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nella Sala delle prove.

      – Hai una famiglia? Figli? – gli chiese Carolina per farlo rilassare.

      – Due divorzi, quattro figli – rispose l’uomo senza guardarla.

      – Sei molto coraggioso, poca gente osa essere ProHu.

      – Lo faccio per i miei figli.

      – Vuole essere addormentato durante il processo? L’avverto che questo potrebbe avere degli effetti negativi – lo informò l’infermiera.

      – Mi ha chiesto se voglio morire addormentato?

      – Non dire così, non morirai.

      – A essere sincero, per me fa lo stesso. Chissà chi avrà creato questo siero miracoloso che mi inietteranno?

      – Questo siero miracoloso come lo chiama lei è possibile che eviti che migliaia di persone muoiano e che altrettante vengano contagiate e finiscano allo stesso modo. E l’ho creato io – disse Carolina arrabbiata.

      – Mi dispiace – si scusò l’uomo, guardando in faccia Carolina per la prima volta —. Sei molto giovane, non sapevo che le persone che studiano queste cose fossero così giovani. Sei anche molto bella.

      Carolina arrossì di fronte al complimento dell’uomo.

      – Farà male?

      – Non lo so.

      L’infermiera entrò nel modulo di isolamento dove si trovava il ProHu. Con la sua tuta di isolamento si avvicinò a lui, gli iniettò il virus e subito dopo gli iniettò l’antigene.

      – Rimarrò qui un po’ a osservarlo. Se ho bisogno di aiuto, chiamerò uno dei medici.

      – Adesso non resta che aspettare – disse Carolina all’infermiera.

      6. Ti sei perso, ma io ti ho trovato

      Samuel si svegliò alle quattro del mattino piangendo per colpa di un incubo. Trovò Monica al piano di sotto seduta sul divano, con un’espressione addolorata. Monica aveva passato tutta la notte a svegliare tutti i suoi conoscenti e vicini per chiedergli se sapevano dov’era suo figlio Oscar. Nessuno sapeva niente.

      Monica rimase seduta sul divano, con Samuel che dormiva con la sua testolina sulle sue gambe, ed era addolorata per la discussione con suo figlio. L’unica persona che non aveva chiamato era il padre di suo figlio, ma escluse subito che Oscar potesse essere con lui. Non sapeva dove viveva e non si era portato dietro il cellulare, quindi in pratica era impossibile.

      La sveglia iniziò a suonare alle sette del mattino. Quel giorno iniziava a lavorare di nuovo. Monica si alzò dal letto, aveva dormito solo pochi minuti. Al suo fianco stava dormendo suo figlio minore. Dopo essersi vestita, lo svegliò.

      – Svegliati, cucciolo – Samuel emise un lamento —. Svegliati o ti faccio il solletico.

      – No! – protestò il piccolo.

      – Preferisci Maribel o Rocío?

      – Nessuna delle due.

      – Devi scegliere, la mamma deve lavorare.

      – Non posso rimanere con il mio fratellino?

      – Il tuo fratellino non c’è, scegli – lo sollecitò Monica mentre si pettinava.

      – Rimango solo.

      – Non è possibile.

      – Vengo con te.

      – Non è possibile neanche questo.

      – Cavolo, mamma, è che Maribel e Rocío non mi piacciono.

      Trentadue minuti dopo, Monica arrivava a casa del suo cliente. La casa era una grande villa in periferia, circondata da alberi rigogliosi.

      Un uomo imbronciato, con un vestito completamente bianco e con un fazzoletto viola nella tasca della sua giacca, che teneva in mano un bicchiere di plastica pieno di caffè, aprì la porta posteriore della limousine che guidava Monica.

      – È consapevole del fatto che è arrivata due minuti più tardi? Spero che non si ripetano più dei ritardi, sennò dovrò licenziarla – l’uomo fissò il sedile di copilota —. Chi è questo bambino? – Monica arrossì.

