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in un tono paterno che era troppo dura con il padrone Ian, che doveva imparare a perdonarlo per le sue passate trasgressioni e come Ian si fidasse di lui riguardo al modo di provare ad essere un marito migliore.

      Erano scomparsi troppi gattini perché lei non avesse sospetti, nonostante quello che diceva Fife. Si accucciò, aspettando che il quinto micetto uscisse dalla cesta. Niente. Prese una lanterna dalla parete e diresse la luce verso l'oscurità crescente della notte che stava scendendo, nella zona di lavoro di Fife. La cesta era vuota. Quattro gattini girovagavano intorno a lei: quattro su otto. Dov'era il quinto?

      Mise a posto la lanterna e fece due giri intorno all'area davanti ai box, prima di entrare in quello della sua giumenta, Heather. Afferrò la sella e la sollevò sul dorso di Heather.

      “Andate da qualche parte?” La voce di Ian la fece sobbalzare e sentì dei brividi freddi danzarle lungo la schiena.

      Strinse le labbra e si concentrò nello stringere i lacci di cuoio, sforzandosi di sentire quello che faceva Ian al di sopra del tambureggiare incessante del proprio cuore. Spostandosi sull'altro lato del cavallo, pestò con il piede qualcosa di morbido e balzò indietro con un grido, pensando di aver calpestato un topo. Non si mosse niente. Con la punta dello stivale, toccò la paglia che aveva calpestato. Non ci fu nessun movimento, quindi si mise in ginocchio, allungò la mano tremante e spostò la paglia. Il quinto gattino.

      “Oh, mio Dio!” disse Ian in un tono triste, ma quando Davina lo vide sbirciare nel box, aveva un sorriso sulle labbra. “Non un altro?” Nonostante il terrore, lei si meravigliò di come Ian riuscisse a dare un tono affettuoso o preoccupato alla sua voce, pur mostrando un ghigno così minaccioso sul volto. Le si rizzarono i peli sulla nuca.

      “Perché?” piagnucolò. “Perché lo fai?”

      Lui si diede un'occhiata oltre la spalla e sorrise. “Credulona fino alla fine,” sussurrò facendole l'occhiolino.

      Davina afferrò uno straccio appeso a un chiodo in fondo al box e raccolse il corpicino freddo. Singhiozzava, quando mostrò a Ian il gattino. “Hai così tanta rabbia dentro di te, che devi sfogarla sugli animali innocenti, visto che non puoi sfogarla su di me?”

      “Cosa stai dicendo, Davina?” Ian fece un passo indietro, verso l'uscita delle scuderie. “Stai dicendo che io...?” Scosse la testa, fermandosi appena fuori dell'ingresso; i suoi occhi colmi di tristezza riflettevano la luce tremolante della torcia, aumentando la sua aura demonica. “So di averti fatto torto, ma non ho fatto tutto quello che potevo, per dimostrarti che sono cambiato? Cosa ancora...?”

      “Eccomi qui, padron Ian,” disse Fife entrando nelle scuderie. “Cosa vi ha sconvolto così, ragazzo?”

      “E' questo che pensi di me, Davina?” disse Ian vinto dal dolore.

      “Guarda, Fife! Un altro gattino!” Davina singhiozzava senza riuscire a controllarsi, temendo come sarebbe andata a finire. “E' come ho detto io! Mi ha vista quando ho trovato il gattino e non ha provato rimorso!”

      Fife la fissò a bocca aperta, poi guardò Ian dispiaciuto. Davina li superò di corsa, tornò nel retro delle scuderie e posò il gattino su un piccolo mucchio di paglia. Si lavò via il sangue dalle mani, piangendo, e si spruzzò l'acqua piovana del barile sul viso, per cercare di schiarirsi le idee. Appoggiando le mani sul bordo del barile, ansimò, cercando di pensare a come affrontare tutto ciò. Non può essere vero! Perché sta accadendo?

      Un segno marrone incrostato sul bordo del barile dell'acqua sembrava l'impronta parziale di una mano. Un'impronta insanguinata.

      Ian la afferrò per le spalle e la fece voltare così rapidamente che le girò la testa. Bloccandola contro il muro posteriore della scuderia, le parlò abbastanza ad alta voce perché Fife potesse sentire, in un tono così colmo di affetto e sincero, che lei quasi credette alle sue parole... se non fosse stato per la maschera minacciosa sul volto. “Tu sei delicata come quei gattini. Odierei se ti accadesse qualcosa del genere. Mi schiaccerebbe.” Le strinse più forte le spalle, per sottolineare la parola “schiacciare.”

