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la chiamò Lacey, correndo sull’erba illuminata dalla luna.

      “Vivi accanto all’oceano?” chiese Naomi a voce alta, continuando a camminare.

      Questa volta il suo tono di voce era assente. Era davvero sincera.

      “Carino, eh?” chiese Lacey, portandosi finalmente accanto a lei.

      Naomi rimase in silenzio. Il suo sguardo era fisso in avanti, rivolto al mare nero e mosso. La brezza le soffiava nei capelli. Si strinse la braccia attorno al busto.

      “È proprio come quando eravamo bambine,” disse alla fine. “Quando venivamo qui in vacanza con papà.”

      Lacey scrutò il suo profilo. Naomi non parlava mai del passato, se poteva evitarlo. “Te lo ricordi?” le chiese.

      “Certo,” rispose la sorella con voce malinconica ed espressione assorta. Si voltò a guardare Lacey, la luna bianca riflessa nelle sue pupille. “Ci sono cose che non si dimenticano mai.”

      “Ragazze?” esclamò improvvisamente Shirley con la sua voce acuta.

      Lacey distolse lo sguardo da Naomi, voltandosi verso il portico antistante al cottage. Shirley era lì in piedi, circondata da valigie e borse, intenta a tenere appoggiato contro la porta un Frankie mezzo addormentato.

      “Potete fare a meno di perdervi in chiacchiere e venire ad aiutarmi?” continuò. “Si gela!”

      Era una tiepida serata estiva, e certo non si gelava, ma Lacey corse comunque verso di lei. In quanto sorella maggiore, il suo senso dell’obbedienza le era stato inculcato in un modo molto più marcato rispetto a Naomi. Lasciò quindi sospeso nell’aria accanto alle scogliere il criptico commento della sorella.

      Il Crag Cottage sembrava piccolissimo con tutta la sua famiglia dentro, anche se Lacey vi aveva ospitato gruppi ben più numerosi in passato. I suoi famigliari erano delle presenze così ingombranti ai suoi occhi. Le sembrava quasi che i bassi soffitti stessero sprofondando, che le strette pareti si stessero avvicinando…

      Li condusse subito in cucina. Di tutte le stanze del cottage, la rustica cucina in stile campagna inglese era il suo orgoglio e la sua gioia. Dalla gamma di pentole di bronzo appese alle pareti alla cucina economica originale e all’ampio lavabo in ceramica, tutto in quella stanza era prezioso per lei.

      “Che carina,” disse Naomi con freddezza.

      “Prova a ridirlo con sentimento,” le disse Lacey con secca ironia.

      “È come la casa di un contadino,” disse Frankie sbadigliando assonnato.

      “La casa di un contadino di stile,” aggiunse Naomi frettolosamente.

      “Intendo l’odore,” disse Frankie. “L’odore di cane. E… quella è spazzatura?”

      Naomi fece una risata forzata. “Frankie ha così tanto sonno che sta praticamente delirando,” disse a voce alta.

      Ma per Lacey non era un problema, perché sapeva che i commenti di Frankie non erano mai intesi con malizia. L’odore delle pecore della sua vicina era piuttosto forte a volte, soprattutto ora che la temperatura si stava alzando e gli agnelli stavano crescendo. E poi Frankie era solo un bambino. Erano le opinioni di sua mamma e di sua sorella quelle che davvero contavano per lei.

      “È proprio come me l’aspettavo,” disse Shirley.

      “Cosa vorrebbe dire?” chiese Lacey. Ma sapeva a cosa stesse alludendo sua madre. Lacey aveva ereditato il gusto di suo padre – antichità, cottage vicino all’oceano, pittoresche cittadine britanniche – e Shirley ne era perfettamente consapevole. Però le faceva comunque male sapere che sua madre non avrebbe mai e poi mai approvato quell’aspetto del suo carattere.

      “Sto solo dicendo che quell’appartamento sulla Upper East Side non è mai stato veramente il tuo stile,” disse Shirley, facendo marcia indietro. “Quella è più roba da Naomi. Ti ho sempre immaginata in un cottage affacciato sull’oceano.”

      Se Shirley stava cercando di arrampicarsi fuori da un buco, stava solo peggiorando le cose.

      “Credo che dovremo capire come sistemarvi a dormire,” disse Lacey rigidamente. “Non sono sicura di dove e come riuscirò a farvi stare. Ho solo una stanza per gli ospiti.”

