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pianeta del sistema solare e caduto sulla terra milioni di anni prima.

      Sekmet vi aveva inciso sopra una speciale formula che l’eletto avrebbe dovuto pronunciare in presenza della strega. Solo la combinazione di questi tre elementi: il talismano rosso, la formula e l’eletto, avrebbe permesso di sconfiggere e uccidere Luthien.

      La figura misteriosa del mago aveva acceso la fantasia degli abitanti dell’isola. Si raccontava che, tra i suoi enormi poteri, poteva trasformarsi in chiunque lui desiderasse. Poteva essere un piccolo bambino che giocava sulla spiaggia, una vecchina che tesseva la tela o un contadino che arava i campi. Ad Astagatt tutti avrebbe potuto incontrare il mago Sekmet ma nessuno sarebbe stato in grado di riconoscerlo. L’unico indizio che sembrava rivelare la sua presenza era un forte profumo di rose rosse appena colte dal giardino. Nulla di più.

      In effetti, sull’isola c’era un solo abitante in grado di riconoscerlo sotto qualunque forma lui avesse deciso di trasformarsi: la strega Luthien. Anche per questo si teneva a debita distanza sia dal palazzo reale che dalla stessa città, tutti posti che il mago frequentava assiduamente ogni giorno. Gli unici due posti in cui poteva agire indisturbata e che considerava i suoi terreni di caccia erano la foresta e la montagna.

      Capitolo secondo

      AMIR & AKHMED

      Il piccolo Amir era cresciuto libero e spensierato fino all’età di quindi anni e i suoi genitori, Mohammed e Adeela, fino al triste epilogo della loro scomparsa, avevano fatto in modo che il loro primogenito non fosse troppo angustiato dal rigido protocollo di corte e ricevesse un’educazione quanto più consona al suo carattere gentile e socievole.

      Amir era continuamente “affamato di cultura” tanto che, quando non era soddisfatto del precettore di turno assegnatogli dal padre, con un pretesto qualsiasi si allontanava dalla sua stanza e, di nascosto, si intrufolava nella biblioteca reale dove sapeva di poter soddisfare la sua sete di conoscenza.

      La biblioteca, tra tutti i nascondigli segreti, era il suo posto preferito. Qui poteva leggere, in tutta tranquillità, i suoi amati libri, soprattutto quelli che parlavano di storia. La sua curiosità, il desiderio di conoscenza, gli davano un’energia incredibile e, attraverso quei libri antichi, si immedesimava con gli eroi del passato.

      Questo suo volare lontano con la fantasia, a volte, gli faceva perdere la cognizione del tempo e, qualche volta, arrivava in ritardo alla cena reale. Sua madre Adeela, molto più intransigente del marito in fatto di disciplina ed educazione, in queste occasioni era solita ripetere: “Caro marito… anche questa sera tuo figlio Amir è in ritardo!”.

      I principi Amir e Akhmed

      Spesso il re non era in grado neppure di replicare perché la consorte, immediatamente, riprendeva il suo tono accusatorio: “È sempre la stessa storia… questo ragazzo non cambierà mai… ma è tutta colpa tua… sei troppo buono con Amir. Gli lasci fare sempre tutto quello che desidera e poi… vedi… questi sono i risultati. Non capisce che così facendo manca di rispetto ai suoi genitori? Come potrà mai governare un regno… la nostra amata isola… se non incomincia ad assumersi le sue responsabilità?”.

      “Nostro figlio… Adeela… nostro figlio… ricordati che non è solo mio figlio”, la interruppe gentilmente il re.

      “Forse dimentichi che lui ha esattamente il tuo carattere… è come te da giovane… ma con l’avanzare dell’età inizi a non ricordare… mia splendida regina…”.

      Mohammed non finì di concludere la frase che un grande sorriso illuminò il rubicondo viso dell’amatissima moglie che scoppiò in una sonora e coinvolgente risata. Come al solito, il re era riuscito, con una semplice ma efficace battuta, a calmare gli animi.

      “Stai tranquilla mio splendore… vado a cercarlo personalmente… sono sicuro che lo troverò nascosto in uno dei suoi posti segreti!”.