      Il rumore di passi che si allontanavano svanì attraverso le imposte alla sinistra di Davina, sopra il barile dell'acqua, e Ian aspettò che Fife fosse fuori della portata d'orecchio.

      “Credulona fino alla fine, Davina,” la schernì. “Mi farò accettare da tutti nella vostra famiglia e tu sarai quella costretta alle restrizioni. Forse ti crederanno persino pazza, quando avrò finito il mio lavoro.”

      Sentendo il mondo chiudersi intorno a sé, Davina spinse via Ian e si avviò sconvolta verso il castello. Varcò la porta della cucina con irruenza, sfrecciò lungo il corridoio che portava al salotto e si fermò di colpo sulla soglia. La sua famiglia era seduta nella stanza, con gli occhi spalancati e uno sguardo interrogativo. Fife era in piedi alla sua sinistra, accanto a suo padre: stava schiacciando il cappello tra le mani nervose ed aveva un'espressione colpevole dipinta in viso.

      “Cosa hai raccontato, Fife?” Davina si appoggiò i polpastrelli freddi sulle guance bagnate e arrossate.

      Suo padre incrociò le braccia. “Cos'è questa storia di Ian che uccide i gattini?”

      Davina corse ad afferrare l'avambraccio del padre. “Padre, sta sfogando la rabbia su quei poveri animali indifesi, invece che su di me.” Non riusciva a controllare i singhiozzi, mentre supplicava.

      “Su, padrona Davina,” la rimproverò gentilmente Fife. “Padron Ian ha detto che non potrebbe fare del male a quei gattini, più di quanto potrebbe farne a voi. Avete semplicemente male interpretato quello che ha detto.”

      “Grazie per avermi difeso, Fife, ma penso che sia inutile tentare ancora.” Ian era in piedi sulla soglia e il dispiacere gli piegava gli angoli della bocca verso il basso. “Credo che Davina abbia ragione, Parlan. Dovremmo sciogliere questa unione. Non mi perdonerà mai, per quanto io possa cercare di cambiare.”

      “Perché stai facendo tutto questo!” gli gridò in faccia Davina.

      “Ora mi vuoi? A che gioco stai giocando, Davina?” Ian sollevò le braccia frustrato e si spostò al centro della stanza per perorare la propria causa, lasciando Davina indietro, sulla soglia.

      “No, non è quello che intendo dire e lo sai! Perché stai cercando di farmi considerare pazza dalla mia famiglia?”

      Ian abbassò la mascella, come se fosse stato schiaffeggiato. Annuì, chiudendo la bocca e poi gli occhi. “Ho provato, Parlan.” Guardò dispiaciuto il padre di Davina, mentre la madre singhiozzava. “Amo vostra figlia ed ho sperato di riuscire a far funzionare il matrimonio, ma è evidente che lei non mi perdonerà.” Poi disse, rivolgendosi a suo padre Munro: “Andrò in camera a preparare il baule. Sarà meglio partire domani.” Quindi si voltò verso Davina, le si avvicinò volgendo la schiena alla stanza e le rivolse quel sorriso privato e malvagio che la voce non tradiva mai. “Addio, Davina,” sussurrò e se ne andò. Munro lo seguì, guardandola con cipiglio mentre usciva.

      Davina era scioccata per gli sguardi accusatori della sua famiglia. Parlan sospirò e si avvicinò al camino, rivolgendole la schiena. Lilias singhiozzava nel fazzoletto che aveva tirato fuori dalla manica. Kehr si fece avanti, con le sopracciglia piegate verso il basso. “Davina, è tempo di lasciar perdere l'amante zingaro dei tuoi sogni. Nessun uomo, né tanto meno Ian, sarà mai capace di eguagliare questa fantasia. E' giunto il momento di crescere.”

      Parlan si voltò con delle espressioni mutevoli che alternavano la confusione e la rabbia. Davina quasi soffocò, per il groppo che le si era formato in gola. Persino il suo amato Kehr la tradiva, la considerava pazza! Scappò dalla stanza e ritornò nelle scuderie. Tirò fuori Heather dal box, montò il cavallo e sfrecciò attraverso i terreni e fuori dal cancello anteriore, lontano da quella follia. Le sue guance, bagnate dalle lacrime, divennero fredde quando il vento la colpì, arruffandole i capelli. Quando raggiunse una radura dove di solito trovava la solitudine, tirò le redini di Heather e saltò giù dal cavallo, lasciandosi cadere sul terreno ricoperto dalle foglie dell'autunno precedente e bagnato dalla rugiada della sera.

      Dopo essersi messa in ginocchio nel

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