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MARCO FOGLIANI

      Aggiornamento al: 03/07/2021

      INTRODUZIONE

      Non mi piacciono le premesse. Però mi sento tenuto a spendere qualche parola su quanto ho scritto immaginandolo ambientato nel futuro.

      Per cominciare devo avvertire che, essendo stati scritti nell'arco degli ultimi vent'anni, una parte della fantascienza originaria potrebbe essere andata perduta o, peggio ancora, divenuta obsoleta e ridicola; un po' come vedere oggi i film di fantascienza del secolo scorso ambientati nel 1999 o nel 2001.

      Perciò, benché buona parte della mia fantasia sia sempre stata proiettata verso un futuro più o meno prossimo, ho cercato di raccogliere qui solo le storie più convincenti e ancora futuristiche. In questa raccolta ho inoltre cercato di concentrarmi più sulla "fantascienza" che sulla "fantapolitica" (anche se a volte il confine tra i due generi è labile).

      Avverto infine che una parte degli "Scherzi del futuro" potrete trovarli a diverso titolo anche in altre mie raccolte: "Scherzi"; "Scherzi per il teatro", "Scherzi del calcio"; "Scherzi di medici, politici e scrittori"; "Sta scherzando commissario?"

      LA PARTITA INTERROTTA

      Allo stadio Olimpico di Roma la partita Roma-Juventus, 12-ma di ritorno del campionato italiano di calcio di serie A, era cominciata da circa venti minuti.

      Una bella partita. Anche se non si erano ancora viste reti, il pubblico aveva già avuto modo di divertirsi in molte occasioni. Ed una bella giornata: un sole tiepido primaverile, quasi niente vento e niente nuvole, dopo una settimana che, meteorologicamente, alcuni avevano previsto come l’ultima invernale della stagione.

      A me il sole dava quasi fastidio: troppo sparato sulla mia faccia. Avrei gradito volentieri una bella nuvola sopra lo stadio, anche per potermi togliere quel cappellino che, se permetteva alla mia testa pelata di non surriscaldarsi, comunque mi dava fastidio.

      Ad un tratto, guardando il cielo sopra di me, notai qualcosa di strano. Non era un gabbiano, come mi era sembrato a prima vista, anche se di gabbiani in giro ce n’erano parecchi. Non sembrava neanche un palloncino, di quelli che i gruppi di tifosi organizzati lasciano andare all’inizio degli incontri in vivaci coreografie multicolori. Perché invece di salire, scendeva, almeno così mi pareva. Sì, doveva scendere, perché ora cominciavo a distinguere in quel coso una specie di paracadute. Come le caramelle o i salamini che, quando ero bambino, qualche aereo rumoroso ci gettava in dono sulle spiagge delle nostre vacanze.

      Però, nonostante quella specie di paracadute, questo coso sembrava scendere dritto, anche se lentamente. Senza ondeggiamenti, dritto e deciso verso il centro di metà campo.

      Non avrei saputo dire quanto fosse grande, così lassù in mezzo al cielo. Forse era piccolo; ma più scendeva e più, ovviamente, si ingrandiva, e più le persone intorno si accorgevano della sua presenza. Tanto che, ad un tratto, mi resi conto che intorno a me erano forse più quelli che fissavano questo oggetto in aria di quelli che seguivano l’incontro.

      Se ne avvide anche qualcuno a bordo campo, che attirò l’attenzione del terzo uomo e questi dell’arbitro, il quale fermò il gioco, convocò i due capitani e, senza troppe discussioni, ordinò che ci si spostasse tutti vicino alle panchine. Tempo pochi secondi ed il terreno di gioco si era svuotato. La partita sarebbe stata probabilmente sospesa; sicuramente per ora era stata interrotta. L’arbitro, gli allenatori ed altri personaggi continuavano a parlottare fittamente tra loro vicino a quelle specie di trincee delle panchine, osservando quel coso che scendeva. Ma qualche giocatore prese la via dello spogliatoio, per cui i più davano già la partita per sospesa.

      “Ma non puoi sentire alla radio che cosa dicono? Tu che hai il telefonino speciale con 500 funzioni, possibile che non abbia anche la radio?”, chiese un mio vicino ad un suo amico.

      “Ci sto provando. Credo un elicottero … a quanto pare … “

      Non riuscii a capire di più, perché per l’appunto il rumore di un elicottero, proveniente dalla Tribuna Tevere, montò rapidamente facendosi in breve assordante.

