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lo stesso per me,” rispose Keira. Sentiva che l’alcol le aveva sciolto la lingua. Era piacevole comunicare di nuovo. Fece per prendere la tequila. “Un altro?”

      Rob alzò le sopracciglia. “Certo.”

      Keira versò un altro shot a entrambi. Si misero a turno il sale sulle le mani, e quella volta fece lei il conto alla rovescia. “Tre, due, uno!”

      Bevvero lo shot in contemporanea, sbattendo giù i bicchierini allo stesso tempo, leccandosi il sale dalle mani e cercando di prendere in fretta le fette di lime. Entrambi si diressero verso lo stesso pezzo, e Keira colpì giocosamente la mano di Rob, rubandoglielo. Lo succhiò, ridendo, e poi se lo tolse dalle labbra.

      “È stato diverten-” iniziò, ma si interruppe quando all’improvviso Rob si lanciò verso di lei e la baciò. Keira lo spinse via, sconvolta. “EHI!” gridò. “Che diavolo fai?”

      Rob apparve sbalordito. “Che vuoi dire?” esclamò. “Stavi flirtando con me.”

      “NO, non lo stavo facendo!’ ribatté Keira. Ancora peggio di essere baciata senza consenso, era l’accusa di aver dato in qualche modo il via libera quando invece non lo aveva assolutamente fatto.

      “Oh, ma per favore,” rispose Rob, furibondo. “Allora perché continuavi a guardarmi? Perché mi hai offerto un altro drink?”

      “E da quando guardare significa flirtare?” ribatté Keira.

      “Uhm, da quando la nostra specie ha sviluppato parti maschili e femminili ben distinte?” La rimbeccò lui.

      Sembrava inviperito. Keira si rese conto che era veramente ubriaco. In precedenza aveva retto bene, ma con i due bicchierini di tequila in rapida successione aveva superato i limiti di tolleranza del suo fisico, e tutto a un tratto apparve tutto arruffato.

      Keira si voltò. Non era preparata a gestire una discussione sulle tecniche di flirt con un idiota sbronzo. Ma quando fece per andarsene, fu bloccata dalla stretta di Rob sul suo braccio, che cercava di fermarla.

      “Ehi,” le disse l’uomo. “Dovresti chiedermi scusa.”

      “Cosa?” esplose lei, resa più sicura dalla tequila che le riscaldava il ventre. “TU dovresti chiedermi scusa. Io non ho fatto niente.”

      “Mi hai illuso!”

      Keira fu travolta dalla rabbia. “Sei un porco!” gridò, allungando una mano verso il più vicino bicchiere. Ne trovò uno di vino che era stato abbandonato e lo versò in faccia a Rob.

      Fuggì via, afferrando la giacca e uscendo in fretta e furia dall’appartamento prima che chiunque riuscisse a fermarla. Non voleva essere seguita da Shelby o Maxine per essere consolata. Voleva solo tornare a casa.

      Fortunatamente, quando scese in strada, un taxi si stava dirigendo verso di lei, con la luce accesa. Lo fermò.

      Il veicolo parcheggiò lungo il marciapiede e lei vi saltò dentro, dando l’indirizzo di Bryn all’autista. Mentre si allontanava, vide Maxine e Shelby che scendevano in fretta i gradini alla sua ricerca. Fece loro un timido saluto dal retro del taxi mentre le superava, poi sprofondò nel sedile. L’umiliazione le aveva arrossato le guance. Frugò dentro la borsetta, afferrando il cellulare per mandare un messaggio di scuse a Shelby. Ma invece di scrivere all’amica, si ritrovò invece a inviare un messaggio a Cristiano. Due semplici parole.

      Mi manchi.

      CAPITOLO DUE

      Quando Keira si svegliò il giorno seguente, fu assalita da un senso di mortificazione. I ricordi della festa le tornarono alla mente tutti insieme, dagli shot di tequila con gli amici e la sgradevole esperienza del bacio di Rob, fino al drink che lei gli aveva gettato in faccia. Ma non era quella la parte peggiore. La parte peggiore era stato il messaggio a Cristiano.

      Sollevò le coperte, rimanendovi impigliata nella fretta di trovare il cellulare e finendo per cadere sul sedere. Stesa sul duro pavimento emise un gemito e allungò una mano sul tavolino da caffè, trovando il telefono.

