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      Keri notò qualcosa di nero nella mano destra del ragazzo, ma dato che il suo corpo le bloccava parzialmente la visuale non riusciva a vedere cosa fosse. Alzò l’arma, puntandola alla schiena di Denton. Lentamente, tolse la sicura.

      Ray la vide con la coda dell’occhio e abbassò lo sguardo sulla mano di Denton. Aveva una visuale migliore dell’oggetto che il ragazzo teneva in mano e non aveva ancora sollevato la pistola.

      “È il telecomando per la musica, Denton?”

      “Ah-ah.”

      “Puoi per favore gettarlo a terra davanti a te?”

      Il ragazzo esitò e poi disse, “Okay.” Lasciò cadere il congegno. Era davvero un telecomando.

      Ray rimise l’arma nella fondina e Keri fece lo stesso. Quando Ray aprì la porta, Denton Rivers si voltò e fu stupefatto di trovarsi Keri davanti.

      “Lei chi è?” chiese.

      “Detective Keri Locke. Lavoro con lui,” disse, facendo un cenno con la testa in direzione di Ray. “Che bel posticino che hai, Denton.”

      Dentro, la casa era un disastro. Alcune lampade erano state rotte contro i muri. I mobili erano rovesciati. Una bottiglia di whiskey era sul ciglio di un tavolo, mezza vuota, accanto alla fonte di musica – una cassa bluetooth. Keri spense la musica. Con la stanza improvvisamente silenziosa, colse particolari più precisi della scena.

      C’era del sangue sul tappeto. Keri ne prese nota mentalmente, ma non disse nulla.

      Denton aveva profondi graffi sull’avambraccio destro che potevano essere stati fatti da unghie. Il brutto taglio sulla tempia non sanguinava più ma di recente l’aveva fatto. I brandelli strappati di una fotografia di lui e Ashley erano disseminati sul pavimento.

      “Dove sono i tuoi genitori?”

      “Mia mamma è al lavoro.”

      “E tuo padre?”

      “È occupato a fare il morto.”

      Keri, fredda, disse, “Benvenuto nel club. Stiamo cercando Ashley Penn.”

      “Fanculo Ashley.”

      “Sai dove si trova?”

      “No, e non me ne frega niente. Tra noi è finita.”

      “È qui?”

      “Lei la vede?”

      “Il suo cellulare è qui?” insistette Keri.

      “No.”

      “Nella tua tasca posteriore c’è il suo cellulare?”

      Il ragazzo esitò, e poi disse, “No. Credo che adesso ve ne dobbiate andare.”

      Ray si avvicinò in modo esagerato al ragazzo, alzò una mano e disse, “Fammi vedere quel telefono.”

      Il ragazzo deglutì a fatica, poi lo recuperò dalla tasca e glielo allungò. La cover era rosa e sembrava costoso.

      Ray chiese, “È di Ashley?”

      Il ragazzo rimase in silenzio, sprezzante.

      “Posso comporre il suo numero e vedere se suona,” disse Ray. “O puoi darmi una risposta diretta.”

      “Sì, è suo. E quindi?”

      “Metti il culo su quel divano e non ti muovere,” disse Ray. E poi a Keri, “Fa’ quello che devi.”

      Keri perlustrò la casa. C’erano tre piccole camere da letto, un bagno piccolo e un armadio per la biancheria – a occhio sembrava tutto innocuo. Non c’erano tracce di lotta né di prigionia. Trovò la maniglia per la mansarda nel corridoio e la tirò. C’era una serie di traballanti gradini sospesi in legno che portavano di sopra. Salì con attenzione. Quando arrivò in cima, prese la sua torcia e illuminò l’ambiente. Era più un posticino extra dove strisciare che una vera e propria mansarda. Il soffitto era alto poco più di un metro e le travi che lo attraversavano rendevano difficile muoversi, pure da accovacciati.

