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guardato con disapprovazione ogni cosa Mardig avesse mai fatto, seguendolo con i suoi occhi di disprezzo in ogni angolo. Mardig aveva sempre sognato di poter avere un giorno un qualche riconoscimento. E allo stesso tempo di poter prendere il potere per sé. Tutti si erano sempre aspettato che il trono passasse a uno dei suoi fratelli, il primogenito, Koldo. Se non a lui allora al gemello di Mardig, Ludvig. Ma Mardig aveva altri piani.

      Quando Mardig svoltò l’angolo i soldati di guardia si inchinarono con riverenza e si voltarono per aprire la porta senza neanche chiedere perché.

      Ma improvvisamente uno di loro si fermò inaspettatamente e si girò a guardarlo.

      “Mio signore,” disse, “il re non ci ha detto di nessuna visita questa mattina.”

      Il cuore di Mardig smise di battere un momento, ma si sforzò di apparire coraggioso e sicuro: si voltò e fissò il soldato, uno sguardo di potere, fino a che poté vedere che l’uomo appariva insicuro di se stesso.

      “E io sarei un mero visitatore?” chiese con freddezza, facendo del suo meglio per non sembrare spaventato.

      La guardia lentamente arretrò e Mardig passò attraverso le porte aperte che vennero poi chiuse dalle guardie alle sue spalle.

      Mardig entrò nella stanza e vide gli occhi sorpresi di suo padre che si trovava in piedi alla finestra e guardava pensieroso il suo regno. Lo guardò confuso.

      “Mardig,” disse suo padre, “a cosa devo l’onore? Non ti ho convocato. Né ti ho richiesto di farmi visita nelle ultime lune, a meno che non si ci sia qualcosa che desideri.”

      Il cuore di Mardig gli batteva forte nel petto.

      “Non sono venuto a chiederti niente, padre,” rispose. “Sono venuto a prendere qualcosa.”

      Il re apparve confuso.

      “A prendere?” chiese.

      “A prendere ciò che mi appartiene,” rispose.

      Mardig fece alcuni lunghi passi attraversando la stanza, irrigidendosi mentre suo padre lo guardava sorpreso.

      “Cosa ti appartiene?” gli chiese.

      Mardig sentiva i palmi che sudavano, il pugnale in mano e non sapeva se sarebbe riuscito ad andare oltre.

      “Ebbene, il regno,” disse.

      Mardig allentò lentamente la presa sul pugnale, volendo che suo padre lo vedesse prima di pugnalarlo, volendo che vedesse con i suoi occhi quanto lui lo odiasse. Voleva vedere l’espressione di paura di suo padre, lo shock, la rabbia.

      Ma quando il re abbassò lo sguardo non fu come Mardig se l’era aspettato. Pensava che avrebbe opposto resistenza, che avrebbe lottato. Invece sollevò lo sguardo e lo fissò con tristezza e compassione.

      “Figliolo,” gli disse. “Sei pur sempre mio figlio nonostante tutto e ti voglio bene. So che nel profondo del tuo cuore non intendi fare questo.”

      Mardig socchiuse gli occhi confuso.

      “Sono malato, figlio mio,” continuò il re. “Molto presto sarò morto. E quando ciò accadrà il regno passerà ai tuoi fratelli, non a te. Anche se dovessi uccidermi ora, non ci guadagneresti nulla. Saresti sempre il terzo nella discendenza. Quindi posa la tua arma e abbracciami. Ti voglio ancora bene, come farebbe ogni padre.”

      Mardig, in un’improvvisa ondata di rabbia, con mani tremanti, si lanciò in avanti e conficcò il pugnale nel cuore di suo padre.

      Suo padre rimase fermo, strabuzzando gli occhi incredulo mentre Mardig teneva stretto il coltello e lo fissava negli occhi.

      “La tua malattia ti ha reso debole padre,” gli disse. “Cinque anni fa non avrei mai potuto fare una cosa del genere. E un regno non merita un re debole. So che presto morirai, ma non è abbastanza presto per me.”

      Il re alla fine collassò a terra, immobile.

      Morto.

      Mardig abbassò lo sguardo respirando affannosamente, ancora scioccato per ciò che aveva appena fatto. Si asciugò la mano sugli abiti e gettò il coltello che atterrò con un clangore sul pavimento.

