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       CAPITOLO VENTITRE

       CAPITOLO VENTIQUATTRO

       CAPITOLO VENTICINQUE

       CAPITOLO VENTISEI

       CAPITOLO VENTISETTE

       CAPITOLO VENTOTTO

       CAPITOLO VENTINOVE

       CAPITOLO TRENTA

       CAPITOLO TRENTUNO

       CAPITOLO TRENTADUE

       CAPITOLO TRENTATRE

       CAPITOLO TRENTAQUATTRO

       CAPITOLO TRENTACINQUE

       CAPITOLO TRENTASEIESIMO

       CAPITOLO TRENTASETTE

       CAPITOLO TRENTOTTO

      PROLOGO

      Karina Pavlo fissò i due uomini seduti al suo fianco al tavolo della conferenza mentre si alzavano dai loro posti. Anche lei si alzò, perché sapeva di doverlo fare, sebbene si sentisse cedere le gambe. Li guardò sorridersi amabilmente: i due capi di stato erano vestiti con abiti sfarzosi. Non disse nulla mentre concludevano i loro affari stringendosi la mano.

      Karina era ancora sotto shock per quello che aveva appena sentito, per le parole che lei stessa aveva dovuto ripetere.

      Non era mai stata alla Casa Bianca prima, ma la parte di struttura che stava visitando era raramente accessibile pubblico. Il seminterrato (se si poteva chiamare così, dal momento che non assomigliava affatto a uno scantinato) sotto il Portico Nord conteneva ogni tipo di servizio, tra cui un bowling, un servizio lavanderia, una falegnameria, uno studio dentistico, la Stanza delle Decisioni, l'area di lavoro del presidente, tre sale conferenze e una confortevole sala di attesa in cui Karina era stata introdotta al suo arrivo.

      Fu lì, in quella sala d'aspetto, che un agente dei servizi segreti aveva preso i suoi oggetti personali, il suo cellulare e una piccola pochette nera, e poi le aveva chiesto di togliersi il suo blazer scuro. L'agente l'aveva ispezionato a fondo, ogni tasca e ogni cucitura, e poi aveva eseguito una perquisizione meccanica ma accurata, chiedendole di tenere le braccia aperte a novanta gradi. Le chiese di aprire la bocca, di alzare la lingua, di togliersi le scarpe e di rimanere immobile mentre la controllava con un metal detector.

      Le uniche cose che Karina era stata autorizzata a portare all'incontro erano i vestiti e gli orecchini a bottone con perle che indossava. Non era rimasta stupita dalle misure di sicurezza; Karina lavorava come interprete già da alcuni anni, aveva prestato servizio nelle camere delle Nazioni Unite e tradotto per più capi di stato. Nata in Ucraina, istruita in Russia a Volgograd e avendo trascorso abbastanza tempo negli Stati Uniti per ottenere un visto permanente, Karina si considerava una cittadina del mondo. Parlava fluentemente quattro lingue e ne conosceva altre tre in maniera più superficiale. Il suo nulla osta di sicurezza era fitto quanto quello di un civile.

      Eppure, quello fu un grande momento. L'opportunità di visitare la Casa Bianca per svolgere servizio di interpretariato in un incontro tra i nuovi presidenti sia della Russia che degli Stati Uniti le era sembrata, meno di venti minuti prima, il momento più alto della sua carriera.

      Quanto si sbagliava.

      Alla sua sinistra, il presidente russo Aleksandr Kozlovsky abbottonò il bottone più in alto della sua giacca, un gesto fluido e pratico che a Karina parve irrazionalmente disinvolto, considerando quello che aveva appena sentito pronunciare solo pochi istanti prima. Kozlovsky sovrastava entrambi, con la sua corporatura magra e il passo lungo ricordava un ragno in uno scantinato. I suoi lineamenti erano insipidi, il viso liscio e privo di rughe, come se si fosse fermato alla pubertà.

