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ho una pista. Ex marito violento,” disse Shelley. Non faceva tante cerimonie. Il suo tono era frettoloso, eccitato. Quel brivido del primo indizio. “Pare che il divorzio fosse stato appena ufficializzato. Ti va di passare a prendermi e andare a verificare?”

      “Non c’è molto da vedere qui,” rispose Zoe. Non aveva senso che entrambe esaminassero la scena del crimine se c’erano altre piste da seguire. Inoltre, aveva la sensazione che Shelley non volesse assolutamente vedere il posto in cui una donna aveva perso la vita. Era ancora un po’ acerba, per molti versi. “Sarò da te in venti minuti.”

      ***

      “Allora, dove si trovava la sera prima?” incalzò Shelley, avvicinandosi all’uomo e parlandogli come se fosse il loro piccolo segreto.

      “Ero in un bar,” grugnì lui. “Il Lucky’s, nella zona est della città.”

      Zoe stava ascoltando, ma soltanto in parte. Aveva capito che quello non era il loro assassino dal momento in cui aveva oltrepassato la porta d’ingresso. All’ex marito poteva anche solleticare l’idea di imporre il proprio peso nel matrimonio, ma era esattamente quello il problema: il suo peso. Pesava almeno cinquanta chili di troppo per aver lasciato quelle orme, ed era anche troppo basso. Aveva l’altezza giusta per uccidere sua moglie, una donna più bassa che senza alcun dubbio aveva picchiato un sacco di volte, ma non la vittima più alta. L’uomo era alto un metro e settanta, uno e sessantanove a guardarlo meglio. Sarebbe stato un po’ troppo complicato.

      “Qualcuno può confermare che si trovasse lì?” chiese Shelley.

      Zoe voleva interromperla, evitare di perdere altro tempo. Ma non disse nulla. Non voleva cercare di spiegare qualcosa che per lei era scontato tanto quanto il colore blu del cielo.

      “Ero svenuto,” disse lui, alzando le mani in un impeto di frustrazione. “Controllate le telecamere. Chiedete al barista. Mi ha sbattuto fuori parecchio dopo la mezzanotte.”

      “Il barista ha un nome?” domandò Zoe, tirando fuori un taccuino per prendere nota. Questo almeno sarebbe stato facilmente verificabile. Annotò ciò che lui le disse.

      “Quando ha visto la sua ex moglie per l’ultima volta?” chiese Shelley.

      Si sforzò di pensarci, muovendo gli occhi di lato. “Non ne ho idea. La stronza mi stava sempre tra i piedi. Credo qualche mese fa. Si era scaldata un bel po’ per il mantenimento. Avevo saltato qualche rata.”

      Shelley si innervosì visibilmente per il modo in cui lui parlava. C’erano alcune emozioni che per Zoe erano difficili da interpretare, cose sfuggenti che non avevano un nome o che avevano origini con le quali non riusciva a identificarsi. Ma la rabbia era un’emozione facile, una spia rossa lampeggiante. E, in quel momento, stava per eruttare dalla testa di Shelley.

      “Considera tutte le donne una seccatura, o soltanto quelle che divorziano da lei dopo un’aggressione violenta?”

      Gli occhi dell’uomo stavano praticamente schizzando fuori dalle orbite. “Ehi, stia a sentire, non le permetto di …”

      Shelley lo interruppe prima che potesse finire. “Lei ha un passato di violenza nei confronti di Linda, dico bene? I suoi precedenti indicano diversi arresti in seguito a varie denunce di violenza domestica. Pare che avesse l’abitudine di gonfiarla di botte.”

      “Io…” L’uomo scosse la testa, come se cercasse di chiarire. “Non le ho mai fatto del male in quel modo. Voglio dire, così tanto. Insomma, non l’avrei mai uccisa.”

      “Perché no? Sicuramente vorrà fare a meno di pagare il mantenimento, o sbaglio?” incalzò Shelley.

      Zoe si irrigidì, le sue mani si strinsero a pugno. Ancora un po’ e avrebbe dovuto intervenire. Shelley stava perdendo il controllo, la sua voce cresceva sia in tono che in volume.

      “Non lo stavo comunque pagando,” puntualizzò. Aveva le braccia incrociate al petto, era sulla difensiva.

