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Mater dolorosa. Gerolamo Rovetta
Читать онлайн.Название Mater dolorosa
Год выпуска 0
isbn
Автор произведения Gerolamo Rovetta
Жанр Зарубежная классика
Издательство Public Domain
Adesso per altro, a Firenze, Prospero Anatolio trovò nel conte Della Valle un cambiamento troppo evidente… Giorgio alle volte era con lui così freddo, che si avvicinava a scortese… nè Giorgio aveva tutti i torti.
L’amicizia, la stima ch’egli professava a Maria erano sincere e vivissime, e perciò non poteva perdonare al duca d’Eleda di posporre tutte le virtù e i pregi inestimabili di sua moglie ad una cocotte, con tutti i quarti, ma sempre cocotte.
Anche a Maria non passò inosservata la freddezza del conte verso Prospero; e questa novità, ch’ella non riusciva a spiegarsi, la infastidiva, la addolorava, la teneva continuamente sopra pensiero, tanto che una volta, non potendo più oltre frenarsi, domandò e volle saperne il motivo. Giorgio, preso così all’improvviso, non ebbe tempo di potersi schermire con arte, e la duchessa gli serrò i panni addosso sì fattamente che, pur di uscirne, egli ne attribuì la cagione alle aspirazioni politiche del deputato di Borghignano, troppo contrarie alle sue.
Ma la scusa non poteva soddisfare, perchè quelle aspirazioni erano pur sempre le stesse, mentre invece la freddezza era nuova. Giorgio allora, vedendo di non potersi giustificare, promise di correggersi, e benchè questa promessa non fosse poi mantenuta, Maria non entrò più in tale argomento. Sentiva che Giorgio le nascondeva un segreto, ch’egli non aveva per lei la confidenza di un tempo, e se ne offese.
Intanto anche Prospero Anatolio che, con un grosso rimorso sulla coscienza, avea paura di tutto, non mancò alla sua volta, di far cadere il discorso, trovandosi colla moglie, sullo strano contegno del suo amico, per prevenire il pericolo di qualche inopportuna confidenza e prepararsi, per tutti i casi, il terreno alla propria difesa. Egli pure, come avea fatto Giorgio, non trovando da dire meglio, ne dava la colpa alla politica. – Nemici politici e amici personali, è una bella frase d’effetto, come – Libera Chiesa in libero Stato – del conte di Cavour, – concludeva il duce d’Eleda. – Tutta roba da leggersi sulle gazzette; tutta rettorica! Ma, in pratica, oh! in pratica è un ben altro affare! Oggi un’allusione, domani un equivoco, la corda si fa tesa e si rompe, quando tu meno lo crederesti. Anch’io – continuava – anch’io, se devo dire la verità, ho sempre tollerato Giorgio per un riguardo verso i tuoi, per riguardo a te stessa.
Maria ascoltava e taceva; ma in fondo al cuore sentiva che Prospero, come il conte Giorgio, non era affatto sincero. Impaziente, inquieta, avrebbe voluto ad ogni costo scoprire il mistero, indovinare il perchè della freddezza e degli sgarbi dell’uno, dell’imbarazzo dell’altro.
Povera Maria! pur troppo era vicino il giorno che doveva sciogliere l’enigma e distruggere per sempre la serenità della vita sua!
Nel lunedì ultimo di carnevale si preparava a Corte una festa che chiudeva per quell’inverno i ricevimenti privati. Era grande l’aspettativa e grandissimo nei pochi eletti il desiderio d’intervenirvi. La duchessa d’Eleda, naturalmente, era una delle signore invitate e più delle altre desiderata. L’uomo propone, per altro, e Dio dispone; e il mal di capo che aveva tormentata Maria per tutto quel giorno si accrebbe nel dopo pranzo, accompagnato da brividi molesti che facevano temere la febbre. Giorgio si trovava presente e consigliò a Prospero di mandare pel medico. Il servo va e torna, e riferisce che il medico era uscito di Firenze il mattino e ritornerebbe col diretto delle undici; appena giunto lo manderebbero.
– E se ne chiamassimo un altro?
Maria preferì piuttosto aspettare.
