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quindi ce ne siamo sbarazzati” disse un terzo, aggiungendo “Ma ci siamo divertiti a rieducarli”. Mostrò agli altri il machete sporco di sangue con un ghigno in volto.

      I dettagli raccapriccianti che si scambiarono i ragazzi proseguì per poco; Ravuth li udì poi biascicare e ridacchiare quando il forte whisky sortì il proprio effetto sui giovani.

      Trenta minuti più tardi i soldati barcollarono fuori dal café e salirono sul mezzo che partì con una sgommata.

      Ravuth uscì da sotto al tavolo. Le luci erano accese, quindi si guardò attorno nel café ora silenzioso. Si mise in cerca di informazioni circa Koh Kong e Choeung Ek. Non sapeva nulla di nessuno dei due luoghi, e poiché non sapeva né leggere né scrivere, ripose nella scatola i volantini che trovò nel locale.

      Ravuth trascorse la nottata al café, e all’alba del giorno successivo se ne andò da Koh Kong, diretto verso la giungla, dove avrebbe atteso la propria famiglia. Non si rese conto di essere seguito fino a quando approcciò una strada all’esterno di Koh Kong e una voce dietro di lui gridò “Tu…Fermo lì!”

      Ravuth si voltò, e una giovane ragazza soldato gli puntò contro una pistola automatica che cercò di bilanciare sul manubrio della bicicletta. “Vieni qui!” Sbottò lei.

      Ravuth avanzò verso la ragazza dal viso sudicio, che lo guardò. Nonostante sembrasse più giovane di Ravuth, a quest’ultimo vennero i brividi lungo la schiena quando la guardò negli occhi.

      “Perché non sei con gli altri? Dov’è il tuo villaggio?” Scattò lei.

      Ravuth tremò quando giunse le mani e implorò “Mi dispiace molto, mi hanno lasciato indietro quando mi sono fermato per riposare”.

      La ragazzina rivolse un’occhiataccia a Ravuth. “Seguimi” ordinò, scendendo dalla bicicletta per invertirne il senso di marcia.

      Ravuth era terrorizzato quando vide altri quattro Khmer Rossi avvicinarsi in bicicletta. Andò nel panico, afferrò il machete che aveva sistemato alla cintura e lo scagliò con tutta la propria forza al braccio della ragazza. La ragazza non riuscì a reagire per proteggersi dato che stava faticando a reggere il manubrio della bicicletta. Strillò dal dolore quando la lama le affondò nella carne e raggiunse l’osso. Fece cadere la pistola e Ravuth la spinse via dalla bicicletta, si sistemò frettolosamente il machete alla cinta, salì sulla velocipede e accelerò lungo i terreni induriti delle risaie. Si diresse verso i Monti Cardamomi e verso la sicurezza della giungla, seguito dalle pallottole che lo sfiorarono mentre pedalava per salvarsi la vita.

      Pedalò per ciò che gli sembrò un’eternità, fino a quando non udì più i colpi di pistola. Ravuth si fermò all’esterno della giungla, celò la bicicletta nella vegetazione e si nascose dietro a un gruppo di alberi. Sbirciò per controllare se i suoi inseguitori fossero nei paraggi. Ravuth vide quattro puntini in lontananza, diretti verso di lui. Aveva un po’ di vantaggio, ma sapeva di dover trovare riparo nella densa vegetazione. Ravuth corse attraverso la giungla, trovando brevi percorsi che seguì fino a quando raggiunse il terreno accidentato e impraticabile.

      ‘Non mi troveranno mai’ pensò, correndo attraverso il denso sottobosco.

      Ravuth era esausto, aveva attraversato di corsa per tre ore quella sezione della giungla a lui non familiare. Raggiunse una radura dove le chiome degli alberi erano talmente fitte da schermare la luce solare, facendone filtrare appena. Si nascose lì, sapendo di essere al sicuro; non vide i suoi inseguitori, quindi si sedette ai piedi di un gigante Dipterocarpo, stando allerta.

      Ravuth restò lì per due giorni, sfamandosi grazie all’abbondante vegetazione circostante. Si rese conto di essere sfuggito ai propri inseguitori, quindi si mise in cerca del proprio villaggio.

      Ravuth si sentiva al sicuro nella giungla, e camminò tutta notte alla luce della luna. Si riposava durante le giornate cocenti e umide, cacciando e cercando il cibo dal tardo pomeriggio fino al tramonto.

