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anello di muscoli e inserì un altro dito. Bruciava.

      Aaron era sicuro di stare sanguinando. Si schiacciò contro il letto e sussultò quando l'uccello premette contro il materasso. Aaron sentiva le dita di Ralph muoversi dentro e fuori. Le sentiva premere, allargarlo, torcerlo. Un dito si piegò e toccò qualcosa che gli fece vedere le stelle. Iniziò a piangere, ogni parvenza di dignità ormai sparita.

      Ralph colpì ripetutamente quel punto, poi aggiunse un terzo dito. Aaron stava tremando ovunque. Aveva caldo. Ogni ondata di piacere provocata da quelle dita era subito seguita da una di nausea. La sua bocca si riempì di saliva e sale. Stava per vomitare. Stava per essere inculato lì, legato a un letto, nel suo stesso vomito, e sarebbe venuto come una vera puttana. E tutto sarebbe stato caricato online, in modo che migliaia di persone potessero vederlo. Aaron Beaumont è stato scopato nel culo e l'ha adorato. Aaron Beaumont è una puttana. Aaron Beaumont fa schifo.

      Le dita di Ralph si muovevano ancora dentro e fuori dalla sua apertura. Gli strisciavano dentro e lui riusciva a sentire ogni dannato tocco. Tre, poi due, poi tre, tre, due, prostata, indietreggiano, due, tre, prostata, prostata, prostata.

      Aaron voltò la testa e vomitò.

      Ralph ridacchiò. Farley continuava a registrare, o forse no. Forse a quel punto si stava soltanto divertendo.

      “Pietà,” sussurrò Aaron. La puzza di sudore, vomito e sesso era forte. Cercò di allontanarsi dal macello che aveva combinato, ma non riuscì a sfuggire a quell'odore, non riuscì a sfuggire a quelle voci.

      “Pietà,” singhiozzò.

      “Povero ragazzo,” rispose Ralph. “Non è la mia safe word.”

      Aaron non riuscì a capire se urlò ancora. Sentì una risata. Venne colpito con forza sulla schiena. Udì qualcosa sbattere, poi un forte scoppio. Sentì qualcuno gridare. Ralph ritrasse le dita.

      Lo stomaco di Aaron si rivoltò ma strinse i denti. Girò la testa in direzione dello scoppio. Era arrivato dalla parte opposta della stanza, quella vicino alla porta. Provò a togliersi la benda dagli occhi ma non ci riuscì.

      All'improvviso calò il silenzio.

      “Spostati da lui,” ordinò una voce profonda.

      “Hai distrutto la telecamera,” protestò Farley.

      Ci fu un altro scoppio. Il peso sulla schiena di Aaron sparì di colpo.

      “Tutti fuori,” disse la voce.

      Aaron udì dei passi. Pochi secondi dopo la benda venne tolta di mezzo e Aaron si ritrovò a fissare dei familiari occhi azzurro ghiaccio. Il Dom di prima adesso era vestito e aveva un lungo cappotto gettato su una spalla.

      Il Dom non perse tempo per fargli le classiche domande – “Stai bene?” “Sei ferito?” –, piuttosto lavorò rapidamente per slegarlo. Prima le mani, poi la barra divaricatrice. Infine gli liberò l'uccello. Aaron non osò guardare in basso.

      “Torneranno tra poco,” disse il Dom. “Dobbiamo sbrigarci.”

      Aaron annuì, sbattendo le palpebre davanti alle luci troppo intense della stanza. Si strinse lo stomaco con le braccia.

      “Aggrappati a me,” ordinò il Dom con voce tuttavia gentile. “Ti aiuto io ad alzarti.”

      Aaron fece come gli era stato detto. Le sue ginocchia tremavano come impazzite ma le costrinse a collaborare.

      Il Dom si tolse il cappotto dalla spalla e lo avvolse intorno ad Aaron. Infilò la pistola nella cintura dei pantaloni neri, poi, con un movimento fluido, sollevò Aaron tra le braccia.