      Non appena ebbe il cellulare in mano, ebbe paura di controllare. Esitò, con il pollice sospeso sopra il pulsante d’avvio, ma poi riuscì a mettere un freno alla sua ansia e a pigiarlo.

      Immediatamente vide che c’erano diverse notifiche di messaggi ricevuti. Le balzò il cuore in gola. Ce ne poteva essere anche uno di Cristiano? Cliccò sull’icona dell’app.

      Il primo messaggio era di Maxine, che le chiedeva se stava bene. Il seguente, sempre di Maxine, insisteva di farle sapere se era arrivata a casa sana e salva. Poi ce n’erano diversi di Shelby, parole sconnesse scritte come in un flusso di coscienza, un altro di Maxine di quella mattina presto che l’avvertiva che se non si fosse fatta viva per mezzogiorno avrebbe chiamato la polizia, e alla fine uno di sua madre che le chiedeva se aveva mai provato il latte di cocco nel latte macchiato. Ma niente da Cristiano. Si sentì lo stomaco sotto i piedi e la delusione le sbocciò nel petto. Ma una nuova sensazione prese rapidamente il sopravvento: il sollievo. Lei aveva fatto il primo passo, aveva rotto il muro di silenzio tra di loro, e Cristiano aveva scelto di non comunicare. Almeno adesso sapeva come stavano le cose. Non aveva più bisogno di domandarselo. Per quanto la consapevolezza che la loro relazione era definitivamente finita fosse dolorosa, era grata di quella certezza.

      Rilesse i messaggi di Maxine, non più distratta dal pensiero di Cristiano e in grado di prestargli l’attenzione che meritavano.

      Stai bene, tesoro? Mi dispiace così tanto per Rob! Che stronzo. Ti conosco abbastanza bene da sapere che di certo sarai in imbarazzo per questa faccenda, ma in questo momento sei letteralmente la mia eroina.

      Lei sorrise tra sé e sé, e poco alla volta la sua mortificazione per aver fatto una sceneggiata svanì. Le scrisse una risposta.

      Scusa se non ti ho più risposto. Devo essermi addormentata non appena sono arrivata a casa. Certo che sono imbarazzata, ma almeno tu sei orgogliosa di me.

      Inviò il messaggio e fece per mettere da parte il cellulare, poi ripensandoci mandò una risposta a sua madre, Mallory. Sì, e ci sta benissimo.

      Udì il suono di una chiave nella toppa della porta e sobbalzò per la sorpresa. Voltandosi per guardarsi alle spalle, vide Bryn che entrava nell’appartamento, abbigliata con un completo sportivo, le guance rosa, la fronte sudata e un ampio sorriso sulle labbra. Keira si accorse che non era da sola, con lei c’era Felix. Per essere un uomo di una certa età, in tenuta da palestra faceva la sua figura. Ricordava un modello per le pubblicità di tinte per capelli, nella versione prima del trattamento.

      “Ti sei svegliata,” disse Bryn con un sorriso. “Come è stata la festa?”

      “Avrebbe potuto andare meglio,” borbottò in risposta Keira. “Dove siete stati voi due?”

      Bryn si diresse al lavandino per riempire la bottiglietta d’acqua vuota. Fu Felix a rispondere alla sua domanda.

      “Siamo solo andati a fare una corsetta,” spiegò.

      Keira dovette impedirsi di sbottare: “Alla tua età?” Riuscì a censurarsi e domandò: “A quest’ora del mattino?”

      “È il momento migliore per farlo,” rispose lui. Sollevò una gamba per appoggiarla a uno degli sgabelli della cucina e allungarsi a toccarsi le dita dei piedi.

      Era più in forma di Keira, quello era evidente. Lei aveva lasciato che quella parte della sua vita andasse a scatafascio e il suo giro vita ne stava subendo le conseguenze. Bere e mangiare a piacimento andava bene finché si arrampicava su per le colline in Italia, ma ora che i suoi pomeriggi consistevano in maratone televisive e montagne di pretzel, non era più tanto una buona idea. Si tastò lo stomaco. Era decisamente più morbido di quanto non fosse stato in passato. Avrebbe dovuto fare qualcosa e in fretta.

      Bryn si voltò dal lavandino e bevve una sorsata dalla bottiglia. “Hai sentito la mamma?”

      “Solo un messaggio strano sui cappuccini al

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