      “Oh… bene… adesso mi abbandoni anche tu… questa cena sta diventando una tipica serata da famiglia di Astagatt”, lo riprese Adeela, alzando lo sguardo verso il soffitto.

      “Su amore mio… non essere arrabbiata!! Farò prestissimo. Prometto. Vedrai che… tra pochi minuti… io e tuo figlio Amir faremo ritorno da te e… tutti insieme… consumeremo questa splendida cena”.

      Mohammed si considerava un padre orgoglioso e premuroso.

      Quando gli impegni del reame glielo consentivano si fermava a parlare con Amir e, insieme, discutevano ogni cosa, di qualunque argomento.

      Amir non era l’unico figlio della coppia reale. Infatti, il principe ereditario aveva un fratello minore, più piccolo di circa due anni, al quale avevano dato il nome di Akhmed, in onore del nonno materno che, alla veneranda età di 84 anni ancora governava, con piglio giovanile ma autoritario, la vicina isola di Cora.

      Akhmed, fin dai primi vagiti, dimostrò di avere un carattere forte e determinato. Al momento dell’allattamento agitava vorticosamente le piccole manine e i piedini, in segno di ribellione e respingeva perentoriamente, con calci e pugni, tutte le nutrici che gli si avvicinavano. Desiderava bere il latte solo dal seno della madre, la regina Adeela, che amorevolmente si dedicava alle cure del figlioletto, coccolandolo dolcemente finché non lo vedeva addormentato con un sorriso di soddisfazione stampato sul suo viso già paffutello.

      I due fratelli crebbero rapidamente ma con caratteri completamente diversi l’uno dall’altro. Così dolce, gentile e premuroso Amir, tanto più arrogante, chiuso ed introverso Akhmed.

      Anche nell’aspetto i due principini erano moto diversi.

      Il più grande dei fratelli era longilineo e già alto per quelli della sua stessa età. Aveva un bel visino sul quale spiccavano due bellissimi occhi azzurri e una tumultuosa capigliatura di splendidi ricci neri. Akhmed, invece, cresceva grassottello, con le lentiggini, il naso grosso e i capelli rossi. Inoltre, per distinguersi dal fratello più grande al quale non desiderava affatto assomigliare, si faceva appositamente tagliare i capelli cortissimi dal barbiere di corte, con vivo disappunto dei suoi genitori.

      Solo un particolare fisico sembrava accumunare i due fratelli: il colore dei loro occhi. Erano di un grigio-azzurro intenso, cosa che li distingueva da tutti gli altri bimbi dell’isola di Astagatt.

      Akhmed, al contrario di Amir, non aveva nessuna passione per l’arte o la cultura in generale. La sua unica occupazione, durante l’infanzia e parte della sua giovinezza, era stata quella di giocare con i soldatini di legno, ad altezza naturale, fatti realizzati dal sovrano, appositamente per lui, dai migliori artigiani dell’isola.

      Raramente si poteva notare Akhmed leggere qualche libro, se non quelli che parlavano di navi, di battaglie o di avventurose attraversate degli oceani. Il mare e la navigazione erano le uniche due passioni che univano i fratelli, ma per tutto il resto erano completamente agli opposti, come l’acqua con il fuoco.

      In diverse occasioni aveva apertamente manifestato la sua gelosia per il fratello maggiore, che detestava, a suo dire, anche per i suoi modi sempre troppo cortesi e gentili verso i sudditi del regno e il personale di servizio.

      Per Akhmed, invece, bisognava mantenere le debite distanze dal popolo e governare con il metodo “del bastone e della carota”.

      A volte, a causa del suo cattivo comportamento verso la servitù di corte, veniva punito dal re e confinato nella sua stanza.

      In quelle occasioni era solito ripetere a voce alta: “Un giorno tutto questo cambierà. Io sono un principe e nessuno può dirmi cosa devo fare e cosa devo dire. Prima o poi ucciderò quell’imbecille di mio fratello Amir e tutti dovranno temere la mia ira. Mi ricorderò di tutti quelli che oggi mi procurano dolore e… quando sarò sul trono di Cora… la mia vendetta sarà implacabile”.

      La regina Adeela, benché restasse colpita dal feroce odio provato dal figlio minore nei confronti del fratello, non ne stigmatizzava le parole. Anzi, accarezzandogli

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