      Anche col peso di Aaron, si mosse veloce. Si diresse a passo svelto e sicuro verso la porta. Lasciò andare il ragazzo giusto il tempo di raccogliere la borsa con i soldi dall'angolo in cui era stata appoggiata e i vestiti di Aaron. Gli mise tutto tra le mani, poi lo afferrò saldamente e lo riprese tra le braccia.

      Alcune voci echeggiarono nel corridoio dietro di loro. Il Dom si mise a correre e Aaron si aggrappò con forza alle sue spalle. Aprì la porta d'ingresso con un calcio, uscendo nell'aria fresca della notte.

      “Qual è la tua auto?”

      “Quella nera. Laggiù,” rispose Aaron. Indicò una macchina parcheggiata poco distante.

      “Le chiavi?”

      Aaron frugò nella pila di vestiti che aveva in grembo e recuperò le chiavi. Il Dom lo appoggiò con gentilezza sull'asfalto e Aaron si strinse i vestiti al petto.

      L'uomo gli aprì la portiera, poi si affrettò dal lato del guidatore e si mise al volante. Aaron non aveva neppure le forze necessarie per protestare.

      Farley era già davanti all'ingresso dell'edificio, affiancato da Ralph e Dio solo sapeva chi altro.

      Il motore si accese ruggendo e il Dom fece retromarcia premendo con forza sull'acceleratore. Procedettero all'indietro fino alla fine del vialetto, raggiungendo la strada principale in pochi secondi. Il Dom mise subito la marcia senza fermarsi neanche per un secondo.

      Ce l'avevano fatta. Aaron si voltò indietro, osservando la facciata di quel luogo terribile sparire dietro gli alberi. Si lasciò sprofondare nel sedile.

      Lanciò un'occhiata all'uomo che in quel momento stava guidando la sua auto, mentre sentiva l'adrenalina scorrergli con forza nelle vene. “Non so neanche come ti chiami,” mormorò.

      “Silas.”

      Aaron annuì. “Grazie, Silas. Sono in debito con te.”

      Capitolo Tre

      Al Sicuro

      “Dove vivi?” chiese Silas.

      Aaron si premette le mani sugli occhi. “Vai a casa tua. Tornerò alla mia da lì.”

      “C'è qualcuno che può prendersi cura di te?”

      Aaron deglutì a fatica. Robert doveva essere a casa, a meno che non fosse rimasto ancora al bar. Se davvero c'era un Dio in paradiso, lo avrebbe fatto rimanere ancora a lungo fuori casa per impedirgli di assistere alla caduta di Aaron.

      “Lo prendo come un no,” disse Silas.

      Aaron doveva aver impiegato troppo tempo per rispondere.

      “Mio padre,” disse. “Vivo con mio padre.”

      “È sicuro?” domandò Silas. “Si prenderà cura di te?”

      “Non preoccuparti.” Si spostò sul sedile e il culo gli inviò una fitta. Il fantasma della mano di Ralph gli toccò la carne martoriata. “Accosta,” farfugliò.

      “Che succede?”

      Aaron si afferrò lo stomaco. “Accosta e basta,” ringhiò. Silas rallentò e fermò l'auto sul ciglio della strada.

      Aaron spalancò di colpo la portiera e si sporse fuori. Aveva voglia di vomitare ma non c'era più niente da buttare fuori. Rimase chinato in avanti, ansimando in cerca d'aria.

      Silas gli toccò una spalla e Aaron sussultò così forte che quasi cadde a terra.

      “Aaron,” mormorò piano l'uomo.

      “Non toccarmi,” ansimò Aaron. Sentiva le mani di Ralph ovunque sul proprio corpo.

       'Bravo ragazzo.'

      Aaron scese barcollando dall'auto, una mano ancora stretta intorno alla portiera. L'erba fresca e bagnata di rugiada gli accarezzò le ginocchia. Sentì la portiera dal lato del guidatore aprirsi e poi richiudersi.

      Silas si inginocchiò in modo da avere gli occhi alla stessa altezza dei suoi. “Penso che dovresti andare al pronto soccorso,” mormorò.

      Il pronto soccorso. Non era un'emergenza. Non era stato violentato. Si stava solo comportando come un bambino. Aveva soltanto bisogno di calmarsi. Aveva soltanto bisogno di

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