      “Io posso prendere la camera per gli ospiti,” disse Shirley, come se si stesse offrendo per un generoso sacrificio.

      Lacey guardò Naomi. “Te e Frankie volete dormire insieme nella mia camera? C’è un letto matrimoniale. O Frankie è troppo grande?”

      Naomi arruffò i ricci rossi del figlio mezzo addormentato. “Penso che Frankie sia troppo stanco perché la cosa gli possa dare fastidio, per una notte. Ma può darsi che per gli altri giorni dovremo costruirgli un forte nell’angolo della stanza.”

      Rise e Lacey si irrigidì, ricordando l’imminente viaggio di cui ancora non aveva detto niente alla sua famiglia. Anche se Naomi ora le aveva offerto effettivamente la possibilità di farlo, aveva la sensazione che non fosse esattamente il momento più opportuno per tirare fuori l’argomento. Non con Shirley che la stava guardando con aria di disapprovazione e con Frankie che barcollava esausto, e Naomi che… beh, non era mai il momento giusto per dare delle cattive notizie a Naomi.

      Quindi Lacey scelse la scappatoia del codardo e si ritirò in salotto per dormire sul divano.

      Mentre se ne stava sdraiata lì, fissando il soffitto, avvertì più che mai la mancanza di Chester. Se lo poteva immaginare nella cuccia all’ambulatorio veterinario, abbandonato e solo. Il poverino era probabilmente così confuso, incapace di capire cosa gli stesse succedendo. E avrebbe dovuto sopportare l’intera situazione per ben due settimane! Per lo meno lei avrebbe sostenuto il proprio disagio per un paio di notti e basta.

      Pensando a Chester, Lacey arrivò a una risoluzione personale. Era ora di smettere di rimandare. Domani avrebbe detto alla sua famiglia che lei e Tom avevano prenotato un viaggio e che quindi li avrebbe lasciati lì a Wilfordshire a badare a loro stessi. Forse così avrebbero capito che la prossima volta che avevano voglia di farle una visita, sarebbe stato meglio prima controllare

      Sì, certo. E i maiali volano… fu l’ultimo pensiero di Lacey, prima di addormentarsi.

*

      Lacey si svegliò sul divano e cercò di stiracchiarsi. Ogni singolo muscolo era rigido e dolorante: il divano non era esattamente robusto. Dopo otto ore sotto al peso morto di una persona addormentata, si era praticamente disintegrato.

      Lacey allungò braccia e gambe, sbuffando mentre il suo corpo protestava.

      La luce del giorno stava filtrando da una fessura tra le tende color crema. Ma la casa era nel silenzio. Un insolito silenzio.

      “Chester,” disse Lacey con tono mesto, ricordando il suo cucciolone a un paio di miglia da lì, rinchiuso in una gabbia dal veterinario.

      Il suo pastore inglese era affidabile come un orologio e la svegliava ogni mattina alle sette precise, in modo da potersi fare la sua corsetta mattutina sul prato, cacciando via qualsiasi pecora si fosse addentrata oltre i confini del giardino di Gina durante la notte, per poi trangugiare la sua ciotola di crocchette mentre Lacey mandava giù un espresso. Poi andava generalmente a cercare la sua pallina da tennis preferita, oppure si sedeva sul tappeto della cucina abbaiando in direzione del guinzaglio, perché era finalmente pronto per la passeggiata lungo la spiaggia fino al negozio.

      Ma il silenzio sembrava molto più pronunciato che per la mera assenza di Chester. Suonava tremendamente sospetto. E dato che la sua famiglia non era esattamente nota per la propria quiete, Lacey si rese conto che c’era una sola spiegazione: se n’erano andati!

      Saltò su dal divano, lasciando cadere il lenzuolo che stava usando come coperta, e corse fuori dal salotto a piedi scalzi. Andò dritta in cucina. Sul tavolo c’erano due piatti pieni di briciole, accanto a una ciotola per i cereali vuota, con un piccolo residuo di latte all’interno e un paio di cornflakes che galleggiavano sul fondo. Due mug usate per il caffè, un bicchiere per il succo. Coltelli e forchette sporchi. Nessuna giacca appesa agli attaccapanni vicino alla porta della cucina. Niente scarpe sul tappetino.

      “Se

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