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di non udire.)

Ugo

      No? Grazie! (Rimette la sigaretta in bocca e, fumando, si alza. Gira per la stanza e parla con sè stesso mostrando d'inebriarsi.) Professoresse americane! Oh… me le figuro queste gaiette professoresse in vacanza! Una frotta di vezzose gazzelle dalla piccola testa eretta, dal piedino irrequieto, dalle caviglie sottili e con negli occhi tutta la schiettezza di una femminilità impavida (sottolineando) che sfida gli uomini piuttosto che sfuggirli o guardarli in cagnesco! (Mutando e fermandosi avanti a Elena) Disturbo con la mia voce?

Elena

      (china esageratamente il capo, con l'intenzione di sembrare attentissima al suo solitario.)

Ugo

      No? Grazie! (Breve pausa.) (Poi, gironzolando di nuovo per la stanza) D'altronde, è così. Non so pensare senza parlare. Ho l'istinto del monologo. Come la signora, evidentemente, ha quello del solitario. Due istinti che si somigliano, del resto. Io, talvolta, per frenare il monologo che scappa fuori, canticchio, zufolo… suono il pianoforte. Ma, pensare in silenzio?.. Impossibile! (A Elena:) Mi trova bizzarro? Mi trova buffo?

Elena

      (Nessun segno di risposta!)

Ugo

      No? Grazie! (Gironzola ancora, come assorto, canticchiando appena col fiato la «Canzone del Premio» dei «Maestri Cantori». Poi, s'interrompe, vigilando i moti di lei:) «Das Preislied»!.. La «Canzone del Premio»!.. Per me, la gemma più pura… (sogguarda Elena)… del «Sigfrido»!

Elena

      (correggendolo sùbito in un impulso quasi incosciente) Dei «Maestri Cantori»!

Ugo

      (con prontezza, dissimulando che è felice di potere finalmente appiccar discorso) Scusi tanto, signora! La «Canzone del Premio» è nel «Sigfrido».

Elena

      (alza le spalle in atto di noncuranza, riunisce le carte, le rimescola e comincia un altro solitario.)

Ugo

      No, sa! Io non mi sbaglio. E stupisco che si sbagli lei, che conosce Wagner a memoria. Io non sono che un musicista da strapazzo; ma questo è un caso speciale perchè si tratta di note associate ai ricordi più graditi del mio soggiorno in America. E appunto per ciò mi tornavano dianzi all'orecchio. L'annunzio delle vispe professoresse mi ha fatto ripensare all'immancabile successo di quelle note. Se in una qualunque sala, in un qualunque hall di trattenimento, io toccavo la tastiera di un pianoforte accennando con dolcezza italiana qualche battuta della «Canzone del Premio», mi vedevo a poco a poco circondato di americanine, le quali restavano ad ascoltarmi estasiate, immobili, quasi fossero sospese (imitandone l'atteggiamento) in un fluido magnetico. La consueta vivezza scintillante dei loro audaci corpicini, in quella eccezionale immobilità estatica, diventava come un fulgore fisso di luce elettrica intensificata nelle retine delle lampade Wallfram. Parevano tanti campioni d'un incantevole tipo di donna costruito nel laboratorio di Edison. Una delizia! Una meraviglia!

Elena

      (questa volta non ha saputo fingere di non udire. A un certo punto, ha interrotto il solitario e si è messa ad ascoltare, battendo una carta sul margine del tavolino.)

Ugo

      È persuasa, ora, che non posso sbagliarmi?

Elena

      (con un sorriso sdegnosetto e canzonatorio – disordinando le carte come per rinunziare al solitario) Ma lasci andare!

Ugo

      Vuole onorarmi d'una scommessa?

Elena

      (alzandosi severa) Non faccio scommesse con persone che non mi siano state presentate. (Passa dal tavolino allo scrittoio, e, in piedi, cava dalla cartella dei foglietti.)

Ugo

      Dio buono!.. Non capisco da chi dovrei farmi presentare!

Elena

      Da qualcuno che la conosca bene.

Ugo

      L'unico qualcuno che mi conosca bene sono io stesso. E se ella non può transigere sul convenzionalismo della presentazione, la servo immantinente.