      Diciotto mesi fa, l'ex presidente russo, Dmitri Ivanov, si era dimesso. Almeno così si diceva. Sulla scia dell'enormità dello scandalo americano, si era scoperto che il governo russo era coinvolto, non solo nel prestare il suo sostegno agli Stati Uniti in Medio Oriente, ma anche nell'attesa che l'attenzione del mondo fosse concentrata sullo Stretto di Hormuz, con l'intento di impadronirsi delle risorse ucraine nel Mar Baltico.

      In Russia non era stato effettuato alcun arresto. Non si erano pronunciate sentenze, non era stato assegnato alcun periodo di detenzione. Sotto la pressione delle Nazioni Unite e del mondo in generale, Ivanov si era semplicemente dimesso dalla sua posizione ed era stato sostituito sommariamente da Kozlovsky, che, come Karina ben sapeva, era più una controfigura piuttosto che il rivale politico presentato dai media.

      Kozlovsky sorrise compiaciuto. “Che piacere, presidente Harris”. Alla Pavlo, fece semplicemente un cenno di assenso prima di girarsi bruscamente e uscire dalla stanza.

      Venti minuti prima, l'uomo dei servizi segreti aveva scortato Karina nella più piccola delle tre sale conferenze nel seminterrato della Casa Bianca, all'interno della quale c'era un lungo tavolo scuro di legno esotico, otto sedie di cuoio, uno schermo televisivo e nient'altro. Neanche un’anima viva. Quando Karina aveva preso incarico come interprete, aveva supposto che l'incontro avrebbe coinvolto telecamere, giornalisti, membri dei gabinetti di entrambi i governi, stampa e media.

      Ma c'erano solamente lei, Kozlovsky e Samuel Harris.

      Il presidente degli Stati Uniti, Samuel Harris, in piedi alla sua destra, aveva settant'anni, mezzo calvo, il viso raggrinzito dall'età e dallo stress e le spalle perennemente spioventi a causa di una ferita alla schiena che aveva subito mentre prestava servizio in Vietnam. Eppure, si muoveva con enfasi e la sua voce roca era molto più squillante di quanto chiunque avrebbe immaginato.

      Harris aveva sconfitto facilmente l'ex presidente, Eli Pierson, nelle elezioni del novembre precedente. Nonostante una certa simpatia nell'opinione pubblica dovuta al tentativo di assassinio di Pierson diciotto mesi prima, così come gli sforzi abbastanza nobili dell'ex presidente per ricostruire il suo gabinetto sulla scia dello scandalo iraniano che era venuto alla luce, l'America aveva perso la fiducia in lui.

      A Karina, Harris ricordava un avvoltoio, tanto più per il modo in cui aveva rubato i voti a Pierson come un uccello in cerca di carogne aveva strappato le interiora dalla carcassa di un uomo che aveva commesso troppi errori e che si era fidato delle persone sbagliate. Harris, in quanto candidato democratico, aveva a malapena dovuto fare promesse se non quella di dissotterrare e porre immediatamente fine a qualsiasi ulteriore corruzione alla Casa Bianca. Ma, come aveva appena scoperto Karina Pavlo, la corruzione alla Casa Bianca era saldamente radicata nell'ufficio della presidenza.

      La visita del presidente russo Kozlovsky era stata riportata da quasi tutti i media negli Stati Uniti. Era la prima volta da quando era stata rivelata la cospirazione tra entrambi i governi che i due nuovi leader mondiali si incontravano di persona. C'erano state conferenze stampa, una copertura mediatica costante, incontri con un centinaio di telecamere nella stanza per discutere di come le due nazioni potessero uscire dall'imminente catastrofe collaborando in modo congiunto.

      Ma Karina ora sapeva che era tutto falso. Gli ultimi minuti che aveva trascorso con i due leader mondiali, il ragno e l'avvoltoio, lo avevano dimostrato. L'inglese di Kozlovsky era nella migliore delle ipotesi

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