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un’occhiata anche al palazzo in lontananza, ma solo perché sperava che Sofia stesse bene. Quel genere di posto era per quelli come la benestante regina vedova e i suoi figli, i nobili e i servitori che cercavano di mettere a tacere i problemi del mondo reale con le loro feste e caccie. Non per gente reale.

      “Ehi, ragazzo, se hai soldi da spendere, ti mostro qualcosa di bello,” esclamò una donna dalla soglia di una casa il cui intento era ovvio anche senza insegna. Sulla porta stava di guardia un uomo che avrebbe potuto combattere con un orso, mentre Kate poteva sentire i rumori di gente che si divertiva fin troppo anche se ancora non era buio.

      “Non sono un ragazzo,” rispose seccamente.

      La donna scrollò le spalle. “Non sono delicata. Puoi sempre entrare e guadagnarti qualche soldo da te. Ai vecchi sporcaccioni piacciono quelle un po’ mascoline come te.”

      Kate andò oltre, non dandole la soddisfazione di una risposta. Non era la vita che aveva programmato per se stessa. E non era neanche rubare per ottenere quello che voleva.

      C’erano altre opportunità che parevano più interessanti. Ovunque guardasse, sembrava che ci fossero reclutatori per una o l’altra delle compagnie libere, che dichiaravano la loro alta paga rispetto agli altri, o le migliori razioni, o la gloria di aver vinto in guerre oltre il Tagliacqua.

      Kate andò in realtà verso uno di essi, un uomo dall’aspetto cordiale, sulla cinquantina, che indossava un’uniforme che sarebbe stata meglio a un attore che impersonava un guerriero, piuttosto che a uno vero

      “Ehi, ragazzo! Cerchi avventura? Sei temerario? Non hai paura di morire sotto le spade dei tuoi nemici? Beh, sei venuto nel posto sbagliato!”

      “Il posto sbagliato?” chiese Kate, senza dare peso al fatto che l’avesse scambiata per un maschio.

      “Il nostro generale è Massimo Caval, noto per essere il più cauto tra gli uomini che combattono. Non entra mai in battaglia a meno che non sia certo di poter vincere. Non spreca mai i suoi uomini in confronti inutili. Non…”

      “Quindi state dicendo che è un codardo?” chiese Kate.

      “Un codardo è la cosa migliore che ci possa essere in guerra, credimi,” disse il reclutatore. “Sei mesi a correre davanti alle forze nemiche mente quelle si annoiano, con solo qualche saccheggio a ravvivare la situazione. Pensaci, la vita, la… aspetta, tu non sei un ragazzo, giusto?”

      “No, ma lo stesso so combattere,” insistette Kate.

      Il reclutatore scosse la testa. “Non per noi, non puoi. Vattene!”

      Nonostante la sua difesa della codardia, il reclutatore sembrava poterle dare uno schiaffone alla testa se Kate fosse rimasta lì, quindi continuò a camminare.

      C’erano così tante cose nella città che non avevano senso. La Casa degli Indesiderati era stata un luogo crudele, ma almeno possedeva un certo ordine. Per metà del tempo nella città sembrava che la gente facesse quello che voleva, con poche istruzioni da parte dei governatori della città stessa. Di certo sembrava non esserci alcun piano. Kate attraversò un ponte che era stato costruito con banchi e palchi e anche piccole case, tanto che non era rimasto che un minimo spazio da usare per gli scopi desiderati. Kate si ritrovò a camminare lungo delle strade che si chiudevano a spirale su loro stesse, vicoli che in qualche modo diventavano i tetti di case disposte a un livello più basso e che poi passavano il posto a delle scale a pioli.

      Per quanto riguardava la gente nelle strade, l’intera città sembrava folle. Pareva esserci qualcuno che gridava a ogni angolo, dichiarando gli elementi della propria personale filosofia o denunciando il coinvolgimento del regno in guerre nelle acque.

      Kate si rintanava nelle soglie delle porte quando vedeva le figure mascherate dei sacerdoti e delle suore che seguivano gli imperscrutabili compiti della Dea Mascherata, ma dopo la terza o quarta volta decise di continuare a camminare. Vide una persona frustare una catena di prigionieri, e si trovò a chiedersi quale parte della grazia divina rappresentasse tutto ciò.

      C’erano cavalli ovunque nella città. Tiravano carrozze, portavano cavalieri, e alcuni dei più grossi trainavano carri pieni di qualsiasi cosa, dalla pietra alla birra. Vederli era una cosa, rubarne uno era decisamente diverso.

      Alla fine Kate scelse un punto fuori da una scuderia e si avvicinò aspettando il suo momento. Rubare qualcosa di grosso come un cavallo necessitava di più di un semplice momento di disattenzione, ma nel principio non era diverso dal rubare una torta. Poteva sentire i pensieri degli stallieri mentre girovagavano e riflettevano. Uno di loro stava portando fuori una bella giumenta, pensando alla nobildonna a cui doveva portarla.

      Dannazione, c’è bisogno di una sella da amazzone, non di questa.

      Il pensiero fu tutto l’invito di cui Kate aveva bisogno. Si portò avanti mentre lo stalliere tornava di corsa all’interno, probabilmente pensando che nessuno potesse prendere un cavallo nel breve lasso di tempo che sarebbe trascorso. Kate si fece strada tra i pedoni che imbrattavano la strada, immaginando il momento in cui le sue mani si sarebbe finalmente chiuse attorno alle redini.

      “Ti ho preso!” disse una voce mentre una mano le si stringeva sulla spalla.

      Per un momento Kate pensò che qualcuno avesse immaginato ciò che stava per fare, ma quando la figura che l’aveva afferrata la fece ruotare verso di sé, Kate riconobbe la verità: era uno dei ragazzi dell’orfanotrofio.

      Si dimenò per liberarsi e lui la colpì, con forza, prendendola allo stomaco. Kate cadde in ginocchio e vide due altri ragazzi accorrere velocemente.

      “Ci hanno mandati a inseguirti quando te ne sei andata,” disse il più grande. “Hanno detto che le ragazze valgono più dei ragazzi e che potevano mandare dei cacciatori per tutti noi se necessario.”

      Sembrava amareggiato, e Kate non lo biasimò. La Casa degli Indesiderati era un luogo malvagio, ma era anche l’unica casa che gli orfani avevano.

      Lo biasimò invece per il pugno successivo, che le fece oscillare la testa all’indietro.

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