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disse. “Non è stato veloce quanto pensava.”

      Gli altri presenti annuirono. Cose del genere potevano succedere in quelle parti sperdute e crude del mondo. Jeva non lasciò trapelare neanche un po’ della sensazione di colpa che provava.

      “Sei venuta a chiederci qualcosa,” disse l’Oratore.

      Jeva annuì. “Sì.”

      “Allora chiedi.”

      Jeva rimase ferma a raccogliere i propri pensieri. “Chiedo aiuto per l’isola di Haylon. Una grande flotta la sta attaccando, sotto ordine della Prima Pietra. Credo che la nostra gente possa fare la differenza.”

      Molte voci allora si misero ad esclamare e parlare tutte insieme. C’erano domande e richieste, accuse e opinioni, tutte che si mescolavano insieme.

      “Vuole che andiamo a morire per lei.”

      “Abbiamo già sentito questa storia.”

      “Combattiamo per gente che non conosciamo?”

      Jeva rimase lì lasciando che tutte quelle parole le scorressero addosso. Se andava male, c’erano tutte le probabilità che non sarebbe uscita viva da quella stanza. Dato la sua identità, avrebbe dovuto provare un senso di pace in una tale situazione, ma si trovò allo stesso tempo a pensare a Tano che l’aveva salvata rischiando la sua stessa vita, e alla gente che era bloccata ad Haylon. Avevano bisogno che lei ci riuscisse.

      “Dovremmo darla ai morti per tutto quello che ha fatto,” gridò qualcuno.

      L’Oratore dei Morti si avvicinò allora a Jeva alzando le mani per chiedere silenzio.

      “Sappiamo cosa sta chiedendo la nostra sorella,” disse. “Ora non è il momento per parlare. Noi siamo solo i vivi. Ora è il momento di ascoltare i morti.”

      Portò la mano alla cintura e prese una piccola sacca con dentro le sacre polveri mescolate alle ceneri degli antenati. La gettò sulla pira e le fiamme si levarono danzanti.

      “Respira, sorella,” disse l’Oratore. “Respira e vedi.”

      Jeva respirò il fumo facendolo penetrare a fondo nei polmoni. Le fiamme danzavano nella fossa sotto di lei e per la prima volta dopo anni Jeva vide i morti.

      Tutto iniziò con lo spirito dell’uomo che aveva ucciso. Si alzò dal suo cadavere arso e avanzò verso di lei dalle fiamme.

      “Mi hai ucciso,” le disse con espressione in un certo senso scioccata. “Mi hai ucciso!”

      Fece allora per colpirla, e sebbene i morti non fossero teoricamente capaci di toccare i vivi, Jeva sentì con fermezza il colpo, come se l’avesse schiaffeggiata da vivo. La colpì e poi fece un passo indietro guardandola in attesa.

      Allora arrivarono gli altri morti, e di certo non furono più gentili del giovane assassinato. Erano tutti lì: le persone che aveva ucciso con le sue stesse mani e quelle che aveva portato alla loro morte ad Haylon. Vennero da lei uno alla volta, e uno alla volta la colpirono lasciandola frastornata, facendola cadere, riducendola a qualcosa che a malapena si teneva carponi a terra.

      Sembrò passare un’eternità prima che si allontanassero da lei permettendole di sollevare lo sguardo di nuovo. Si trovò a guardare verso Haylon, l’isola circondata da navi, la battaglia che imperversava.

      Vide le navi del Popolo delle Ossa andare a sbattere contro gli aggressori creandovi un buco in mezzo, con i loro guerrieri che si riversavano a riva. Li vide combattere e uccidere, e morire. Jeva li vide morire in numeri che aveva visto solo un’altra volta prima d’ora: a Delo.

      “Se li porti ad Haylon, moriranno,” disse una voce, e quella voce risuonò come se fosse fatta delle voci di un migliaio di antenati tutti insieme. “Moriranno come siamo morti noi.”

      “Vinceranno?” chiese Jeva.

      Ci fu una breve pausa prima che la voce le rispondesse. “C’è una possibilità che l’isola venga salvata.”

      Quindi non sarebbe stato un gesto vuoto. Non sarebbe stato lo stesso che a Delo.

