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e Gwen si guardò in giro aspettando che le nuvole di fumo si dissolvessero. Quando poté vedere meglio scorse dalla parte opposta della corte un bambino a terra, avvolto un una coperta. Accanto a lui giacevano i genitori, arsi vivi e ora morti. In qualche modo il neonato era riuscito a sopravvivere. Forse, pensò Gwen con estremo dolore e commiserazione, la madre era morta facendo schermo con il proprio corpo per proteggerlo dalle fiamme.

      Improvvisamente Kendrick, Reece, Godfrey e Steffen apparvero accanto a lei.

      “Mia signora, devi tornare indietro!” la implorò Steffen. “Morirai quassù!”

      “Il bambino,” disse Gwen. “Devo salvarlo.”

      “Non puoi,” insistette Godfrey. “Non ce la farai mai a tornare indietro viva!”

      A Gwen non importava più. La sua mente era completamente attratta e concentrata su quell’obiettivo e tutto ciò che vedeva e a cui riusciva a pensare era il bambino. Aveva estraniato tutto il resto del mondo e sapeva che aveva bisogno di salvarlo tanto quanto le serviva respirare.

      Gli altri cercarono di afferrarla, ma Gwen era determinata: si liberò dalla loro presa e si lanciò verso il bambino.

      Corse con tutte le sue forze, con il cuore che le martellava in petto mentre procedeva a grandi balzi tra le macerie, attraverso le nuvole nere che si levavano attorno a lei insieme ai resti delle fiamme. Il fumo nero faceva da schermo e fortunatamente per lei i draghi non riuscivano ancora a vederla. Attraversò il cortile di corsa, attraverso le nuvole, vedendo solo il bambino e udendo solo le sue grida.

      Continuò a correre, con i polmoni che le bruciavano, fino a che lo raggiunse. Si abbassò e lo sollevò da terra esaminando subito il suo volto, come se una parte di lei si aspettasse di vedere Guwayne.

      Fu delusa quando constatò che non era lui ma che si trattava di una bimba. Aveva bellissimi e grandi occhi blu pieni di lacrime, piangeva e tremava, le mani serrate in stretti pugni. Eppure Gwen era comunque felice di poter stringere un bambino, si sentiva come se in qualche modo stesse pagando ammenda per aver mandato via Guwayne. E poteva già vedere che, pur avendole dato solo una fugace occhiata negli occhi luccicanti, quella bambina era bellissima.

      Le nuvole di fumo si sollevarono e Gwendolyn improvvisamente si ritrovò esposta nell’estremità opposta del cortile, con una bambina che si dimenava tra le braccia. Sollevò lo sguardo e vide, a neanche cento metri da lei, una decina di furiosi draghi con occhi enormi e scintillanti che si voltavano e la guardavano. Posero il loro sguardo su di lei con gioia e rabbia allo stesso tempo e Gwen capì subito che si stavano già preparando a ucciderla.

      I draghi si lanciarono in aria, sbattendo le enormi ali, così grandi da quella distanza, dirigendosi verso di lei. Gwen si preparò, rimanendo ferma lì e stringendo la bambina, sapendo che non avrebbe mai fatto in tempo a tornare al rifugio.

      Improvvisamente si udì il suono di spade che venivano sguainate e Gwen si voltò vedendo i suoi fratelli – Reece, Kendrick e Godfrey – insieme a Steffen, Brandt, Atme e gli altri membri della Legione, accanto a lei con spade e scudi in mano, tutti pronti a difenderla. Gwen fu estremamente commossa e spronata dal loro coraggio.

      I draghi si tuffarono contro di loro, aprendo le enormi fauci e tutti si prepararono all’inevitabile ondata di fuoco che li avrebbe uccisi. Gwen chiuse gli occhi e vide suo padre, vide tutti coloro che erano stati importanti per lei nella sua vita, preparandosi a incontrarli di nuovo.

      Improvvisamente si udì un grido terrificante e Gwen rabbrividì, convinta che fosse il primo attacco.

      Ma poi si rese conto che era un verso diverso, un verso che conosceva: il verso di una vecchia amica.

      Gwen sollevò gli occhi al cielo alle sue spalle e fu sopraffatta dalla sorpresa quando scorse un drago solitario che volava nel cielo, lanciandosi in battaglia contro quelli che le si stavano avvicinando. E fu ancora più felice di vedere, sul dorso di quel drago, l’uomo che amava più di ogni altra cosa al mondo: Thorgrin.

      Era tornato.

