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e Riley uscirono dall’auto e mostrarono i propri distintivi ai poliziotti. Poi si incamminarono lungo il marciapiede, sgombro di neve, diretti all’abitazione. Era una casa tradizionale a due piani, con un pratico tetto basso e un porticato anteriore, ed era coperta da luci natalizie. Riley suonò il campanello.

      Una donna aprì la porta con un sorriso splendido. Era magra e in forma, con indosso una tuta da jogging. La sua espressione era luminosa e gioiosa.

      “Eccovi, dovete essere gli Agenti Jeffreys e Paige” lei disse. “Io sono Kelsey Sprigge. Prego, entrate. Venite via da questo freddo tremendo.”

      Kelsey Sprigge condusse Riley e Bill in un soggiorno accogliente, con un fuoco scoppiettante nel camino.

      “Posso offrirvi qualcosa da bere?” chiese. “Naturalmente, siete in servizio. Vi porterò del caffè.”

      Andò in cucina, e Bill e Riley si sedettero. Riley si guardò intorno, posando lo sguardo sulle decorazioni natalizie e sulle dozzine di foto incorniciate, appese alle pareti e poggiate ai mobili. Erano state scattate da Kelsey Sprigge in diversi momenti della sua vita da adulta, con i figli e nipoti tutti intorno a lei. In molte foto, un uomo sorridente era al suo fianco.

      Riley ricordò che Flores aveva detto che era vedova. Dalle foto, immaginò che fosse stato un matrimonio lungo e felice. In qualche modo, Kelsey Sprigge era riuscita ad ottenere qualcosa che era sempre sfuggita a Riley. Aveva vissuto una vita piena, con una famiglia amorevole, mentre lavorava come agente dell’FBI.

      Riley desiderava, più di ogni altra cosa, chiederle come ci fosse riuscita. Ma, naturalmente, non era quello il momento adatto.

      La donna tornò quasi subito, con un vassoio contenente due tazze di caffè, panna, zucchero e, con grande sorpresa di Riley, uno scotch on the rocks per sé.

      Riley era sbalordita da Kelsey. Per una settantenne, appariva energica e piena di vita, e più resistente della maggior parte delle donne che aveva conosciuto. In qualche modo, Riley sentiva che stava guardando il genere di donna che forse avrebbe potuto diventare.

      “Bene, ora” Kelsey disse, sedendosi e sorridendo. “Vorrei che il nostro clima fosse più accogliente.”

      Riley fu colpita dalla sua grande ospitalità. Date le circostanze, aveva supposto che la donna sarebbe stata molto agitata.

      “Signora Sprigge—” Bill esordì.

      “Kelsey, per favore” lei interruppe. “E so perché siete qui. Siete preoccupati che Shane Hatcher possa essere sulle mie tracce, e che io possa essere il suo primo bersaglio. Pensate che voglia uccidermi.”

      Riley e Bill si scambiarono uno sguardo, incerti su che cosa dire.

      “E naturalmente, ecco perché ci sono quei poliziotti fuori” Kelsey disse, continuando dolcemente a sorridere. “Ho chiesto loro di entrare a riscaldarsi, ma non hanno voluto. Non mi hanno nemmeno lasciato uscire per la mia corsa serale! Che peccato, amo davvero uscire a correre con questo tempo. Ma non sono preoccupata di venire uccisa, e credo che nemmeno voi dovreste esserlo. Non penso affatto che Shane Hatcher intenda fare una cosa simile.”

      Riley quasi scattò: “Perché no?”

      Invece, disse con cautela: “Kelsey, lei l’ha catturato. L’ha consegnato alla giustizia. Stava trascorrendo la sua vita in prigione, per causa sua. E lei potrebbe essere la ragione per cui è scappato.”

      Kelsey non disse niente per un momento, intenta ad osservare la pistola nella fondina di Riley.

      “Che pistola porta con sé, cara?” domandò.

      “Una Glock calibro quaranta” fu la risposta di Riley.

      “Bella!” Kelsey esclamò. “Posso darle un’occhiata?”

      Riley porse alla donna la sua pistola. Kelsey estrasse il caricatore ed esaminò l’arma. La toccò con l’apprezzamento di un’esperta.