      “Allora forse non ci ha visto più l’ultima volta, è così? Voleva farle del male e si è spinto più in là del solito?”

      “Basta!” urlò lui, perdendo la sua compostezza. Portò improvvisamente le mani al viso per poi abbassarle nuovamente, mostrando lacrime che fuoriuscivano dagli occhi e scendevano lungo le guance. “Ho smesso di pagare gli alimenti perché così sarebbe venuta a trovarmi. Mi mancava, va bene? Ero molto legato a quella stupida stronza. Esco e mi ubriaco ogni sera perché sono completamente solo. Volevate sentire questo? Siete soddisfatte, ora?”

      Avevano finito, ormai era chiaro. Shelley ringraziò rigidamente l’uomo, porgendogli un biglietto e chiedendogli di chiamarle se gli fosse venuto in mente qualcos’altro. Avrebbe potuto farlo Zoe, se avesse pensato che sarebbe servito a qualcosa. La maggior parte delle persone non richiamava mai.

      E, in questo caso, dubitava fortemente che l’uomo le avrebbe richiamate.

      Shelley fece un respiro profondo mentre andavano via. “Punto morto. Mi spiace, il gioco di parole non era voluto. Va bene, mi bevo la sua storia. Cosa pensi che dovremmo fare adesso?”

      “Vorrei vedere il corpo,” rispose Zoe. “Se esistono ulteriori indizi, sono con la vittima.”

      CAPITOLO CINQUE

      La sede del medico legale era un edificio tozzo accanto alla centrale di polizia, come praticamente qualsiasi altra cosa in questo paesino. C’era soltanto una strada che l’attraversava; negozi, una piccola scuola elementare e qualsiasi altra cosa di cui una città aveva bisogno per sopravvivere, distribuiti a destra e a sinistra.

      Zoe si sentì a disagio. Troppo simile a casa sua.

      Il medico legale le stava aspettando al piano di sotto, la vittima già stesa sul tavolo per loro, come una macabra presentazione. L’uomo, un tipo attempato a cui mancavano pochi anni per il pensionamento e che aveva alle sue spalle una discreta quantità di pettegolezzi, iniziò una lunga e contorta spiegazione delle sue conclusioni, che Zoe filtrò.

      Riusciva a vedere le cose che lui stava dicendo proprio lì, distese davanti ai suoi occhi. La ferita da taglio sul collo le rivelò il preciso spessore del filo metallico che stavano cercando. Pur essendo bassa, la donna pesava poco più di settantasette chili, sebbene avesse perso quasi tre litri di sangue.

      L’angolo di incisione e la forza applicata le dissero due cose. Primo, che l’assassino aveva un’altezza compresa tra un metro e settantotto e un metro e ottantatre centimetri. Secondo, che non faceva affidamento sulla forza per commettere i suoi crimini. Il peso della vittima non era rimasto a lungo aggrappato al cappio. Una volta collassata, lui l’aveva lasciata cadere. Questo aspetto, e la scelta del filo metallico come arma, indicavano una limitata forza fisica.

      Una forza non elevata, unita ad un’altezza considerevole, significava probabilmente che l’uomo non era né muscoloso né pesante. Se lo fosse stato, il suo stesso peso corporeo avrebbe fatto da contrappeso. Ciò voleva dire che l’uomo, probabilmente, aveva una corporatura esile, abbastanza in linea con l’idea generale di uomo comune, di statura media.

      C’era soltanto una cosa che sicuramente non era comune, e quella cosa era il suo atto omicida.

      Per il resto, non c’era molto su cui lavorare. Il suo colore di capelli, il suo nome, da dove venisse, perché lo stesse facendo: nulla di tutto questo era scritto nell’involucro vuoto e abbandonato di ciò che una volta era una donna, steso davanti a loro.

      “Allora, ciò che possiamo dedurre,” diceva lentamente il coroner, con una voce lagnosa e tediosa. “È che l’assassino è probabilmente un uomo d’altezza media, forse compresa tra un metro e settantacinque e poco più di un metro e ottantatre.”

      Zoe si trattenne a malapena dallo scuotere la testa. Era una stima troppo ampia.

      “La famiglia si è messa in contatto?” chiese Shelley.

      “Nessuno, da quando l’ex marito

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