      CAPITOLO SEI

      Thor sedeva in groppa a Micople e sfrecciava con lei tra le nuvole, così veloce da fare fatica a respirare, dirigendosi verso l’esercito di draghi, pronti a combattere. Il bracciale di Thor pulsava al suo polso e lui si sentiva come se suo madre gli avesse infuso un nuovo potere difficile da comprendere: era come se ci fosse un limitato senso di spazio e tempo. Thor aveva appena fatto a tempo a pensare di tornare indietro, di levarsi in volo dalle coste dell’Isola dei Druidi, che già si veniva improvvisamente a trovare al di sopra delle Isole Superiori, diretto verso quel covo di draghi. Gli sembrava di essere stato trasportato lì per magia, come se avessero viaggiato tramite un vuoto spazio-temporale, come se sua madre li avesse lanciati lì, avesse loro permesso di raggiungere in qualche modo l’impossibile, di volare più veloci che mai. Era come se sua madre l’avesse dotato di incredibile velocità.

      Mentre strizzava gli occhi nel mezzo della coltre di nubi, gli apparvero gli immensi draghi che accerchiavano le Isole Superiori, tuffandosi verso il basso e preparandosi a fare fuoco. Thor guardò in basso e il cuore gli sprofondò nel petto vedendo che l’isola era già ricoperta dalle fiamme e tutto era stato raso al suolo. Si chiese con timore se qualcuno fosse riuscito a sopravvivere, ma non vedeva come avessero potuto. Era arrivato troppo tardi?

      Ma quando Micople si abbassò avvicinandosi sempre più a terra, Thor strizzò gli occhi e vide una singola persona la cui vista lo attirò come un magnete non appena la riconobbe in quella confusione: Gwendolyn.

      Era lì, la sua futura moglie, coraggiosamente in piedi nel mezzo del cortile, temeraria, stringendo un bambino al petto, circondata da tutti quelli che Thor amava, tutti pronti a proteggerla sollevando i solo scudi verso il cielo mentre i draghi si lanciavano contro di loro attaccandoli. Thor guardò con orrore i draghi che aprivano le loro enormi fauci e si preparavano a lanciare fiamme che – lo sapeva bene – in un solo momento avrebbero eliminato completamente Gwendolyn e tutti quelli cui voleva bene.

      “SCENDI!” gridò Thor a Micople.

      Micople non aveva bisogno di essere incoraggiata: volò più veloce di quanto Thor potesse immaginare, così veloce da non riuscire quasi a respirare, e lui si tenne con tutte le forze rischiando quasi di cadere. In pochi momenti raggiunsero i tre draghi che stavano per attaccare Gwendolyn e con un grande ruggito e la bocca aperta, gli artigli protesi in avanti, Micople attaccò le ignare bestie.

      Andò a sbattere contro i tre draghi trasportata dallo slancio acquistato nella picchiata, atterrando sui loro dorsi, artigliandone uno, mordendone un altro e colpendo il terzo con le ali. Li fermò giusto un attimo prima che lanciassero le fiamme e li spinse con il muso al suolo.

      Andarono tutti a sbattere contro terra contemporaneamente e si levò un grosso polverone mentre Micople spingeva i loro musi sottoterra fino a incastrarli così profondamente da lasciare in superficie solo i loro artigli. Quando giunsero a terra Thor si voltò e vide l’espressione scioccata di Gwendolyn, ringraziando Dio per averla salvata giusto in tempo.

      Si levò un forte ruggito e Thor riportò lo sguardo al cielo vedendo un gruppo di draghi alla carica in veloce avvicinamento.

      Micople si stava già voltando per volare verso l’alto, lanciandosi contro i draghi senza alcuna paura. Thor era senza armi ma si sentiva diverso rispetto a tutte le altre volte che era entrato in battaglia: per la prima volta nella sua vita sentiva di non avere bisogno di armi. Sapeva di poter chiamare a raccolta e contare sui poteri che c’erano dentro di lui. La sua vera forza. Il potere di cui sua madre lo aveva dotato.

      Mentre si avvicinavano Thor sollevò il polso con il bracciale dorato e una luce venne immediatamente proiettata dal diamante nero al centro. La luce gialla avvolse i draghi più vicini a loro, al centro del gruppo, e li spinse indietro facendoli volare in aria, verso l’alto, fino a sbattere l’uno contro l’altro.

      Micople, infuriata, determinata a scatenare l’inferno, si tuffò temerariamente contro il gruppo di draghi, duellando e artigliando facendosi strada, affondando i denti nel collo di uno, spingendo un altro. Ne respinse molti nella sua avanzata. Rimase aggrappata a uno di essi fino a che questo si afflosciò, poi lo lasciò cadere. Il drago precipitò a terra come un enorme macigno

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