      Anzi, gli elicotteri erano due, dei carabinieri. Si disposero ciascuno di fronte ad una delle due porte, all’altezza del dischetto del rigore, quasi a fare da scorta all’atterraggio di quel coso; il quale proseguiva la sua discesa sempre senza fretta, come se avesse gravità nulla, ma senza deviare dalla verticale, come un ascensore.

      Gli altoparlanti gracchiavano qualcosa, ma il rumore degli elicotteri copriva tutto. Per fortuna dalla radio, e dal gruppetto di tifosi con cui ero, sapevo tutto, e cioè: i cancelli d’uscita erano stati aperti; la partita era stata sospesa per ordine del prefetto, ed i giocatori erano già tutti negli spogliatoi; non c’era nessun pericolo per gli spettatori che quindi potevano anche rimanere fino a nuovo ordine, e comunque dovevano mantenere la calma, non ostacolare le attività del personale addetto alla sicurezza e seguire le indicazioni degli steward e delle hostess. Tutto il personale di ordine pubblico era appostato, e altri agenti erano in arrivo - lo credo, anche perché ormai l’ordine pubblico all’interno dello stadio era gestito quasi solo da hostess e non dalla polizia, che in genere era il bersaglio preferito dei tifosi violenti – ed erano attesi anche mezzi specializzati dell’esercito.

      Infine sotto quella specie di paracadute grigio riuscì a distinguersi una struttura a forma di tetraedro, colore celeste metallizzato, quasi fosse ricoperta di pannelli solari.

      “Un tetraedro? E che diavolo è?”

      “È quello, non lo vedi?”

      Sarà stato alto tre metri.

      “Due metri abbondanti, dicono”

      “Certo che se beccano chi ha combinato questo scherzo, glie la fanno pagare cara!”

      “Ah sarebbe quello il tetraedro? Come le vecchie confezioni del latte?”

      “Esatto, ogni lato un triangolo equilatero, anche se non mi sembra proprio equilatero.”

      “Per me sono spie brasiliane, venute a spiare il gioco dei nostri campioni!”

      Il tetraedro atterrò dritto e silenzioso, esattamente al centro del campo. Nessuno di noi parlava. Qualcuno aveva abbandonato gli spalti, ma la maggior parte degli spettatori era curiosa di vedere cosa sarebbe successo.

      Non accadde nulla. Però quella specie di paracadute era rimasto là rigido in aria, come un grazioso ombrellino che riparava dal sole la sottostante struttura a tetraedro.

      Non accadde nulla forse per quasi un minuto. Poi, all’improvviso, dagli schieramenti di poliziotti in tenuta antisommossa partirono insieme dei potenti getti d’acqua. Quattro potenti idranti spararono in contemporanea contro quell’affare. Gli diedero una bella lavata forse per un minuto, facendo diventare il cerchio di centrocampo un’enorme pozza. Poi si fermarono. Suppongo che avessero finito l’acqua a loro disposizione; o forse semplicemente pensavano di averlo lavato per bene. E poi non accadde niente per un bel po’. Gli elicotteri fermarono i motori. Gli altoparlanti invitarono il pubblico, per motivi di sicurezza, ad abbandonare lo stadio con calma e con ordine, recandosi all’uscita più vicina, rassicurando che i biglietti sarebbero stati validi per la ripetizione della gara o rimborsati. Alcuni mezzi blindati militari arrivarono fino alla pista di atletica, e poi anche due elicotteri da trasporto dell’esercito con dell'attrezzatura sofisticata.

      Il deflusso del pubblico fu lento ed ordinato. Circa dieci minuti dopo noi eravamo ancora ai nostri posti quando, preceduto da uno sbuffare che ricordava un po’ una pentola a pressione, le tre facce del tetraedro all’improvviso si aprirono. Dal suo interno rotolarono fuori una gran quantità di sfere azzurrine grandi ciascuna quanto un pallone da calcio; e probabilmente leggere come palloncini dal momento che, di tanto in tanto, cominciavano a rimbalzare, ciascuna per suo conto, ma sempre lentamente e seguendo una direzione rigorosamente verticale.

      Il cordone di poliziotti in tenuta antisommossa ebbe un sussulto, forse indeciso se utilizzare di nuovo gli idranti oppure no.

      Chi, come noi, ancora non era uscito dallo stadio, a questo punto voleva rimanere, per vedere se succedeva ancora qualcosa:

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