      “Le Glock sono giunte un po’ troppo tardi perché le potessi usare” disse. “Comunque, mi piacciono. La struttura in polimero la rende gradevole al tatto, molto leggera, eccellente bilanciamento. Amo il suo aspetto.”

      Rimise il caricatore al suo posto, e restituì a Riley la pistola. Poi, andò ad una scrivania. Estrasse una sua pistola semiautomatica.

      “Misi ko Shane Hatcher con questa bambola” disse, sorridendo. Poi, porse la pistola a Riley, e tornò a sedersi. “Modello 459 Smith e Wesson. L’ho ferito e poi l’ho disarmato. Il mio partner voleva che lo uccidessi sul colpo, per vendicare il poliziotto che aveva ucciso. Ma non l’ho fatto. Gli dissi che, se avesse ucciso Hatcher, sarebbe stato semplicemente un corpo in più da seppellire.”

      Kelsey arrossì leggermente.

      “Povera me” disse. “Avrei voluto che quella storia non fosse mai venuta fuori. Vi prego, non raccontatela a nessuno.”

      Riley le restituì l’arma.

      “Ad ogni modo, potrei dire che ho incontrato l’approvazione di Hatcher” Kelsey proseguì. “Sapete, lui aveva un codice severo, persino per uno stupratore. Sapeva che io stavo soltanto facendo il mio lavoro. Penso che lo rispettasse. E ne fu anche grato. Ma non ha mai mostrato alcun interesse nei miei confronti. Gli ho persino scritto poche lettere, ma non mi ha mai risposto. Probabilmente, non ricorda nemmeno il mio nome. No, sono profondamente convinta che non intenda uccidermi.”

      Kelsey scrutò Riley con interesse.

      “Ma Riley — non le SPIACE se la chiamo così? — lei mi ha detto al telefono che gli ha fatto visita, che ha imparato a conoscerlo. Dev’essere un tipo piuttosto affascinante.”

      Riley credette di aver sentito una nota d’invidia nella voce della donna.

      Kelsey si alzò dalla sua sedia.

      “Ma lei ascolta il mio blaterale, quando ha un uomo da catturare! E chissà che cosa potrebbe fare, persino mentre parliamo. Ho delle informazioni che potrebbero aiutare. Venite, vi mostrerò tutto quello che ho.”

      Condusse Riley e Bill attraverso un corridoio, fino ad una porta che conduceva al seminterrato. I nervi di Riley entrarono in allarme.

      Per quale motivo in un seminterrato? pensò.

      Riley aveva sviluppato una lieve ma irrazionale fobia per i seminterrati da un po’ di tempo ormai: era un residuo della PTSD, contratta per essere stata tenuta prigioniera nell’intercapedine umida di Peterson, e, ancora più recentemente, per essere stata portata in un buio seminterrato da un altro killer.

      Tuttavia, mentre seguivano Kelsey in fondo alle scale, Riley non scorse alcunché di sinistro. Il seminterrato conduceva ad una confortevole sala giochi. In un angolo, c’era una zona ben illuminata adibita a studio, con una scrivania ricoperta da cartelline di manila, una bacheca con vecchie fotografie e ritagli di giornali, e un paio di cassetti d’archiviazione.

      “Ecco qui: tutto ciò che potreste voler sapere su ‘Shane la Catena’, sulla sua ascesa e sulla sua caduta” Kelsey disse. “Fate pure con comodo. Chiedete se avete bisogno di trovare un senso a tutto ciò.”

      Riley e Bill cominciarono a guardare tra le cartelle. Riley era sorpresa ed elettrizzata. Era un insieme affascinante eppur spaventoso d’informazioni, molte delle quali non erano mai state scannerizzate per il database dell’FBI. La cartella che stava esaminando era fitta di elementi apparentemente poco importanti, inclusi tovaglioli di un ristorante con note scritte e schizzi relativi al caso.

      Poi aprì un’altra cartella, contenente rapporti fotocopiati ed altri documenti. Riley era quasi divertita all’idea che Kelsey senz’altro non era stata incoraggiata a copiarli o tenerli. Gli originali erano certamente stati distrutti da tanto tempo ormai, dopo essere stati scannerizzati.

      Mentre Bill e Riley leggevano attentamente il materiale, Kelsey sottolineò: “Immagino che vi stiate chiedendo perché non lascio semplicemente perdere questo caso. A volte me lo chiedo anch’io.”

      Rifletté per

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