Prospero, suonate le dieci, cominciava ad essere sulle spine, e brontolava fra i denti che il male non bisogna troppo ascoltarlo; poi da un momento all’altro, quasi temendo gli potesse mancare il coraggio se aspettava a risolversi, si fermò sui due piedi, guardò l’orologio e borbottò accigliato che egli doveva recarsi al ballo subito, dovendo conferire col presidente del suo ufficio.
Maria, che aveva notato con inquietudine il crescente malumore di suo marito, non lo trattenne, e così il duca si sentì libero e padrone di andarsene a suo piacimento. Allora, colla tenerezza, tornò ad essere gentile e affettuoso verso Maria; le fece raccomandazioni e carezze, le baciò i capelli e le mani; ma poi, la prudenza gli mancò sul più bello. Era già sull’uscio quando, rivolgendosi a Giorgio, disgustato di quella commedia, gli domandò se si fermava ancora molto tempo.
– Mi fermo ancora un pochino, se la duchessa non è troppo stanca.
– No, no; poi a momenti verrà il medico – rispose Maria.
– Benissimo, cara, fa, fa, come vuoi, e allora tu, Giorgio, dovresti usarmi una cortesia: aspettare che venga il medico e sapermi dire, quando ci vedremo più tardi, che cosa ha detto.
Giorgio alzò il capo e lo guardò senza rispondere. Prospero Anatolio capì di essere andato troppo oltre, ma conoscendo la lealtà del conte Della Valle, pensò d’affrontarlo, e gli ripetè la raccomandazione, guardando intanto Maria come per dirle: – È un tiro solito, ma lo sopporto per amor tuo.
– Io non vengo al ballo stasera – rispose Giorgio seccato – ma in ogni modo ti farò avere le notizie, se proprio le desideri.
Il d’Eleda lo ringraziò, sorrise di nuovo stringendo la mano a sua moglie e usci senza presentire l’uragano che stava per addensarsi sul suo capo.
Il fare asciutto, sgarbato del conte Della Valle aveva indispettito Maria a un punto tale, che rimasta sola con lui, lo trattò con insolita freddezza. Giorgio se ne accorse subito, ma non sapendo come giustificarsi, senza accusar Prospero, non parlò più affatto: tanto che la duchessa, seccata, gli disse di sentirsi molto stanca e che perciò pensava di attendere il dottore coricata.
– Se credete, per altro, che io mi fermi ancora per attendere le notizie, come mi ha detto Prospero…
– Grazie: non importa – rispose Maria. – Quando verrà il dottore, lo pregherò di scrivere un biglietto, e glielo manderò io stessa. – Era un tono che non ammetteva repliche, e Giorgio se ne andò indispettito contro il d’Eleda, per la sua cattiva condotta, prima di tutto, ed anche perchè era la cagione della collera di Maria. Scese lentamente le scale, e, nell’uscire, incontrò appunto il medico che entrava allora. Pensò, per un momento, di risalire insieme; ma poi, riflettendoci, accese una sigaretta e rimase ad aspettarlo passeggiando sotto l’atrio. Poco dopo il dottore scendeva. Maria non aveva che una febbriciattola; un po’ di raffreddore; in breve sarebbe stato tutto sparito. Giorgio si strinse nelle spalle e se ne andò al club.
Maria durò fatica prima di poter prender sonno; quel contegno strano e ingiustificabile la impensieriva e addolorava ad un tempo. Anche in suo marito, è vero, aveva notato alcunchè d’insolito; ma non vi fece molto caso, assorta com’era in altri pensieri. Cominciò dall’accusare Giorgio, nel suo cuore, di non essere più il medesimo di Borghignano; di avere segreti e misteri con lei, che lo amava colla tenerezza confidente di una sorella. Poi, dopo di aver cercato e ricercato seco stessa di scoprire la verità, s’interrogò alla sua volta, domandando a se stessa s’ella pure non aveva dato motivo a quello spiacevole cambiamento; e quantunque si trovasse affatto innocente, finì come finisce sempre chi vuol bene a qualcuno, coll’assolvere questo qualcuno e coll’accusare sè di durezza.
– Chi sa! – pensava Maria, che nel difendere l’amico provava un vivo piacere – chi sa!… Giorgio avrà forse qualche noia, qualche dolore, ed invece di confortarlo fo peggio. È impossibile ch’egli sia mutato in questo modo senza una ragione seria, molto seria, ed io ho avuto torto di non pensarci.