      “Sarà la fine del nostro popolo,” disse la voce. “Alcuni sopravvivranno, ma le nostre tribù no. Non i nostri modi di fare. Ci saranno molti altri che si uniranno a noi e ti aspetteranno nella morte.”

      Questo portò in Jeva un lampo di paura. Aveva sentito la rabbia di coloro che erano morti, aveva sentito i loro colpi. Ne valeva la pena? Poteva fare una cosa del genere al suo intero popolo?

      “E anche tu morirai,” continuò la voce. “Annuncialo al nostro popolo, e morirai per lui.”

      Lentamente iniziò a tornare in sé, trovandosi sul pavimento davanti alla pira. Si mise una mano sul volto e la ritrasse sporca di sangue, anche se non poteva dire se si trattasse dello sforzo della visione o della violenza dei morti. Si sforzò di alzarsi in piedi, guardando la folla riunita.

      “Raccontaci cosa hai visto, sorella,” disse l’Oratore dei Morti.

      Jeva rimase ferma a guardarlo, cercando di valutare quanto aveva visto, se mai aveva realmente visto qualcosa. Poteva mentire in quel momento? Poteva dire alla folla riunita che i morti erano a favore del piano?

      Jeva sapeva di non poter mentire a quel modo, neanche per Tano.

      “Ho visto la morte,” disse. “La vostra morte, la mia morte. La morte del nostro intero popolo, se faremo questa cosa.”

      Un mormorio dilagò nella stanza. La sua gente non aveva paura della morte, ma la distruzione del loro intero modo di vita era qualcosa di diverso.

      “Mi avete chiesto di parlare per i morti,” disse Jeva, “e loro hanno detto che ad Haylon la vittoria verrebbe conquistata con le vite della nostra gente.” Fece un respiro, pensando a cosa avrebbe fatto Tano. “Non voglio parlare per i morti. Voglio parlare per i vivi.”

      I mormorii mutarono tono, diventando più confusi. Diventando in alcuni punti anche più irosi.

      “So cosa pensate,” disse Jeva. “Pensate che stia dicendo qualcosa di sacrilego. Ma c’è un’intera isola di gente là fuori che ha bisogno del nostro aiuto. Ho visto i defunti, e mi hanno maledetta per le loro morti. Sapete cosa mi dice questo? Che la vita conta! Che contano le vite di tutti coloro che moriranno se non li aiutiamo! Se non diamo aiuto, permettiamo al male di persistere. Permettiamo che coloro che potrebbero vivere in pace vengano massacrati. Io mi oppongo, non perché lo chiedono i morti, ma perché lo fanno i vivi!”

      A quel punto nella stanza scoppiò un boato di grida. L’Oratore dei Morti li guardò tutti, poi si voltò verso Jeva. La spinse verso la porta.

      “Faresti bene ad andare,” le disse. “Va’, prima che ti uccidano per blasfemia.”

      Ma Jeva non se ne andò. I morti le avevano già detto che sarebbe morta per fare questa cosa. Se quello era il prezzo per ottenere l’aiuto, lo avrebbe pagato. Rimase lì come punto di silenzio nel mezzo delle discussioni nella stanza. Quando un uomo corse verso di lei, lo respinse con un calcio e continuò a restare al suo posto. Era tutto ciò che poteva fare in quel frangente. Aspettare il momento in cui uno di loro l’avrebbe finalmente uccisa.

      Jeva fu piuttosto confusa vedendo che non lo facevano. Invece il rumore nella stanza si quietò e la gente presente si portò davanti a lei guardandola. Uno alla volta si misero in ginocchio e l’Oratore dei Morti si fece avanti.

      “Pare che verremo con te ad Haylon, sorella.”

      Jeva sbatté le palpebre. “Io… non capisco.”

      Avrebbe dovuto essere stata già morta a quel punto. I morti le avevano detto che era il sacrificio che volevano.

      “Hai dimenticato così tanto le nostre usanze?” chiese il sacerdote. “Ci hai offerto una morte che vale la pena di subire. Chi siamo noi per discutere?”

      Jeva allora cadde in ginocchio insieme agli altri. Non sapeva cosa dire. Si era aspettata la morte, e invece aveva la vita.

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