggea il frutto delle fatiche de' sudditi; e comunque un'amministrazione semplice e savie leggi, somministrassero agl'Imperadori latini di Costantinopoli, se avessero avuto l'accorgimento di ben prevalersene, ogni agevolezza a proteggere i proprj sudditi; in questo momento stava sul trono un principe titolare, Capo e spesse volte schiavo de' suoi

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<p>121</p>

Il Villehardouin (n. 159, 160, 173-177) e Niceta (p. 387-394) raccontano la spedizione del Marchese Bonifazio in Grecia. Il secondo ha potuto essere informato di queste particolarità dal suo fratello Michele, arcivescovo di Atene, che ei ne dipinge siccome un eloquente oratore, un uomo di Stato abilissimo, e soprattutto siccome un santo. Dai manoscritti di Niceta, che trovansi nella biblioteca bodleana, avrebbero potuto ritrarsi l'elogio che egli fa di Atene, e la descrizione di Tempe (Fabricius, Bibl. graec., t. VI, p. 405), cose che sarebbero state degne delle indagini del sig. Harris.

<p>122</p>

Napoli di Romania, o Nauplia, l'antico porto di Argo è tuttavia una Fortezza assai rilevante; giace sopra una penisola circondata di scogli, e gode di un ottimo porto. V. i viaggi di Chandler nella Grecia, p. 227.

<p>123</p>

Ho mitigata l'espressione di Niceta che si studia di ampliare colle sue tinte la presunzione de' Franchi (V. de rebus post. C. P. expugnatam 375-384).

<p>124</p>

Questa città, bagnata dall'Ebro, distante sei miglia da Andrinopoli, a motivo del suo doppio muro ottenne da' Greci il nome di Didymoteicos, cambiato a poco a poco in quelli di Dimot o Demotica. Ho preferito il nome moderno di Demotica. Fu l'ultima città abitata da Carlo XII soggiornando in Turchia.

<p>125</p>

Il Villehardouin con tuono di franchezza e di libertà ne dà conto de' litigi di questi due Principi (n. 146-158). Lo Storico greco (p. 387) non defrauda di lodi il merito e la fama del Maresciallo μεγα παρα Λατινον δυναμενου στρατευμσσι, molto potente fra gli eserciti latini: in ciò dissimile da certi moderni eroi, le imprese de' quali, sol pe' loro comentarj son conosciute.

<p>126</p>

V. la morte di Murzuflo in Niceta (pag. 393), Villehardouin (n. 141-145-163) e Gunther (cap 20, 21). Nè il Maresciallo, nè il frate mostrano la menoma compassione sulla sorte di questo usurpatore o ribelle, benchè condannato ad un supplizio di un genere più nuovo ancora de' suoi delitti.

<p>127</p>

La colonna d'Arcadio, che ne' bassi rilievi raffigura la vittoria di lui, o quella del padre del medesimo Teodosio, vedesi tuttavia a Costantinopoli. Viene descritta, colle sue proporzioni, nelle opere del Gillio (Topograph. IV, 7), dal Banduri (l. I, antiquit. C. P. p. 507 ec.), e dal Tournefort (Viaggio in Levante t. II, lett. 12, p. 231).

<p>128</p>

La ridicola novella del Gunther intorno la columna fatidica non merita che le si porga attenzione. Ella è però straordinaria cosa, che cinquant'anni prima della conquista de' Latini, il poeta Tzetze (Chiliad., IX, 277) abbia raccontato il sogno di una matrona, la quale avea veduto un esercito nel Foro, e un uom seduto sulla cima della colonna che battea le mani una contro l'altra e metteva un forte grido.

<p>129</p>

Il Ducange (Fam. byzant.) ha esaminate, e con accuratezza descritte le dinastie di Nicea, di Trebisonda e d'Epiro, delle quali Niceta vide i primordj, senza però concepirne grandi speranze.

<p>130</p>

Eccetto alcuni fatti contenuti in Pachimero e Niceforo Gregoras, che noi citeremo in appresso, gli Storici bisantini, non si degnano far parola dell'impero di Trebisonda, o del principato de' Lazi. Nè manco i Latini ne parlano, se non se ne' romanzi de' secoli XIV, XV. Nondimeno l'instancabile Ducange ha scoperto a tale proposito (Fam. byzant. p. 192) due passi autentici negli scritti di Vincenzo di Beauvais (l. XXXI, c. 144) e del protonotario Ogier. (V. Wadding, A. D. 1279 n. 4).

<p>131</p>

Niceta fa un ritratto de' Francesi-Latini, ove scorgesi per ogni dove l'impronta dell'astio e del pregiudizio ουδεν των αλλων εθνων εις Αρεος εργα παρασυμβεβλησθαι ηνειχοντο αλλ’ουδε τις των χαριτων η των μουσων παρα τοις βαρβαροις τουτοις επεξενιζετο, και παρα τουτο οιμαι την φυσιν ησαν ανημεροι, και τον χολον ειχον του λογου προτρεχοντα. Non tolleravano che alcun'altra nazione concorresse con essi alle imprese marziali; ma niuna della Grazie o delle Muse aveva ospizio da quei Barbari, ed inoltre erano, io credo, crudeli per natura, e aveano una bile che preveniva il discorso.