Elena

      (ascoltandolo e guardandolo, resta in piedi, con le mani indietro, appoggiate allo scrittoio.)

Ugo

      (va fino in fondo senza interrompersi) Ho il piacere di presentarle in me… il signor Ugo Ginetti, napoletano di nascita e cosmopolita di elezione, uomo degnissimo di stima, con spiccate attitudini di avventuriero e analoga elasticità di temperamento. Lei dice che la qualifica di avventuriero fa a calci con la stimabilità? S'inganna, perchè io non ho parlato che di attitudini. Si possono avere le attitudini del ladro senza essere un ladro. E, anzi, fra tante persone che non rubano, le sole che abbiano incontestabilmente diritto all'ammirazione ed alla stima sono quelle che, volendo, saprebbero rubare. Capirà che tutte quelle altre, che non saprebbero rubare, non hanno nessun merito a non essere dei ladri. Io sono estremamente stimabile perchè, sfornito, ab origine, di mezzi finanziari, ed esposto a tutte le tentazioni del globe-trotter, non ho profittato con larghezza delle mie attitudini di avventuriero. Le ho soltanto utilizzate nei confini dell'onestà. Avrei saputo fare, al tavolo di gioco, dei… giochi di prestigio; avrei saputo divertire un miliardario per scroccargli i quattrini e la moglie; avrei saputo documentare un falso titolo di marchese per sposarmi… i titoli di rendita di una qualche stanca sfruttatrice di vapori transoceanici o di una qualche stagionata ereditiera di miniere carbonifere, e, invece, mi son limitato a imbrogliare il mondo facendo in Egitto il professore di letteratura italiana senza aver mai letto un verso di Dante, in Grecia il maestro di scherma senza aver mai conosciuta da vicino una sciabola, a New-York e a Filadelfia il pianista… suonando a orecchio. Ho imbrogliato il mondo, non lo nego, ma l'ho imbrogliato così onestamente e ne ho tratto così poco vantaggio che sono stato assalito spesso dal sospetto che l'imbroglione fosse il mondo e l'imbrogliato io. Tanto imbrogliato, che sarei ancora un avventuriero al verde se un mio parente superstite non avesse avuto il delicato pensiero di morire dopo di essere stato fedele a due grandi virtù: a quella dell'avarizia e a quella dell'infecondità. Ciò detto, o signora, io ho motivo di credere che ella possa ritenere come perfettamente compiuta la formalità della presentazione.

Elena

      Mi ha favorito addirittura la sua biografia!

Ugo

      Una presentazione abbondante, ecco. Non ho voluto lesinare.

Elena

      E si è data tutta questa pena… per fare una scommessa con me?!

Ugo

      Si fa una scommessa per guadagnar qualche cosa.

Elena

      Ma è una scommessa inverosimile, una scommessa già perduta!

Ugo

      Da quell'onestissimo avventuriero che mi pregio di essere, l'avverto che l'imbroglio c'è.

Elena

      Lei può imbrogliare fin che vuole: con l'imbroglio non le riescirà certo di fabbricare un Wagner per suo uso e consumo. (Ridendo un po' e burlandosi di lui) Via!.. «I Maestri Cantori» senza la «Canzone del Premio»…

Ugo

      (interrompendo) È come dire un corpo senz'anima o… un pasticcio di pernici senza pernici.

Elena

      Assolutamente!

Ugo

      Ma io non ho mai pensata una simile sciocchezza!

Elena

      (con un salto di stupore) E la scommessa?!

Ugo

      Un piccolo espediente, signora! Il culto wagneriano che ella professa me lo ha felicemente ispirato soccorrendo l'ansia che avevo di vincere quel suo mutismo ostile. Ora, il mio monologo e il suo solitario si sono mutati in dialogo; io parlo con lei, lei parla con me: ciò che avevo stabilito di guadagnare, l'ho guadagnato. Come vede, l'imbroglio c'era.

Elena

      (allontanandosi un po' dallo scrittoio per allontanarsi da lui) Molto furbo!

Ugo

      Sì, non c'è male: abbastanza.

Elena

      E, con tutta la sua furbizia, non ha avuto il dubbio che della scommessa mi sia servita io per appurare finalmente chi fosse lei?

Ugo

      …

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