      Era perso senza una direzione da seguire, a differenza dell’area nei pressi del proprio villaggio, di cui conosceva la maggior parte dei sentieri e della vegetazione. All’alba del decimo giorno fece capolino da dietro una fila di alberi, trovandosi in un terreno aperto. In una conca poco profonda era stato realizzato un terrapieno, circondato da una rete metallica.

      Vide diverse file di tende da bivacco, insieme ad alcune tende da campo di tipo militare di diverse dimensioni. Ravuth vide delle persone aggirarsi dietro alla recinzione; alcuni gruppi stavano cucinando grazie a dei focolari. Ravuth captò i profumi tipici del cibo cambogiano, e gli venne l’acquolina in bocca. ‘Dev’essere uno dei posti di cui parlavano gli Khmer Rossi. Mi chiedo se la mia famiglia sia qui’ pensò. Si aggirò furtivamente attorno alla recinzione metallica, osservando con attenzione i presenti nel campo fino a quando raggiunse il cancello anteriore. Ravuth si sentiva esposto all’aperto, quindi si nascose in un angolo buio, mettendosi in osservazione.

      Ravuth vide diversi veicoli militari e soldati andare e venire durante il giorno. Notò che il personale militare non era composto da Khmer Rossi. Erano adulti, e indossavano divise mimetiche. Ravuth fece avanti e indietro lungo il perimetro della recinzione, osservando le dinamiche del campo. Occasionalmente si arrampicò per avere una visuale migliore dalla giungla, ma non vide nessuno dei membri della propria famiglia, né dei compaesani. Scese la notte, quindi Ravuth approcciò la recinzione, trovò un punto sollevato, e con le mani scavò un piccolo fosso sotto la rete metallica. Si spinse attraverso il passaggio, e strisciò verso la tenda più vicina. Ravuth si rannicchiò, guardò avanti, cercò d’individuare un’area adeguata e...

      “Chi sei tu?” Disse un uomo in un linguaggio con cui Ravuth non era familiare “Alzati e voltati”.

      Una forte luce dietro Ravuth lo confuse. Era terrorizzato, e non comprendeva le istruzioni impartite dell’uomo, quindi si alzò istintivamente in piedi, accecato dalla luce.

      *Vedi Appendice

      -2- Il Fenomeno della Pasticceria

      Il Maestro delle Cerimonie si schiarì la voce e annunciò “Il premio per il Pasticcere dell’Anno va a…” facendo una pausa a effetto prima di guardare il nome scritto sul retro del biglietto dorato. “Per il terzo anno consecutivo” disse quando si rivolse al pubblico con un sorriso in viso. “Il pâtissier che rappresenta l’Hotel Avalon” si interruppe nuovamente prima di annunciare “Il Signor Ben Bakewell!” Poi l’applauso dell’uomo si unì a quello del pubblico riunito nella sala conferenze del lussuoso Park Lane Hilton. Molti esultarono, mentre alcuni mormorarono qualcosa mentre un uomo in un abito fuori misura si diresse tranquillamente verso il palco.

      “Ben fatto, Cake” disse il presentatore quando il pasticcere salì sul palco e gli strinse la mano.

      Cake aveva vinto quel premio prestigioso per tre anni consecutivi, ma era ancora imbarazzato nel reggere l’effige di cristallo. Il suo discorso di ringraziamento riverberò quello degli anni precedenti. “Grazie” mormorò nel microfono, arrossì, scorreggiò, scese dal palco e si affrettò al tavolo dove sedevano i suoi colleghi.

      Con gran sollievo di Cake, la cerimonia di premiazione era quasi finita. Diversi critici culinari sul palco discutevano dei vari piatti che si erano aggiudicati dei premi. Cake detestava eventi simili, e considerava i critici culinari tanto utili quanto una scorreggia in un colino, incapaci di bollire un uovo e per nulla tagliati per il settore. Riceveva però sempre ottime recensioni da parte loro. Una di esse descriveva il suo *Avalon Nest Egg un’esplosione di sapori impeccabili che provocavano orgasmi orali, e descriveva come ogni pietanza che creava Cake fosse perfetta. A ogni modo Cake le riteneva sempre nella media ed era dell’opinione che mancasse qualcosa ai propri piatti, ma non era in grado di capire di che cosa si trattasse.

      Cake rincasò attorno alle 11, dopo aver percorso un lungo tragitto attraverso la capitale. Jade aveva già fatto ritorno dalla gita di cinque giorni a Lincoln. Cake era entusiasta di vederla, e voleva scoprire come stesse procedendo la loro pasticceria. Si abbandonò su una poltrona in salotto mentre Jade gli versò un calice di vino,

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