      Mardig guardò suo padre con volto accigliato.

      “Non preoccuparti dei miei fratelli, padre,” aggiunse. “Ho un piano anche per loro.”

      Mardig passò oltre il cadavere di suo padre, Si avvicinò alla finestra e guardò verso la capitale che si dispiegava di sotto. La sua città.

      Ora era tutto suo.

      CAPITOLO QUATTORDICI

      Kendrick sollevò la spada e bloccò il colpo del Camminasabbia che stava calando i suoi artigli affilati contro il suo volto. Lo fermò con un clangore metallico, facendo volare scintille, quindi si fece da parte mentre la creatura scivolava con le unghie lungo la lama e si portava verso la sua testa.

      Kendrick ruotò e colpì, ma la creatura era incredibilmente veloce. Si fece indietro e la spada di Kendrick la mancò. Quindi attaccò di nuovo balzando in aria e lanciandosi proprio su Kendrick che però questa volta era preparato. Aveva sottovalutato la sua rapidità, ma non l’avrebbe fatto una seconda volta. Kendrick si abbassò e sollevò la spada e lasciò che la bestia si trafiggesse da sola cadendo dritta sulla punta.

      Kendrick si alzò in ginocchio e fece ruotare la spada in basso tagliando le gambe di due Camminasabbia che gli si stavano avvicinando. Poi si girò e spinse la spada indietro infilzandone uno al ventre un attimo prima che gli atterrasse sulla schiena.

      Le bestie calavano su di lui da ogni direzione e Kendrick si trovò nel mezzo di una calda battaglia Brandt e Atme al suo fianco, Koldo e Ludvig dall’altra parte. Tutti e cinque istintivamente si davano manforte formando uno stretto cerchio, schiena contro schiena, colpendo, calciando e tenendo le creature a bada difendendosi l’un l’altro.

      Continuarono a combattere sotto i soli accecanti, senza alcun posto dove potersi ritirare in quel vasto spazio aperto. A Kendrick facevano male le spalle e si sentiva al limite, il sangue fino ai gomiti, esausto dopo quella lunga camminata e stanco di quella battaglia interminabile. Non aveva scorte, non avevano un posto dove andare stavano tutti combattendo per salvarsi la pelle. Le grida furiose di quelle bestie riempivano l’aria mentre cadevano a destra e a sinistra. Kendrick sapeva che dovevano stare attenti: sarebbe stata una lunga camminata tornare indietro e se qualcuno di loro fosse rimasto ferito questo avrebbe compromesso la situazione.

      Mentre combatteva vide in lontananza uno scorcio del ragazzo, Kaden, e fu sollevato di constatare che era ancora vivo. Lottava con mani e braccia legate dietro alla schiena e veniva trattenuto da diverse di quelle creature. Il vederlo motivò Kendrick e gli ricordò perché dopotutto erano venuto lì. Combatté furiosamente, raddoppiando gli sforzi, cercando di passare tra quelle bestie e farsi strada verso il ragazzo. Non gli piaceva il modo in cui lo stavano trattando e sapeva di doverlo raggiungere prima che quelle creature facessero qualcosa di avventato.

      Kendrick sussultò di dolore sentendo un improvviso colpo al braccio. Si voltò e vide un Camminasabbia che stava per colpirlo di nuovo, calando i suoi artigli affilati contro la sua faccia. Non poteva reagire in tempo e si preparò al colpo aspettandosi di venire tagliato in due, quando improvvisamente Brandt balzò in avanti e infilzò la creatura al petto con la spada salvando Kendrick all’ultimo momento.

      Nello stesso istante Atme si fece avanti e colpì una creatura appena prima che potesse affondare le zanne nella gola di Brandt.

      Kendrick poi ruotò, colpendo due creature che stavano per piombare su Atme.

      Continuarono in questo modo, ruotando e colpendo, combattendo contro ogni singola creatura fino all’ultimo. I mostri caddero ai loro piedi ammassandosi sulla sabbia che si fece rossa del loro sangue.

      Con la coda dell’occhio Kendrick scorse diverse creature che afferravano Kaden e iniziavano a correre via con lui. Il cuore di Kendrick batteva all’impazzata: sapeva

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