      Non c’era granché lassù. Solo ragnatele vecchie di una decina d’anni, un mucchio di scatole coperte di polvere e sul fondo un baule in legno che sembrava gravoso da spostare.

      Perché qualcuno ha messo l’oggetto più pesante e inquietante sul fondo della mansarda? Deve essere stato difficile portarlo fino a quell’angolo.

      Keri sospirò. Era ovvio che qualcuno l’avesse messo lì solo per complicarle la vita.

      “Tutto bene lassù?” urlò Ray dal soggiorno.

      “Sì. Sto perlustrando la mansarda.”

      Si arrampicò su per gli ultimi gradini e attraversò accovacciata la mansarda, assicurandosi di passare sulle strette travi di legno. Aveva paura che un passo falso l’avrebbe fatta precipitare attraverso il soffitto di cartongesso. Sudata e piena di ragnatele, finalmente raggiunse il baule. Quando lo aprì e vi puntò dentro la torcia, fu sollevata nello scoprire che dentro non c’era nessun cadavere. Era vuoto.

      Keri chiuse il baule e tornò alle scale.

      Nel soggiorno, Denton non si era mosso dal divano. Ray gli sedeva direttamente di fronte, a cavalcioni di una sedia da cucina. Quando Keri entrò, alzò lo sguardo e chiese, “Trovato qualcosa?”

      Lei scosse la testa in segno di diniego. “Sappiamo già dove si trova Ashley, detective Sands?”

      “Ancora no, ma ci stiamo lavorando. Vero, signor Rivers?”

      Denton finse di non aver sentito la domanda.

      “Posso vedere il telefono di Ashley?” chiese Keri.

      Ray glielo porse senza entusiasmo. “È protetto. Dovremo lasciare che gli informatici usino i loro trucchetti.”

      Keri guardò Rivers e disse, “Qual è la password, Denton?”

      Il ragazzo si prese gioco di lei. “Non lo so.”

      L’espressione severa di Keri gli fece capire che non se l’era bevuta. “Te lo chiederò un’altra volta, molto gentilmente. Qual è la password?”

      Il ragazzo esitò, decidendo cosa fare, e poi disse, “Miele.”

      A Ray, Keri disse, “C’è un capanno là fuori. Vado a controllarlo.”

      Gli occhi di Rivers schizzarono subito in quella direzione, ma non disse nulla.

      All’esterno, Keri usò una vanga arrugginita per forzare il lucchetto del capanno. Una striscia di sole penetrava da un buco nel tetto. Ashley non si trovava lì – c’erano solo latte di pittura, vecchi utensili e altra roba di vario genere. Stava per uscire quando notò una pila di targhe della California su uno scaffale di legno. Esaminandole più da vicino, vide che ce n’erano sei paia, tutte con l’etichetta dell’anno corrente.

      Che cosa ci fanno queste qui? Dovremo imbustarle.

      Si voltò per uscire quando un’improvvisa brezza fece sbattere la porta arrugginita, chiudendo fuori la maggior parte della luce. Bloccata nella semioscurità, a Keri venne la claustrofobia.

      Fece una profonda inspirazione, poi un’altra. Cercava di regolare il respiro quando la porta si aprì scricchiolando, lasciando entrare di nuovo la luce del sole.

      Dev’essere stato così per Evie. Sola, bloccata nel buio, confusa. È stato questo che la mia bambina ha dovuto affrontare? È stato questo il suo incubo a occhi aperti?

      Keri soffocò un singhiozzo. Aveva immaginato Evie rinchiusa in posti del genere centinaia di volte. La prossima settimana sarebbero stati cinque anni esatti da che era scomparsa. Sarebbe stata una giornata difficile da sopportare.

      Molto era accaduto da allora – gli sforzi per mantenere in piedi il matrimonio mentre le loro speranze svanivano, l’inevitabile divorzio da Stephen, l’anno “sabbatico” dalla sua cattedra di criminologia

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