      – Mi dispiace, è mio figlio, non sapevo dove lasciarlo e… – si scusò Monica.

      – Già, sì, si risparmi le sue scuse, non mi interessano e non mi piacciono le persone che ne hanno sempre una pronta, preferisco le persone decise. Non mi importa che abbia portato suo figlio, mi piacciono i bambini. Ma perché non parte?

      – Mi dispiace, non so dove lavora. Potrebbe dirmi dove andare?

      – Non le hanno dato l’indirizzo?

      – No.

      L’uomo sospirò.

      – D’accordo, stavolta le dirò dove andare. E, per favore, non si scusi più e non mi dia del lei, non sono così anziano.

      L’uomo aveva un aspetto giovane, nonostante fosse pieno di capelli bianchi. Monica calcolò che doveva avere all’incirca quaranta anni.

      La donna di Elche mise in moto la limousine seguendo le indicazioni del suo capo. Era agitata, non voleva rovinare il suo nuovo lavoro dal primo giorno. Il tragitto durò appena dieci minuti. Se fosse andata per una strada automatica, ci avrebbe messo più di cinquanta minuti. Monica iniziò a capire il senso dell’utilizzo delle strade antiche: evitare ingorghi e arrivare prima alla meta.

      – Sono piacevolmente sorpreso di lei – l’uomo regalò un sorriso a Monica per la prima volta —. Quanti anni hai? – chiese a Samuel.

      Samuel alzò la mano nascondendo il pollice e indicando un quattro. L’uomo gli si avvicinò e gli accarezzò la testolina.

      – Ci vediamo all’una, non arrivi in ritardo stavolta – disse rivolgendosi di nuovo a Monica, che fece sì con la testa.

      L’uomo si mise degli occhiali da sole abbastanza moderni e scese dalla limousine, con così tanta sfortuna che rovesciò il resto del caffè sui pantaloni bianchi.

      – Merda! Cazzo!

      Samuel e sua madre risero mettendo la mano davanti alla bocca per nascondere la risata. Il capo di Monica si girò e sorrise forzando le labbra.

      La donna di Elche si diresse con suo figlio verso un parcheggio abbandonato non molto lontano dall’azienda del suo capo, ricordandosi delle parole dell’uomo che l’aveva chiamata il giorno prima per dirle di non allontanarsi dall’azienda.

      – Dobbiamo aspettare in macchina fino a che finisca?

      – Sì. Vuoi che giochiamo a qualcosa?

      Samuel scosse la testa per dire di no.

      – Preferisco leggere.

      – Sai, anche a tuo papà piaceva molto leggere.

      – Mamma, quando andrò all’aldilà, lo vedrò?

      – Non lo so, amore mio, speriamo di sì – gli rispose molto dolcemente.

      Samuel prese uno dei due libri che si era portato e iniziò la lettura. Monica, invece, cercò su Internet il suo nuovo capo. Si chiamava Alexis, aveva quaranta anni come aveva immaginato e, quando era più giovane, era stato sulla copertina di numerose riviste a causa dei suoi scandali. Da quello che poté scoprire, si era sposato quattro volte, tutti matrimoni brevi tranne quello attuale, che durava già da quattro anni e dal quale erano nate le sue due meravigliose figlie: Yolanda di tre anni e Aura di un anno e mezzo. L’azienda dove l’aveva lasciato, “Il diamante dorato”, apparteneva alla sua famiglia da tre generazioni. Si occupava della fabbricazione e della ricerca di nuovi aggeggi tecnologici. Inoltre costruiva centri di immagazzinaggio dell’energia solare e bacini idrici in zone molto piovose per un progetto a scopo umanitario che permettesse di avere elettricità e acqua potabile a costo zero nelle case, un progetto annunciato anni prima, che Monica e altre persone bisognose non vedevano l’ora che si realizzasse.

      Rovistando

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